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Nuovo governo: scelta tra consenso e potere, un dilemma per i partiti

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Ieri vi abbiamo fornito la nostra prima analisi riguardo i possibili accordi di governo nell’Italia post elezioni politiche 2018, oggi vi offriamo una riflessione sempre legata al nostro editoriale di ieri.
Dal nostro ragionamento ieri esposto deriva un assunto: chi valuta un accordo di governo dovrà scegliere tra consenso e potere.
Chi ha perso molto consenso, come ad esempio il PD, potrebbe in questa ottica scegliere di non cercare il potere al fine di non ridurre ulterioreme la massa di voti di cui ancora dispone. Allo stesso tempo il Partito Democratico, devastato dopo la stretagia messa in atto da Renzi, teme un rapido ritorno alle urne, che potrebbe determinare la fuga di quegli elettori ancora legati al partito, sia per il discorso relativo al voto utile, sia perchè saliti sul carro del vincitore alle scorse elezioni europee.
Oggi il carro del vincitore è rappresentato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega. Un possibile accordo tra queste due forze politiche potrebbe aprire la strada ad un governo con Di Maio premier e Salvini in un ruolo di prestigio istituzionale come la presidenza del Senato, mentre la Camera toccherebbe ai 5 Stelle. Questa scelta rischia da un lato di far perdere consenso ai due movimenti, ma per la stessa ragione potrebbe aumentarne i voti attirando coloro i quali ambiscono ad una briciola di potere, in sede locale o nazionale, avvicinandosi a chi si trova temporaneamente al governo del paese.
A nostro avviso osservare la prossima settimana chi sarà eletto alla presidenza delle camere ci fornirà interessanti spunti sulla formazione del futuro governo.
Le dichiarazioni e gli atteggiamenti di Salvini e Di Maio potrebbero dare spazio ad un esecutivo Lega+Movimento5Stelle, un esecutivo di compromesso con il mandato di preparare una legge elettorale. Tuttavia questo processo potrebbe essere estremamente laborioso e non certo breve.
La legge elettorale con premio di maggioranza nazionale, tanto cara ai 5 Stelle, non è certo la preferita dalla Lega che invece potrebbe puntare su un sistema a doppio turno e all’elezione diretta del capo dello Stato, fatto che però prevederebbe una modifica costituzionale per la quale sarebbe necessario il voto dei 2/3 del parlamento al fine di evitare un referendum confermativo che storicamente non ha premiato i riformatori della Carta Costituzionale.
Da questa partita sembrano quindi esclusi i due partiti storici dell’alternaza di governo italiana: il PD e Forza Italia. Per questi partiti stare all’opposizione potrebbe essere un mezzo per cercare nuovamente il consenso, che una fallimentare stregtegia politica ha fatto svanire. Se il PD, ma ancora più Forza Italia, avranno il coraggio di superare le leadership storiche e mettere in campo forze nuove e capaci, supportate dal potente apparato dei due partiti, presto rivedremo le due forze che guardano al centro riemergere dalle urne. Se al contrario, in particolare Berlusconi, continuerà ad ostinarsi a non passare il testimone a una persona di fiducia (come potrebbe essere il capogruppo in Senato Paolo Romani uomo dotato di capacità e visione), il partito è destinato a diventare insignificante nel panorama politico e non solo; unicamente un profondo rinnovamento di FI con la proclamazione degli Stati Generali del partito, e la redazione di un manifesto darà nuova vita al partito fondato da Berlusconi.
Solo trasformare FI da partito personale a partito di idee potrà dare, per assurdo, una nuova possibilità anche al suo fondatore di riabilitarsi e tornare all’interno delle istituzioni.
I giochi sono ancora aperti, nessuno ha possibilità di formare un governo senza l’appoggio di un avversario politico.
Non badate alla parole di chi dice “faremo un governo solo alle nostre condizioni”, la situazione, ed i numeri in parlamento non sono una opinione.
Non badate ai discorsi dei politici, osservate il loro potenziale di voti in parlamento.