Nei giorni concitati dell’abbattimento del caccia F4-E turco nei pressi delle acque territoriali siriane molto si è parlato del trattato di Washington sul quale si regge oggi la NATO. Nel trattato tra le altre cose spicca l’obbligo al mutuo soccorso, tra le nazioni aderenti, in caso di minaccia alla sicurezza e integrità territoriale di una delle nazioni contraenti.
Quasi nessuno parla di un altro patto che è stato siglato nel 2008, quale revisione di un precedente trattato del 2006, tra due protagonisti della geopolitica contemporanea: la Siria e l’Iran. Il patto in questione denominato “Patto di mutuo supporto a difesa dell’indipendenza e dell’integrità territoriale di Iran e Siria” costituisce un ulteriore ostacolo al paventato intervento americano in supporto dei ribelli del Free Syrian Army. Il patto tra Iran e Siria venne siglato in un periodo nel quale l’Iran temeva fosse in pericolo la sua integrità territoriale dopo la conquista americana dell’Irak, e così si cercò uno strumento per poter contrastare eventuali piani di invasione degli Usa coinvolgendo nel conflitto una potenza militare non di poco conto come la Siria. Oggi le parti tra Siria ed Iran si sono invertite ed è la Siria che rischia di essere invasa da un contingente straniero. Se ciò avvenisse, e la fazione Alawita perdesse completamente il controllo del paese, il contraccolpo per gli iraniani sarebbe nel medio lungo termine devastante. Le milizie di Hezbollah sarebbero escluse da flussi di armamenti oggi i controllati, così come sarebbe precluso l’addestramento dei militanti sciiti libanesi presso i campi parenti sul suolo siriano, dove i miliziani apprendono l’utilizzo delle armi di più recente generazione e le tecniche, ben collaudate, di guerra asimmetrica in cui sono maestri gli iraniani. Il Libano diventerebbe una zona dove la voce degli sciiti non esprimerebbe più la volontà della nazione, facendo aumentare in maniera simmetrica la capacità sunnita di influenzare scelte economiche politiche e strategiche in ambito militare. Con legami più saldi in Sudamerica che in medio oriente, l’Iran si troverebbe isolato e maggiormente esposto alla nascita di gruppi organizzati di dissenso, i quali hanno assistito all’involuzione dell’influenza di Tehran nell’area. Si aprirebbero faide interne al regime stesso. Faide che potrebbero determinare purghe ben più evidenti di quelle avvenute alla vigilia delle sorse elezioni politiche iraniane, il regime apparirebbe vacillante e solo la violenza potrebbe mantenerlo al potere, proprio come accadde al regime dello Shah nei suoi ultimi mesi di potere.
Anche alla luce di queste considerazioni, chi comanda a Tehran farà di tutto per impedire la caduta di Assad, o meglio la caduta del regime Alawita. Tutto potrebbe comprendere anche l’attivazione del patto di mutua difesa in vigore dal 2006 e riformulato nel 2008. Certo un coinvolgimento diretto nella guerra di Siria è un grosso rischio per l’Iran, rischio rappresentato dal fatto di offrire un casus belli all’america ed ai suoi alleati nella regione. Tuttavia prendendo in esame attentamente la situazione attuale la scelta di Tehran avrebbe valide motivazioni:
- Dividere le forze americane su almeno due fronti
- Lasciare alle forze missilistiche siriane in compito di colpire le installazioni NATO in Turchia, installazioni che riducono le capacità di attacco delle forze missilistiche iraniane
- Trascinare gli occidentali in una guerra non facile e alle porte dell’Europa, cosa ben diversa rispetto ad una guerra nel Golfo Persico, molto meno sentita dall’opinione pubblica, in genere pacifista, dell’occidente
- Aver agito in risposta ad una aggressione esterna ad un fedele alleato e quindi, cosa apparentemente importante per il regime iraniano, non aver sferrato il primo colpo ma aver agito per difesa
- Scegliere la tempistica della guerra e non lasciare la scelta del momento, e il seppur limitato effetto sorpresa, al nemico.
Anche per questi motivi il patto di mutuo soccorso tra Iran e Siria va tenuto nella giusta considerazione e non dimenticato come uno dei tanti trattati poi disattesi alla prova dei fatti.