Lo abbiamo chiamato “il Corridoio Balcanico”, e secondo noi è uno degli obbiettivi primari nella geopolitica del presidente russo Putin, un corridoio di terre o sotto il diretto controllo di Mosca o pertinenza di stati strettamente legati alla Federazione, che possa garantire la presenza “fisica” della Russia all’interno dell’Europa centrale.
Il corridoio balcanico, secondo la nostra teoria, dovrebbe avere il suo termine nella Serbia, quella Serbia che, da sempre, per il presidente Putin rappresenta il naturale alleato della Russia nei Balcani.
Il corridoio è un mezzo dal duplice scopo per il presidente russo. Da una parte permette a Mosca di riunire in una “casa comune” tutte le popolazioni che si richiamano identitariamente, linguisticamente, religiosamente e storicamente alla Russia. Dall’altra permetterebbe alla Russia di gestire una rete di commerci, iniziative industriali (e di conseguenza economiche e finanziarie) creando infrastrutture (gasdotti, ferrovie, strade, dorsali di fibre ottiche) senza dover attraversare l’Europa Orientale, e presentarsi così sulle coste adriatiche pronta a rapportarsi direttamente con i paesi mediterranei europei e con l’Africa del Nord, paesi come l’Egitto che controllano il canale di Suez, come Israele detentore di uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo (il Leviathan) e la stessa Italia vista dai russi come luogo di sviluppo alta tecnologia e cultura.
Questo corridoio inizia a Mosca, ma in realtà ha iniziato a prendere forma nel momento in cui Mosca ha garantito protezione a una piccola e apparentemente insignificante regione della Moldavia, la Transnistria. In Transnistria vive una popolazione russofona, non rappresentata dalle istituzioni Moldave, che Mosca ha sempre mantenuto nella sua sfera di influenza dislocando anche truppe, che dal 2003 presidiano stabilmente il territorio della Repubblica di Transnistria, riconosciuta solo dall’Abkazia e dall’Ossezia, due repubbliche caucasiche riconosciute da Mosca dopo la Guerra con la Georgia del 2006.
All’interno di questo corridoio si trovano, però, anche i territori russofoni e misti dell’Ucraina (Kharkov, Lugansk, Donetsk, la Crimea, Kherson, Melitopol, Odessa) ed è proprio in questi territori che la Russia sta trasformando in realtà il corridoio Mosca-Belgrado.
Questa teoria ha però un punto debole e cioè il fatto che tra la Transnistria e la Serbia sono presenti paesi aderenti alla NATO, parliamo di Ungheria, Bulgaria e Romania.
Esiste però la concreta possibilità che il presidente russo ritenga possibile comunque portare nella propria sfera di influenza uno di questi paesi.
Per fare ciò Putin può pensare ad una soluzione politica o ad una soluzione militare.
Analizziamo alcuni possibili scenari iniziando considerando l’opzione di attirare nella sfera di influenza russa la Romania.
La soluzione politica potrebbe far leva sulla forte componente nazionalista rumena e sui rapporti tra Romania e Moldavia. Il movimento panrumeno vede nella Moldavia (esclusa la Transnistria) una parte integrante della nazione rumena. L’eventuale presa di controllo della Moldavia da parte delle forze russe potrebbe quindi aprire la possibilità di una spartizione della Moldavia tra Mosca e Bucarest. Una spartizione che però configurerebbe l’uscita della Romania dalla NATO e dall’Unione Europea, fatto questo estremamente poco probabile, così come è poco probabile che il popolo rumeno scelga di orbitare nella sfera di influenza russa vista ancora la spiccata ostilità verso il passato comunista della nazione.
Tuttavia la presenza di una Unione Europea tecnocratica e l’assenza di peso dei paesi sud orientali dell’Europa all’interno delle istituzioni di Bruxelles rende questa opzione, seppur non molto probabile, ancora teoricamente percorribile, in modo particolare se la crisi economica continuasse e dall’Europa si continuasse la politica ragionieristica di questi anni.
La seconda opzione è prettamente militare e prevedrebbe la conquista di tutta la zona sud dell’Ucraina fino ad arrivare al confine con l’Ungheria. L’Ungheria, una nazione che all’interno dell’Unione Europea pare essere quella più prossima alle posizioni di Mosca, particolarmente in campo di politica energetica e nell’espressione della volontà di mantenere a Budapest la totalità della sovranità nazionale (anche in campo economico) e il riferimento costante all’identità nazionale come valore fondante ed insostituibile, in antitesi alle teorie globalizzatrici (anche in campo culturale) che oggi sono la linea guida dell’occidente.
Budapest, con questi presupposti, potrebbe quindi entrare a far parte della sfera di influenza economica e culturale di Mosca. Il limite di questa possibilità resta il presupposto dell’invasione militare dell’Ucraina e di aree occidentali del paese che sono la culla del nazionalismo di Kiev. Dobbiamo altresì ricordare però che nell’area è presente la regione della Trascarpazia, Oblast in cui gli ungheresi e i ruteni (ceppo linguistico autoctono), insofferenti del controllo di Kiev superano per numero gli ucraini e che potrebbe essere la scintilla di questo scenario, anch’esso tuttavia scarsamente probabile.
La terza via prevede invece che il corridoio di Putin verso Belgrado e il mar Adriatico comprenda un tratto “marino”. Questa ipotesi potrebbe essere chiamata “South Corridor” in quanto ripercorre il tragitto del gasdotto South Stream.
In questo scenario entra in gioco la Bulgaria, paese nel quale, sono da sempre vivi legami culturali ed economici con Mosca e dove il passato legame con l’Ex Unione Sovietica all’interno del Patto di
Varsavia non è mai stato completamente rinnegato. La Bulgaria oggi è dipendente per l’energia dalla Federazione Russa per la quasi totalità delle proprie esigenze ed è uno dei paesi più esposti agli effetti di una guerra del Gas che dovesse accendersi a causa della crisi Ucraina. La Bulgaria inoltre non ha accesso al mediterraneo e, nel caso l’Europa volesse diventare cliente del gas metano prodotto in America e trasportato in Europa con navi gasiere, non avrebbe la possibilità di costruire un terminal proprio strategicamente affidabile sul mar nero, in quanto esso si presenta come un mare chiuso, il cui accesso potenzialmente rimane sotto il controllo della Turchia, una nazione che assapora anno dopo anno sempre più il desiderio di ritornare una importante potenza regionale, pianificando un risorgimento ottomano del XXI secolo.
Ma il Mar Nero, in quanto mare chiuso, potrebbe essere la via di collegamento ideale tra la Russia e l’Europa balcanica. Un mare sotto il quale passa già South Strem e sulla cui superficie potrebbero transitare traghetti veloci e frequenti in grado di collegare i porti della Russia, incluso Sebastopoli, (e i porti della Novorussia) alle coste bulgare.
Ecco il corridoio balcanico di Putin, un corridoio intermodale, costituito da vie di terra, gasdotti e vie d’acqua con le relative infrastrutture portuali, in grado di collegare Mosca a Belgrado e al mediterraneo. Un corridoio intermodale in grado di trasportare non solo cose e persone, ma anche energia e capitali e di portare la stessa essenza del modello di società russo nel cuore dell’Europa.
Questo secondo noi è il vero e reale Corridoio Balcanico che il presiedente Putin ha in mente, un corridoio i cui luoghi di partenza e arrivo sono già sotto il pieno controllo di Mosca, mentre Mosca non ha ancora il controllo completo dei porti della Novorussia, così come il collegamento via terra di Sebastopoli al resto della Federazione.
Sarà però in Europa orientale che verrà giocata la partita Geopolitica che determinerà la concretizzazione o il fallimento di questo progetto, un progetto dal quale, secondo noi, dipenderà lo stesso destino di un intero continente e non solo della Russia.
Un progetto che noi abbiamo teorizzato e del quale non possediamo alcuna prova che indichi la sua reale esistenza, ma nella geopolitica, nelle analisi strategiche, si deve valutare il tutto conoscendo solo una parte della situazione reale e, a nostro avviso, visti ed analizzati i comportamenti, le azioni, i discorsi del Cremlino, quello che vi abbiamo esposto sembra essere il più ambizioso progetto strategico che l’Europa vive (o subisce) dalla fine della conferenza di Yalta-Potsdam, e che potrebbe segnare il destino di più generazioni.