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L’Irak diviso tra l’assalto dello Stato Islamico e l’invasione iraniana

Irak Iran

“L’esercito iracheno avanza a Tikrit”; “Vittorie dell’esercito iracheno contro l’ISIS”; “L’esercito iracheno all’offensiva”. Questi i titoli dei maggiori media italiani negli scorsi giorni durante la battaglia a nord di Baghdad e a Tikrit, centro nevralgico del Triangolo Sunnita iracheno, peccato che questi titoli, seppure non si possano definire errati, sono comunque inesatti perché non rappresentano la reale situazione sul campo di battaglia di quel paese che una volta era l’Irak, l’Irak unito dalla dittatura di Saddam Hussein. Una dittatura che opprimeva sciiti e curdi, spesso giustiziati in maniera sommaria nell’indifferenza generale, ma che conferiva comunque al paese una sorta di identità.
Ora l’Irak è uno stato fallito, dove ad est impera il Califfato che cerca di far presa su tutto il triangolo sunnita. A nord è nato uno stato curdo non riconosciuto da nessuno ma che ha la propria bandiera, le proprie forze armate ed una sua economia, e da Baghdad fino a Bassora e fino al confine con l’Iran ora si assiste ad una invasione iraniana. Una invasione benvenuta dalla popolazione sciita come “l’Anschluss” tedesca dell’Austria prima della seconda guerra mondiale. L’invasione iraniana dell’Irak oggi è palese, militare, compiuta dalle stesse guardie della rivoluzione, con la bandiera di Teheran orgogliosamente cucita sull’uniforme, con armi iraniane, artiglieria iraniana e generali iraniani che comandano quel mix di milizie sciite, reparti delle Guardie della Rivoluzione e battaglioni dell'”esercito iracheno” che cercano di cacciare lo Stato Islamico, e che allo stesso tempo vogliono istituire l’egemonia sciita su tutto il paese.
Ora che lo stato islamico è più debole, ora che appare chiaro l’appoggio incondizionato di Obama agli sciiti contro i sunniti iracheni, anche i curdi temono che l’avanzata dell'”esercito iracheno” possa proseguire ben oltre Tikrit e arrivare a Mosul, prima che possano farlo gli stessi Peshmerga curdi.
I curdi temono che se gli sciiti conquisteranno Mosul non si sarà fatto altro che sostituire un occupante con un altro occupante, un po’ come avvenne per la Polonia alla fine della seconda guerra mondiale, quando all’occupazione tedesca si sostituì l’occupazione sovietica.
Questo sta accadendo oggi nelle aree non sciite dell’Irak, e tutto ciò accade con la benedizione della Casa Bianca che ha scelto negli Ayatollah di Teheran i propri partner nel Medio Oriente. Partner ai quali concedere tutto, la vittoria in Irak e Siria, l’esclusione di Hezbollah della lista dei gruppi terroristici, la possibilità di sviluppare un programma missilistico a lungo raggio, la possibilità di essere a meno di un passo dall’acquisire capacità nucleari di tipo militare.
Certo la minaccia dell’ISIS è concreta, è terribile, ma non è che per ridimensionare la barbarie del Califfato si possa lasciare all’Iran la possibilità di invadere silenziosamente gran parte del territorio iracheno, perché gli sciiti a loro volta discrimineranno i sunniti (come già fatto negli ultimi 5 anni di governo in Irak) mantenendo viva sete di vendetta e di rivalsa della popolazione sunnita che subirà vessazioni e violenze per la sola appartenenza ad una corrente differente dell’Islam.
L’America ha abdicato alle proprie responsabilità, ha abbandonato gli alleati, e ora si chieda al fianco dell’Iran per determinare quel “terremoto mediorientale” evocato da Obama al momento della sua rielezione, un terremoto del quale oggi iniziamo a vedere i primi effetti.