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La morte di Moshen Fahtizade e la fine della rivoluzione iraniana.


La morte di Moshen Fahtizade non determinerà certo la fine del programma atomico militare iraniano, meglio noto come Programma Amad, ma sta segnando la fine della rivoluzione iraniana. Il regime teocratico degli ayatollah sembra infatti aver perso la forza che gli aveva conferito la Guida Suprema Khomeini ed aver smarrito lo slancio che i giovani Pasdaran avevano messo in campo per resistere durante la guerra contro l’Irak di Saddam Hussein. Oggi la rivoluzione è sopita, anzi è morta, e come un cadavere non è capace di reagire alle uccisioni di elementi chiave della struttura principale del regime. Prima l’uccisione per mano americana di K. Soleimani, ora l’esecuzione del padre dei progetti atomici iraniani incentrati sulla raffinazione dell’uranio e sulla missilistica offensiva M. Fahtizade. 
Una rivoluzione viva e ancora presente avrebbe reagito immediatamente all’uccisione del Generale Soleimani, accolta al contrario da una parte del regime quasi come una liberazione. Al contrario Teheran non ha messo in pratica nessuna vera rappresaglia militare ad un atto ostile così grave come l’assassino di Soleimani. Non può essere certo considerato una rappresaglia il lancio di una decina di vettori balistici, dopo adeguata informativa, contro una base aerea americana che ha visto nessuna vittima tra le truppe americane e danni materiali nei fatti marginali. Dopo questa sceneggiata nulla più è accaduto e il grande generale riposa non vendicato nel cimitero degli eroi e nel paradiso dei martiri. Il medesimo paradiso ha accolto ieri uno dei padri del programma atomico di Teheran, un programma che in teoria non esiste, ma che oggi il moderato presidente Rohani ha affermato che proseguirà più velocemente di prima (quindi il progetto Amad esiste e si sviluppa di giorno in giorno). 
Così gli Stati Uniti prima e qualcun altro dopo hanno potuto impunemente uccidere due persone ai vertici delle rispettive organizzazioni al servizio della rivoluzione.

Immaginate  cosa sarebbe accaduto se qualcuno avesse ucciso il ministro della difesa russo, oppure se qualcun altro avesse assassinato il capo del programma atomico della Corea del Nord. I paesi consci della propria forza non esitano a rispondere a tali atti ostili, ancora di più se messi in atto sul loro territorio patrio. Invece l’Iran tace, resta immobile, promette una vendetta che diventa sempre meno utile ogni ora che passa.  Un nuovo fisico nucleare presto prenderà le redini del progetto Amad e farà di tutto per produrre la prima bomba atomica degli ayatollah, ma questo non terrà in piedi una rivoluzione già defunta. 
L’opposizione interna, i nemici esterni e gli alleati sparsi nel Medio Oriente hanno ben notato che ormai nulla può il regime per difendere i suoi uomini chiave e che tutte le minacce di ritorsione non si sono mai concretizzate in una azione decisiva. Ed anche questa volta l’Iran attende “il tempo giusto” per la rappresaglia, una formula che indica la debolezza intrinseca del regime ed allo stesso tempo la volontà di garantirsi la sopravvivenza mediante la creazione di un arsenale atomico. 
Emerge forte la convinzione che la prossima amministrazione americana sarà un amico di Teheran e vorrà dare agli ayatollah la possibilità di essere la potenza dominante nel Medio Oriente. Quello che gli iraniani non sanno o che fingono di non sapere è che questa possibilità sarà vincolata strettamente ed indissolubilmente all’abbandono completo della partnership con la Russia, vero ed unico nemico strategico già ampiamente individuato dalla nuova e nascente amministrazione Biden come l’obiettivo diplomatico economico, e perché no militare, delle forze americane. 
La ormai defunta rivoluzione iraniana spera quindi nell’aiuto del Grande Satana (come amava definire gli Usa la guida suprema Khomeini) per mantenere il potere ed espandere l’influenza degli sciiti nel mondo. 
È quindi altamente probabile che nei prossimi giorni l’Iran possa subire un nuovo attacco, convenzionale o meno, contro personaggi o strutture chiave del regime. Ogni iraniano, ogni amico e ogni nemico nell’Iran ovunque nel mondo saprà che, attacco dopo attacco, azione dopo azione, il regime degli ayatollah non è più autosufficiente e dovrà sperare nell’aiuto di una potenza straniera per garantire la stabilità del potere teocratico che ora imprigiona la libertà dei persiani.