Come promesso sul finire del 2014, nei prossimi paragrafi affronteremo una delle vicende che più ha sollevato curiosità ed interesse da parte di analisti e osservatori. Ci riferiamo alla prepotente attività di acquisto di oro da parte della Russia.
La vicenda è estremamente complessa e sicuramente su Internet e siti specializzati è possibile trovare numerose interpretazioni. Geopoliticalcenter ha la sua versione che cerca di essere totalmente super partes nella annosa diatriba tra chi è pro e chi contro la Russia. Per una corretta analisi è tuttavia importante essere oggettivi, sia nel mettere a fuoco le luci, sia le ombre della politica putiniana e obamiana.
Intanto cominciamo col delineare le condizioni al contorno. Nel corso del 2014 dal punto di vista geopolitico è accaduto di tutto, ma fondamentalmente possiamo riassumere la situazione in poche righe. Abbiamo assistito ad un acuirsi dello scontro tra Asia e Occidente , tra NATO e Russia, tra BRICS e Primo Mondo. Tra moneta legale e rigurgiti di Gold Standard.
E proprio da quest’ultima vogliamo partire, perché a nostro modesto avviso è a partire da questa questione che si dipana tutto il resto.
Sappiamo perfettamente che, soprattutto nel mondo della finanza e dell’economia anglosassone, è stata dichiarata una vera e propria guerra ideologica contro l’oro. Tuttavia è nonostante la lotta senza quartiere, l’oro continua ad essere al centro di ogni economia, nonostante i suoi 6000 anni di utilizzo e nonostante molti economisti americani lo accusino di aver dato vita alla più grande bolla speculativa nella storia (e preistoria) umana.
Dicevamo dunque che l’oro è rimasto in ogni caso un bene rifugio. In caso di turbolenze dei mercati si preferisce acquistare oro, ancora oggi, invece di mettere soldi di carta sotto il materasso. E questo perché da 6000 anni a questa parte, universalmente, si riconosce una qualità in questo metallo: il suo valore intrinseco, che lo rende un metallo prezioso.
Ciò detto vale la pena ricordare che la FED è sistematicamente intervenuta per calmierare il prezzo dell’oro, a sostegno di un recupero del dollaro. E infatti quando si dice che il prezzo dell’oro è sceso o comunque è basso rispetto ai massimi registrati nel pieno della crisi del 2008, bisognerebbe specificare in quale valuta è espresso questo prezzo. Se andiamo a controllare le performance dell’oro verso alcune valute principali, scopriamo che il prezzo è salito del 14% verso lo Yen, del 12% verso l’Euro è solo dello 0.4% verso il dollaro. Cosa significa questo? Semplicemente che il prezzo dell’oro è tenuto basso solo nei confronti del dollaro americano.
Se consideriamo il rublo, invece, parliamo addirittura di un aumento intorno al 30%. Questi numeri dimostrano che l’oro si rivaluta ovunque perché è assolutamente ancora considerato un bene rifugio. Il fatto che non cresca proprio in America è poi la prova provata (per via di un decoupling oro – moneta legale quasi totalmente compiuto).
Se l’oro viene artificialmente tenuto basso contro il dollaro, allo stesso tempo il dollaro viene artificialmente e massicciamente supportato per rivalutarsi (le valutazioni su questo fenomeno in ogni caso esulano da questo articolo e dunque meritano trattazione a parte, qui lo prenderemo con dato di fatto).
Il dollaro è stato e sarà ancora per lunghi anni a venire lo strumento principe per ogni tipo di transazione sul pianeta. Anche e soprattutto per le materie prime. Anche da parte di paesi non propriamente allineati con le politiche USA, per esempio la Russia.
E a questo punto dell’articolo è arrivato il momento di Putin.
La Russia come ormai è noto da tempo sta acquistando volumi di metalli preziosi (oro in primis) davvero ingenti. Si pensi che la sola banca centrale russa nel 2014 ha acquistato più oro di tutte le altre banche centrali messe insieme. La domanda posta più frequentemente è: perché? Cominciamo col dire che questo fenomeno è iniziato molti anni prima che arrivassero le sanzioni dell’Occidente per la questione Ucraina. Certo, queste ultime hanno complicato di molto le transazioni dell’oro, bloccando alcuni intermediari russi e impedendo de facto l’esportazione dell’oro russo, contestualmente obbligando la banca centrale russa ad acquistare la produzione interna del metallo prezioso. Ma non sono le sanzioni alla Russia il motivo di questo prolungato massiccio acquisto d’oro. Noi riteniamo che i fenomeni alla base siano due. Uno di questi mette in luce la debolezza endemica dell’economia russa, l’altro mette in luce in vittoria strategica della politica economica di Putin.
L’economia russa già prima delle sanzioni navigava in pessime acque, rublo debole e inflazione elevata. Poi sono arrivate le sanzioni e tutto è peggiorato: rublo ai minimi storici e inflazione elevatissima. Una banca centrale non ha molte opzioni in queste situazioni: accumulare oro è sicuramente un modo efficace per prepararsi ad eventuali peggioramenti dei mercati valutari. La maggior parte degli analisti americani ha etichettato questa operazione come nostalgica e volta solo a trasmettere messaggi simbolici alla popolazione. Noi di GPC non siamo d’accordo con questa visione semplicistica. L’aumento delle riserve auree ha un valore intrinseco per l’economia. Serve a differenziare gli investimenti (qualcosa di molto simile lo stanno già facendo anche India e Cina che possiedono enormi quantità di debito americano ed europeo), è un asset ad elevata liquidità. Per cronaca, comunque, ricordiamo che le riserve russe ammontano a poco più di 1100 tonnellate, quelle americane sono pari a 8000 tonnellate.
C’è poi un aspetto singolare, piuttosto ignorato dai media occidentali. La Russia è esportatrice di materie prime, quali greggio e gas per citare le più importanti, ma anche uranio. Tralasciando momentaneamente quanto sta accadendo al prezzo del petrolio in queste settimane, si prenda un considerazione il seguente ciclo. La Russia esporta greggio che viene venduto ed acquistato in dollari. La Russia acquista oro in dollari. E qui si inserisce la politica economica del Cremlino, concordata con la banca centrale russa: approfittare del valore crescente del dollaro per vendere il proprio petrolio. Contestualmente approfittare del prezzo basso dell’oro (attenzione, come detto, contro il dollaro) per aumentare le proprie riserve a prezzi vantaggiosi. E senza interventi da parte della banca russa. Come spiegato sopra, infatti, mantenere basso l’oro e rivalutare il dollaro ha un costo elevato, che però viene complessivamente sostenuto dalle economie occidentali.
La prima considerazione che possiamo fare, a margine delle due riflessioni precedenti, è che la guerra sul prezzo del petrolio ingaggiata in questi mesi assume un nuovo significato.
La seconda riflessione è che a livello planetario è in corso un tentativo, soprattutto da parte dei BRICS di trovare mezzi di pagamento delle transizioni alternativi al dollaro.
Ecco cosa diceva pochi mesi fa Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale russa: “BRICS partners the establishment of a system of multilateral swaps that will allow to transfer resources to one or another country, if needed. […] If the current trend continues, soon the dollar will be abandoned by most of the significant global economies and it will be kicked out of the global trade finance.”
Per quanto non siamo d’accordo con i toni eccessivamente trionfalistici, non possiamo mancare di notare come tra Cina e Russia si stiano creando canali di scambio privilegiati già adesso sostenuti da scambio in oro fisico. Non possiamo non notare gli ingenti flussi di oro fisico dai paesi occidentali verso i BRICS: non è uno stillicidio, bensì una alluvione.
Ora, nessun analista, tantomeno noi, può dire con certezza cosa accadrà. Questo trasferimento di oro fisico durerà? Farà sì che il dollaro perderà il ruolo di mezzo ultimo di pagamento? Cosa accadrà inoltre se le sanzioni contro la Russia si inaspriranno? E infine, cosa ne sarà del sistema finanziario globale se e quando il dollaro tornerà a scendere, riportando a galla 18 mila miliardi di debito governativo?
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