Alla fine, dopo la netta sconfitta al Referendum Costituzionale dello scorso 4 dicembre, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rassegnato le proprie dimissioni al Capo dello Stato.
Il Presidente del Consiglio, probabilmente per cercare una legittimazione popolare che ancora gli mancava, ha deciso di legare la sorte del suo primo governo all’esito di un referendum che invece avrebbe dovuto decidersi unicamente sul merito della proposta di riforma costituzionale, come anche noi (apertamente schierati per il NO) avevamo auspicato.
Le dimissioni di Renzi, ad un anno dalla scadenza naturale della legislatura, e senza che il Parlamento abbia deciso sulla nuova legge elettorale, fanno sembrare la decisione del Segretario PD una scelta votata al “tanto peggio, tanto meglio”, quell’atteggiamento più volte criticato dallo stesso Renzi e del quale accusava a turno le opposizioni al suo esecutivo.
Dimissioni che lasciano il paese senza guida, nella più triste tradizione italica, quando il paese ne ha invece un assoluto bisogno. Renzi avrebbe dovuto restare in sella, non solo per varare la legge di stabilità ma anche per riformare la legge elettorale, e solo a quel punto passare la mano.
Così, oggi il Presidente Mattarella si trova dinanzi ad un garbuglio istituzionale. Nessuna norma costituzionale prevede che Camera e Senato debbano avere “leggi elettorali omogenee”, anche se il buon senso afferma che questo sarebbe invece indispensabile per garantire governabilità al paese dopo le prossime elezioni. La Costituzione sancisce che il Presidente della Repubblica abbia il diritto e il dovere di sciogliere la Camera e il Senato se non emergerà in esse una maggioranza utile a sostenere u governo. Il problema oggi è che, per avere la fiducia della Camere, sono indispensabili (indispensabili e non solo necessari) i voti del Partito Democratico, e nessuna delle opposizioni ha interesse (politico ed elettorale) a parte della futura maggioranza, perché? Per una semplice ragione: le forze politiche che non entrassero a far parte della maggioranza del nuovo esecutivo, avrebbero tra le mani un’arma potentissima nella campagna elettorale prossima ventura: accusare la parte di opposizione entrata in maggioranza, di essere contigua al Partito Democratico e quindi sottrarre voti a quella forza politica. Questo tipo di ragionamento vale ancora di più a fronte di una legislatura che vede davanti a se un arco temporale massimo di soli 12 mesi.
Al termine delle Consultazioni, l’unica opzione a disposizione del Presidente Mattarella sarà quella di cercare i voti per il nuovo governo nella maggioranza che oggi sostiene Renzi, ma che per forza di cose dovrà palesare il sostegno dei Verdiniani di ALA al Senato, fatto che offrirà alle opposizioni più “radicali” una ulteriore “arma” da utilizzare nella campagna elettorale.
Il secondo problema di Mattarella sarà quello di individuare una personalità politica in grado di rappresentare efficacemente l’Italia all’estero, ed essere allo stesso tempo un politico in grado di far valere l’interesse nazionale italiano. Il nuovo governo potrebbe infatti dover affrontare la crisi bancaria (parliamo di Monte dei Paschi e di UNICREDIT), nel caso in cui gli aumenti di capitale dovessero non andare a buon fine. In questo caso lo stato dovrebbe intervenire, sia per non far scattare il famigerato “Bail-in” sia per impedire un effetto domino in grado di intaccare la fiducia dei risparmiatori e con essa l’intero sistema del Credito in Italia.
Esiste oggi una tale figura a disposizione di Sergio Mattarella? Se questa figura esiste sarà gradita al segretario del PD, e a queste due domande può esistere una doppia risposta affermativa?
E’altamente probabile che Mattarella conferisca un mandato esplorativo ad una figura istituzionale, noi crediamo ad un ministro dell’attuale esecutivo. Il nostro gruppo ritiene le due figure più accreditate per questo ruolo siano il ministro Delrio, forse il più benvoluto da Renzi e il ministro Gentiloni, forse il candidato in pectore del Quirinale.
Se la figura istituzionale dovesse fallire, l’Italia rischia di avvilupparsi in una spirale di immobilismo, in attesa di una indicazione da parte della Corte Costituzionale che potrebbe tuttavia non risolvere il rebus della legge elettorale.
Forse l’ipotesi migliore al momento è che proprio quella che ipotizzavamo all’inizio. Il governo Renzi resti in carica per poche settimane, si faccia rapidamente una legge elettorale (così come rapidamente in 36 ore il Senato ha approvato la legge di Stabilità) e si vada a votare nel mese di marzo, così che il Paese sia presto governato dopo le indicazioni de Popolo Sovrano. Il Presidente del Consiglio avrebbe il non piccolo vantaggio di competere in campagna elettorale da Palazzo Chigi, forse questo potrà convincere il Matteo che oggi si è dimesso, a rimanere alcune settimane a capo del governo.
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