A partire dall’anno 2000 il Dipartimento della Difesa americano fornisce ogni anno al Congresso, e quindi al pubblico, un rapporto sugli sviluppi (soprattutto) militari concernenti la Repubblica Popolare Cinese.
Questo rapporto, oltre a rendere conto degli avanzamenti militari cinesi, spiega i principi, i piani e le strategie che inspirano e guidano l’azione del Partito Comunista Cinese (la Repubblica Popolare Cinese infatti oggi si identifica totalmente con il PCC)
Solo comprendendo la visione che i cinesi hanno di sé stessi e del mondo è possibile capire appieno gli sviluppi ed i cambiamenti che si stanno verificando in Cina e non solo. Specifichiamo che la maggior parte delle informazioni presenti nel rapporto sono in larga parte provenienti da fonti ufficiali cinesi, come dichiarazioni pubbliche dei suoi esponenti o documenti quali il libro bianco pubblicato dalla difesa cinese nel 2019, sono quindi scevre da condizionamenti occidentali.
Cominceremo con i principi e le strategie che regolano l’azione cinese e passeremo successivamente agli ultimi sviluppi militari.
LA VISIONE CINESE
La visione (che Xi Jinping chiama “sogno cinese”) che sta alla base di ogni azione degli ultimi anni di strategia di Pechino è la “grande restaurazione della nazione Cinese”, cioè il ritorno della Cina ad una posizione di forza, prosperità e leadership nel mondo, status che aveva perso in quello che viene chiamato “secolo dell’umiliazione”. Il secolo dell’umiliazione, comincia nel 1800 con l’inizio della disintegrazione della Dinastia Qing e dura fino alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
Tale obiettivo deve essere raggiunto nel 2049, anno in cui si festeggeranno i 100 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC).
Una descrizione di come la Cina deve diventare può essere trovata nella cosiddetta “linea di base”, una singola frase nella Costituzione del Partito Comunista Cinese (PCC) che recita: “la linea di base del Partito Comunista Cinese nella prima fase del socialismo è quella di guidare tutto il popolo Cinese, unito in uno sforzo pionieristico e autonomo che faccia dello sviluppo economico il suo obiettivo principale, pur rimanendo fedele ai Quattro Principi Cardinali e rimanendo impegnato nell’azione di riforma e nell’apertura verso l’esterno, affinché la Cina diventi un grande e moderno paese socialista, prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e splendido.”
L’accenno al “popolo di Cina unito” indica che l’unificazione con Taiwan ed il completamento dell’integrazione di Hong Kong e Macao prima della fatidica data del 2049 è un punto cardine della visione cinese, come anche esplicitamente indicato nel punto i) del Proemio della Costituzione (“Taiwan è parte del territorio sacrosanto della RPC”).
Da notare anche l’oscuro riferimento alla “prima fase del socialismo”, che presuppone che ci saranno altre fasi successivamente.
I leader del PCC affermano apertamente che, per raggiungere l’agognata restaurazione nazionale, la Cina deve guidare una riforma del sistema di governo mondiale, in quanto il sistema attuale è visto come antitetico al sistema socialista ed un limite intollerabile agli obiettivi cinesi. Una revisione dell’ordine mondiale è quindi, nella visione del PCC , necessaria per consentire lo sviluppo cinese, e questi cambiamenti dovrebbero peraltro riflettere i principi di politica estera del PCC, il quale occupa “la cima della moralità umana”, usando le parole del Ministro degli Esteri cinese.
Oltre all’importante data del 2049 ve ne è anche un’altra, il 2021 (centenario della fondazione del PCC), che porta con sé il raggiungimento di alcuni obiettivi preliminari.
Tra queste due date, abbastanza distanti tra di loro, è stato aggiunto il 2035 come data intermedia.
Il progresso cinese avanza così bene che il presidente Xi ha anticipato al 2035 alcuni obiettivi che il Partito nel 1987 aveva stabilito dovessero essere raggiunti alla metà di questo secolo.
L’obiettivo da raggiungere nel 2021 è quello di una “società moderatamente prospera da tutti i punti di vista”, il che spiega la mediatizzata lotta alla povertà condotta dal governo cinese negli ultimi anni. Per quanto riguarda le forze armate l’obiettivo preliminare (che doveva invece essere raggiunto nel 2020, ne parleremo in seguito), è invece quello di una “generale meccanizzazione, migliorata informatizzazione e capacità strategiche grandemente potenziate”.
Per quanto riguarda il 2035 gli obiettivi intermedi da raggiungere comprendono il sostanziale completamento della modernizzazione della difesa nazionale e delle forze armate in parallelo e di pari passo alla modernizzazione del paese; la Cina punta anche a diventare il leader mondiale dell’innovazione.
L’obiettivo finale da raggiungere nel 2049 consiste, come detto in precedenza, nel completamento della restaurazione nazionale. Una Cina rinnovata avrà uno status internazionale che Xi descrive come “leader mondiale in termini di forza nazionale ed influenza internazionale”.
Dal punto di vista militare, la Cina dovrebbe raggiungere nel 2049 la trasformazione delle “forze armate del Popolo” in una forza di altissimo livello, uguale o superiore alle forze armate USA.
Non bisogna però farsi trarre in inganno dal paragone con le forze armate USA: lo sviluppo militare cinese non segue necessariamente gli stessi schemi e le stesse strutture utilizzati dagli USA, si tratta di uno sviluppo proprio, tagliato su misura per soddisfare le necessità cinesi, che quindi potrebbe apparire, in certi ambiti, come “inferiore” ad un occhio non esperto che faccia semplici comparazioni quantitative e qualitative. Torneremo sugli sviluppi militari successivamente.
Per decenni l’Occidente, e con esso gli gli Stati Uniti, ha perseguito una strategia di apertura commerciale ed economica verso la Cina, ritenendo che l’introduzione del libero mercato nel sistema cinese avrebbe fatto crollare il socialismo di stato, cosa che non è avvenuta.
Sebbene nella “linea di base” vengano menzionate riforme e l’apertura verso l’esterno, si tratta di un’apertura relativa e limitata dai Quattro Principi Cardinali, inseriti anch’essi nella Costituzione del PCC.
I quattro principi sono: rimanere sul cammino del socialismo; mantenere la dittatura democratica del popolo; mantenere la leadership del PCC; mantenere il Marxismo-Leninismo ed il pensiero di Mao Zedong”.
L’adozione di alcune logiche di mercato non ha in alcun modo costituito un allontanamento dai principi del socialismo: i leader del PCC hanno imparato una dolorosa lezione dalle catastrofi provocate, all’epoca di Mao, da una progressione troppo rapida verso l’ideale socialista. Lo sfruttamento di alcuni principi capitalistici è stato considerato fin dall’epoca di Deng Xiaoping una necessaria e giustificata regressione dal socialismo volta a superare le circostanze storiche che hanno lasciato la Cina significativamente sottosviluppata.
A scanso di equivoci Xi Jinping ha detto nel 2014 che “promuovere la modernizzazione del sistema di governo nazionale non è occidentalizzazione o capitalismo”.
Qualunque illusione di un cambiamento pacifico dall’interno della società cinese dovrebbe quindi essere abbandonata dai leader occidentali.
I leader del Partito degli ultimi decenni hanno riconosciuto che, se la situazione non fosse stata gestita con cautela, il sistema socialista avrebbe costituito una fonte di tensione a lungo termine con l’Occidente e che il desiderio di un ritrovato status di super potenza unito alla forza crescente del paese avrebbero potuto allarmare le altre potenze mondiali. Per questo motivo la strategia adottata fino ad ora è stata quella di “nascondere le nostre capacità, aspettare il nostro momento, preservarci e crescere gradualmente”.
I leader cinesi hanno mostrato una fine visione strategica di cui vi proponiamo un esempio pratico:
Le iniziative economiche quali l’OBOR (One Belt, One Road) e Made in China 2025, veri e propri strumenti di proiezione ed espansione economica e militare al di là degli storici limiti regionali cinesi, hanno suscitato vive preoccupazioni nell’audience occidentale al tempo della loro presentazione. Per questo motivo l’establishment cinese ha modificato la propria strategia comunicativa, facendo sparire persino i nomi di tali iniziative (Made in China 2025 non viene praticamente più nominato dalle autorità cinesi) o utilizzando una retorica meno aggressiva, senza tuttavia alterare nei fatti tali progetti, che continuano ad essere sviluppati senza fare troppo rumore.
Sebbene quindi i vari leader cinesi abbiano perseguito con coerenza e costanza il rinnovamento nazionale come obiettivo ultimo, hanno dimostrato un certo grado di adattabilità strategica nel cogliere le occasioni che man mano si presentano e nel gestire le minacce alla propria strategia.
Il progresso cinese è però dilaniato da una contraddizione: da una parte l’attuale ordine internazionale, la pace e la stabilità da esso assicurate, il libero mercato ed il commercio globale hanno garantito alla Cina dei benefici economici e diplomatici enormi ed altrimenti irrealizzabili; dall’altra parte questo sistema è considerato incompatibile con la strategia e la visione cinese che prevede un nuovo ordine mondiale basato sul concetto di “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.
Man mano che la forza cinese cresce, e con essa i mezzi e le opportunità a sua disposizione, le politiche revisioniste dell’ordine mondiale diventano sempre più forti ed energiche.
LA POLITICA ESTERA
La sopracitata “comunità con un futuro condiviso per l’umanità” è l’obiettivo principale della politica estera cinese: la Cina riconosce di non poter realizzare l’agognata restaurazione nazionale restando isolata, ha bisogno che tutte le nazioni si pieghino davanti alle esigenze cinesi,
seguendo i principi del PCC nel relazionarsi le une con le altre.
Creare questa “comunità” è essenziale per stabilire la sicurezza esterna e le condizioni economiche necessarie.
Tutte le nazioni devono adottare i principi diplomatici cinesi affinché la Cina possa “mostrare la strada all’umanità” e “aprire il cammino allo sviluppo comune della Cina e del mondo”.
Le relazioni estere cinesi si differenziano secondo quattro categorie di attori:
– le potenze maggiori, con le quali la Cina intrattiene una sorta di collaborazione/competizione e che vuole spingere verso uno “sviluppo stabile e bilanciato” del sistema internazionale, cioè essenzialmente un sistema multipolare (affinché nessun paese abbia una posizione di preminenza rispetto alla Cina).
– le nazioni periferiche, con le quali la Cina desidera rafforzare le relazioni per creare un clima più favorevole lungo i suoi confini terrestri e marittimi, in accordo con una “corretta visione di giustizia ed interessi”, stabilita dalla Cina.
– le nazioni in via di sviluppo, verso le quali la Cina mostra solidarietà e cooperazione, anche allo scopo di influire sull’ultima categoria, cioè
– le organizzazioni internazionali (quali per esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) o l’Organizzazione per il Cibo e l’Agricoltura (FAO)), nelle quali la Cina cerca di diventare l’azionista di maggioranza con il supporto dei paesi in via di sviluppo che hanno beneficiato della sua “generosità”.
La politica estera cinese non passa solamente dalla diplomazia. Nel 2019 il PCC ha deciso che è arrivato il momento di un cambiamento quasi epocale: le forze armate (che ricordiamo non servono direttamente lo Stato ma sono il braccio armato del Partito, quindi un organo politico) devono avere un ruolo più attivo nel far avanzare la politica estera cinese. Le forze armate cinesi sono esplicitamente chiamate a “partecipare attivamente” alla riforma del sistema di governo mondiale.
LA POLITICA ECONOMICA
La modernizzazione delle forze armate è legata a doppio filo alla modernizzazione ed allo sviluppo dell’economia, questo per tre motivi principali:
1) Un’economia solida ed in crescita consente di dedicare alle forze armate un budget sempre più importante (nel 2019 la Cina ha annunciato che il proprio budget annuale sarebbe aumentato del 6,2%, continuando una tradizione più che ventennale di aumenti costanti del budget della difesa che l’hanno portata ad essere attualmente il secondo paese dopo gli Usa per spesa militare. Da notare anche che il budget militare disponibile pubblicamente non contempla diverse voci maggiori, la reale spesa militare cinese è quindi molto più alta di quanto dichiarato ufficialmente).
2) Alcune iniziative economiche come la OBOR possono potenzialmente mettere le basi per proiettare la potenza militare lontano dalla madrepatria (per esempio l’accesso a porti stranieri che vengono ristrutturati ed ampliati a spese cinesi secondo standard militari, e che possono quindi diventare la base di operazioni militari o dare supporto logistico alle forze cinesi in qualsiasi momento. Torneremo sugli standard militari fra poco) costituendo anche una “scusa” per le forze armate cinesi di muoversi lontano dai confini per tutelare e difendere i loro interessi all’estero.
3) La Cina ottiene l’accesso a tecnologie straniere da utilizzare nel settore militare attraverso investimenti, acquisizioni, importazioni, centri di ricerca e sviluppo esteri, joint ventures, partnership accademiche, caccia ai talenti, oltre che spionaggio industriale e cibernetico nonché con altri mezzi più classici. .
LA FUSIONE MILITARE-CIVILE
Le autorità cinesi hanno formulato una strategia di ampio respiro che prevede la fusione completa tra settore civile e militare allo scopo di costruire un sistema strategico nazionale integrato. Questo significa che non c’è una linea di demarcazione chiara tra l’economia militare e quella civile, e che, per tornare all’acquisizione di tecnologia estera, tutte le tecnologie acquisite da una qualunque compagnia o società cinese possono essere utilizzate per scopi civili e militari, indifferentemente, il che rende molto difficile a paesi concorrenti la collaborazione con la Cina, in quanto indirettamente collaborano al suo sviluppo militare.
Cosa comporta praticamente questa fusione?
Queste sono le caratteristiche principali:
1) Fondere le risorse industriali militari e civili, cioè espandere la partecipazione del settore privato nell’industria e nelle catene logistiche militari, trasferire tecnologie mature tra i due settori così che entrambi ne beneficino, ridurre la dipendenza dall’estero per quanto riguarda tecnologie e materiali chiave.
2) Integrare e sfruttare le innovazioni scientifiche e tecnologiche in entrambi i settori, promuovendo lo sviluppo di tecnologie a doppio uso (militare/civile) e condividendo le risorse scientifiche.
3) Coltivare talenti nelle accademie militari e nelle università civili, facendo in modo che gli esperti che da queste usciranno possano partecipare a progetti di sviluppo indipendentemente dalla natura civile o militare di questi ultimi.
4) Integrare i requisiti normalmente richiesti per costruire strutture militari nella costruzione delle infrastrutture civili (aeroporti, porti, strade ferrate, sistemi di telecomunicazione) rendendole facilmente utilizzabili per scopi militari, sia in patria che all’estero (come accennavamo parlando dell’OBOR), quando necessario.
5) Costituire un sistema di mobilizzazione difensiva nazionale che consenta di utilizzare tutte le risorse civili e militari rapidamente ed efficacemente quando e come le circostanze lo richiedono.
Non si tratta di un’idea recente, ma mentre nel passato si parlava di “integrazione”, recentemente si è passati all’utilizzo del termine “fusione”, molto più incisivo.
Questa strategia è chiaramente d’importanza capitale: tutti i più importanti organi del Partito sono coinvolti nella sua gestione ed implementazione.
Nel 2017 è stata anche creata la Commissione Centrale per lo Sviluppo della Fusione Militare e Civile, presieduta da Xi Jinping in persona, fatto che deve farci valutare attentamente l’importanza di questo capitolo,e da tutte le più importanti personalità cinesi.
GLI SVILUPPI MILITARI
Nel primo rapporto al Congresso, richiesto da quest’ultimo nell’anno 2000, il Dipartimento della Difesa Americano descriveva le forze armate cinesi come “considerevoli ma prevalentemente arcaiche, non adatte alla realizzazione delle ambizioni del PCC”. All’epoca le forze cinesi non avevano le capacità, l’organizzazione e la prontezza operativa per sostenere una guerra moderna. La struttura e le capacità militari cinesi erano perlopiù concentrate sul concetto di guerra terrestre su vasta scala lungo i confini della Cina; le forze navali ed aeree erano assolutamente obsolete; i missili convenzionali, a corto raggio poco precisi; le capacità cyber, rudimentali; l’industria militare aveva difficoltà a produrre sistemi di alta qualità; anche avendo a disposizione sistemi moderni ed affidabili, le forze armate non avevano l’organizzazione, la coordinazione e l’addestramento necessari per utilizzarli efficacemente.
Dopo 20 anni ci sono ancora problemi di ampia portata di cui le autorità cinesi sono a conoscenza, e la loro strategia richiede infatti ancora 30 anni di modernizzazione e riforma. Nonostante ciò, ci sono delle aree in cui la Cina ha già superato numericamente (ma non ancora in qualità) gli Stati Uniti:
– Marina: la Cina ha la più grande Marina del mondo che conta più di 350 navi e sottomarini di cui più di 130 navi da guerra maggiori. la Marina USA dispone di circa 293 navi.
– Missili cruise (GLCM) e balistici convenzionali (GLBM) lanciati da terra (la G della sigla, Ground): più di 1.250, con una portata variabile tra 500 e 5.500 km. Gli Usa dispongono attualmente di un solo tipo di missili balistici convenzionali con un raggio di 70-300 km e nessun GLCM, in quanto il
trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces), firmato negli anni 80 da USA ed Unione Sovietica (e recentemente denunciato dall’amministrazione Trump)limita il possesso di questi missili.
– Sistemi integrati di difesa aerea: le forze armate cinesi dispongono di una delle più grandi forze al mondo di sistemi terra-aria a lungo raggio che costituiscono parte della sua robusta e ridondante (termine con accezione positiva in questo caso) architettura di difesa aerea, inclusi sistemi russi S300 invarie versioni, mentre la Russia ha deciso di non fornire i sistemi S-400.
Come avevamo accennato in precedenza la “generale meccanizzazione” delle forze armate doveva essere completata nel 2020, secondo il piano originale formulato nel 2015.
Nel libro bianco pubblicato nel 2019 però si fa notare che “l’armata per la liberazione del popolo” (PLA) non ha ancora raggiunto il traguardo prefissato, che è stato posticipato, secondo quanto detto da ufficiali cinesi, al 2021 o 2022.
Veniamo ora ad una breve analisi delle principali forze che compongono la PLA:
– Esercito di terra (PLAA): si tratta dell’esercito di terra più numeroso al mondo con 915.000 soldati in servizio attivo.
Il compito delle forze di terra sta evolvendo dalla difesa regionale al rafforzamento della capacità di condurre operazioni sostenute in multipli teatri di guerra.
L’esercito è in corso di riorganizzazione e ristrutturazione. Si sta puntando molto su formazioni di livello più basso e dimensione ridotta (le cosiddette brigate combinate) in quanto più flessibili e più adatte a condurre complesse operazioni congiunte con altri rami delle forze armate.
Si contano al momento 13 gruppi d’armata, composti in totale da 78 brigate combinate.
Le brigate si distinguono in pesanti, medie o leggere (a seconda dei mezzi di trasporto truppe utilizzati, rispettivamente, cingolati, ruotati e ad alta mobilità) e contare fino a 5.000 uomini.
Ogni corpo d’armata dispone inoltre di 6 brigate specializzate (artiglieria, difesa aerea, aviazione, forze speciali, genio e difesa chimica, logistica).
Nonostante le ormai acquisite capacità cinesi di produrre armamenti ed equipaggiamenti moderni e di alto livello, l’esercito è talmente numeroso che non si é ancora riusciti a ritirare dal servizio tutti i veicoli e le armi arcaiche: è possibile osservare una grande disparità di armamenti tra una brigata e l’altra, passando da carri armati degli anni 60 a moderni “main battle tank” di terza generazione. È solo una questione di tempo prima che tutte le forze di terra dispongano di equipaggiamento moderno.
Dopo due anni dedicati alla ristrutturazione, nel 2019 il focus è stato spostato verso più numerose ed intense esercitazioni combinate e congiunte con le altre branche delle forze armate che simulino scenari sempre più realistici con la presenza di forze dedicate che facciano da “nemico”, il tutto per avere una simulazione il più possibile realistica. Si tratta di un’esigenza sentita da tutte le componenti delle forze armate in quanto da decenni l’esercito cinese non partecipa ad una vera guerra e non ha quindi reale esperienza di combattimento.
– Marina (PLAN): Si tratta della Marina più grande al mondo e può contare su circa 350 navi e sottomarini.
Il documento bianco del 2019 descrive la transizione della marina da “difesa nelle acque prossime” a “missione di protezione nei mari lontani”.
Le forze navali sono attualmente suddivise in tre flotte (Settentrionale,Orientale e Meridionale). La marina si sta concentrando nel rimpiazzare i mezzi di precedenti generazioni ad una velocità sconcertante.
Per esempio negli ultimi anni i cantieri navali cinesi hanno prodotto 17 sottomarini d’attacco diesel-elettici Yuan, ed è previsto che ne vengano prodotti altri 25 nei prossimi 5 anni.
Al momento la marina cinese dispone di 12 sottomarini nucleari (con armamento nucleare, si intende), di cui 6 Jin Type 094, i quali rappresentano la prima forma credibile di deterrenza nucleare marina (ognuno di essi porta 12 missili balistici).
La costruzione della nuova generazione di sottomarini nucleari Type 096, che saranno equipaggiati con nuovi missili balistici , è iniziata quest’anno e la marina cinese conta di averne a disposizione 8 nei prossimi 10 anni.
I mezzi di superficie più moderni invece vengono sistematicamente equipaggiati con sistemi lanciatori multiruolo che siano in grado di lanciare siluri, missili antiaerei ed antinave. Vengono anch’essi prodotti in serie ad una velocità impressionante.
La Cina dispone attualmente di una portaerei costruita localmente, la Shandong, terminata nel 2017. Un’altra di nuova generazione, con più autonomia e dotata di sistemi a catapulta (che permettono di far decollare aerei più grandi e pesanti), è in costruzione; è prevista inoltre la costruzione di diverse altre nei prossimi anni. Queste nuove portaerei consentiranno alla marina cinese di accrescere grandemente la potenza di una flotta dispiegata al di là delle acque periferiche cinesi.
La punta di lancia della marina cinese è costituita probabilmente dalle nuove navi anfibie Yushen Type 075 (una già dispiegata, la seconda in arrivo) che si affiancano alle precedenti Yuzhao Type 071 (di cui 7 già operative ed una in arrivo); si tratta di vascelli polivalenti che possono operare lontano dalla flotta in maniera completamente autonoma e che possono portare un grande numero di mezzi da sbarco, truppe (Marines), veicoli corazzati, elicotteri ed equipaggiamenti.
I mezzi perfetti per dispiegamenti a lungo raggio.
A proposito di Marines, il corpo dei Marines cinese continua ad espandersi ed a concentrarsi su spedizioni militari ad ampio raggio invece che sul ruolo tradizionale di difesa ed assalto anfibio delle isole nel Mar Cinese Meridionale.
Il corpo dei Marines contava precedentemente 2 brigate composte da circa 5.000 uomini ognuna. Negli ultimi due anni le brigate sono diventate 8.
Il ruolo futuro dei Marines sarà sempre più quello di proteggere gli interessi cinesi oltremare: già adesso un contingente è stazionato presso la base militare cinese in Djibouti che ha il compito di supportare un eventuale intervento militare cinese in Africa ed in Medio Oriente a difesa degli investimenti e delle infrastrutture cinesi.
– Aviazione (PLAAF): si tratta dell’aeronautica più grande della regione Indo-Pacifica e la terza al mondo, 2.500 velivoli (droni e aerei da addestramento esclusi) di cui 2.000 da combattimento. Anche in questo caso si assiste ad una transizione che va dalla difesa aerea territoriale ad una forza aerea strategica capace di una proiezione di forza a lungo raggio ed in grado di compiere operazioni difensive ed offensive.
Dei 1.500 caccia operativi più di 800 sono ormai caccia di quarta generazione, che rapidamente stanno sostituendo quelli più antiquati.
Nell’ottobre 2019 la Cina ha mostrato al mondo il ritorno della componente aerea del trittico nucleare (bombardieri, sottomarini, missili lanciati da terra) con la presentazione del nuovo H-6N, il suo primo bombardiere nucleare che può essere rifornito in volo, ampliando la portata già considerevole dei bombardieri della famiglia H-6 che potevano raggiungere Guam a partire dalle basi aeree in Cina.
Nuovi droni e velivoli equipaggiati per la ricognizione e la guerra elettronica vengono costantemente aggiunti alla flotta.
– Forza missilistica (PLARF): si tratta della forza che gestisce le capacità missilistiche di terra, convenzionali e nucleari, e ed è quindi una delle componenti del trittico nucleare.
Il piano per la forza missilistica prevede il rafforzamento della deterrenza nucleare e delle capacità di contrattacco.
Nel 2019 la PLARF ha lanciato più missili balistici, a scopo di test ed esercizio, del resto del mondo messo insieme.
Considerato il notevole sviluppo delle capacità missilistiche cinesi, specialmente di nuovi vettori ipersonici, le autorità cinesi considerano necessario produrre un maggior numero di testate atomiche, soprattutto a causa del dispiegamento di MIRV (missili che portano multiple testate nucleari); si prevede infatti che il numero di testate nucleari lanciabili da terra (attualmente 100) raddoppierà nei prossimi 5 anni.
– Forza di supporto strategico (SSF): si tratta dell’organizzazione responsabile (tra le altre cose) della guerra elettronica, d’informazione e psicologica.
La SSF applica alla guerra d’informazione il concetto delle “Tre Guerre”, cioè guerra psicologica, dell’opinione pubblica e legale.
Il compito dell’organizzazione è quello di modellare la narrativa pubblica internazionale, indebolire la volontà del nemico, modellare le narrative diplomatiche e politiche e portare avanti gli interessi cinesi attraverso ogni fase del conflitto.
Al momento il target principale delle operazioni del SSF sono gli Stati Uniti.
Uno scenario al quale i militari stanno lavorando alacremente negli ultimi anni è quello relativo al possibile coinvolgimento di un un terzo soggetto in una campagna militare su larga scala, come ad esempio nel caso in cui gli USA cercassero di fermare l’invasione cinese di Taiwan.
I militari stanno lavorando per offrire alla Cina delle opzioni viabili atte a dissuadere o, se necessario, sconfiggere, un soggetto terzo che dovesse interferire nelle operazioni militari cinesi (anti-access/area-denial, A2/AD).
Tali capacità di dissuasione e deterrenza sono al momento molto robuste all’interno della prima catena di isole (linea ideale che collega il sud del Giappone al Vietnam, e che comprende il Mar Cinese Orientale e Meridionale, e quindi Taiwan) ma la Cina punta ad estenderle ed a poter condurre operazioni anche offensive all’interno della seconda catena di isole (che comprende le Filippine e l’Indonesia) e oltre, nell’Oceano Pacifico ed Indiano ed in alcuni casi in tutto il globo.
DETERRENZA NUCLEARE
Ne abbiamo già parlato frammentariamente, ma vale la pena spendere ancora qualche parola sulla deterrenza nucleare.
La politica nucleare cinese ha come priorità il mantenimento di una forza nucleare capace di sopravvivere ad un primo strike e di rispondere con sufficiente forza da infliggere al nemico un danno considerato inaccettabile.
Nei prossimi 10 anni il numero totale di testate atomiche (che è stimato attualmente tra 200 e 300) dovrebbe, secondo le previsioni, come minimo raddoppiare.
Ci sono inoltre sempre maggiori evidenze che la Cina voglia mantenere almeno parte dei missili nucleari in uno stato perenne di LOW (Launch on Warning), quindi pronti ad essere lanciati in pochissimo tempo.
Per assicurare la sopravvivenza delle forze nucleari un altro elemento fondamentale è la diversificazione dell’arsenale, e la triadenucleare, come abbiamo visto, è in corso di potenziamento.
Per decenni la Cina ha mantenuto una politica che prevede il “No First Use”: la Cina non utilizzerà mai per prima armi nucleari in nessuna circostanza, e non userà né minaccerà mai di usare armi nucleari contro paesi non nucleari.
Esiste però una certa ambiguità sul tema in quanto di recente ufficiali cinesi hanno pubblicamente avvertito della necessità di prevedere circostanze in cui la Cina possa utilizzare armi nucleari per prima, per esempio nel caso in cui un attacco convenzionale nemico minacci la sopravvivenza della forza nucleare cinese o del regime stesso.
La mancanza di trasparenza cinese non permette di saperne di più sulla questione, ma il grado e la rapidità della modernizzazione e dell’ampliamento delle forze nucleari suscitano più di qualche dubbio sulle intenzioni future del regime.
Siamo arrivati alla fine di questo resoconto.
Si tratta di informazioni pubbliche, a cui tutti hanno accesso, ma che spesso non sono trattate dai media generalisti e che probabilmente sono sconosciute anche a molti politici. Eppure riteniamo essenziale comprendere le ragioni profondamente ideologiche che spingono la Cina ad agire e che determinano, da sempre e per sempre, la sua politica estera.
Si tratta di un paese formidabile, spinto da una visione chiara e mosso da una volontà politica e sociale granitica , un paese che purtroppo trova davanti a sé un Occidente privo di visione e di scopi, che non sa cosa fa né dove sta andando, in cui l’individualismo più sfrenato e la visione politica miope, attenta soltanto ai bisogni e “alle voglie” del momento, impediscono quella che sarebbe una necessaria pianificazione del futuro.
Per il momento l’insieme dei paesi occidentali è militarmente più solido e meglio organizzato della Cina (soprattutto grazie agli USA), ma abbiamo visto che la situazione sta cambiando; se nel futuro dovesse scoppiare un conflitto su vasta scala, anche non nucleare, la preparazione civile e militare cinese sarebbero ineguagliate e costituirebbero un vantaggio enorme.
Questo è il momento di aprire gli occhi sulla realtà cinese e capire che il regime cinese non si fermerà prima di aver piegato il mondo intero alla propria volontà, come pubblicamente e chiaramente affermano i suoi leader da decenni. Questo è il momento di prendere delle contromisure per limitarne l’espansione, la modernizzazione militare e soprattutto le ambizioni di Pechino.
In assenza di contromisure efficaci conseguenti alla presa di coscienza relativa al pericolo reale concreto e presente rappresentato dall’espansionismo politico, culturale e militare cinese , sarà solamente una questione di tempo prima che anche l’Occidente si pieghi davanti al socialismo del Partito Comunista Cinese.
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