È sempre più importante, sia sotto il punto di vista numerico, sia sotto il punto di vista politico l’impegno delle forze armate turche in terra di Siria.
Dopo aver conquistato la cittadina di Jarablus e aver riconnesso il corridoio Jarablus Azaz (con la presenza di alcune decine di veicoli blindati e una quarantina di carri armati M60), le forze turche sono entrate nella provincia di Aleppo con circa 70 carri armati Leopard 2A4, numerosi veicoli blindati e la costante copertura delle artiglierie pesanti e della forza aerea.
È a nostro avviso evidente la volontà turca di costituire una “zona di sicurezza (occupata)” all’interno dei confini siriani, da dove organizzare la creazione di un’entita parastatale sunnita filo-turca che si opponga fattivamente alla presenza curda nell’area, con il non celato obiettivo di eliminare la presenza curda da tutta la linea di confine tra Siria e Turchia. In questa ottica il vero bersaglio delle truppe di Ankara non sono (per il momento) i militanti dello stato islamico, così come non è un bersaglio il presidente siriano Al Assad, che ha accettato nei fatti la presenza di truppe turche sul suolo di Siria.
L’operazione turca sembra invece non interessare l’estremo occidentale del confine tra Siria e Turchia, dove appaiono interrotte le linee di rifornimento dei ribelli turcomanni nella regione di Latakia, così come appaiono non più efficienti le linee di rifornimento verso la città di Aleppo.
Sembra quindi delinearsi un accordo tra Russia-Siria-Turchia e Stati Uniti che al momento, e ribadiamo al momento, prevede la permanenza al potere di Al Assad, la presenza di forze curde solo in una limitata area ad est dell’Eufrate, la creazione di una zona di sicurezza occupata da parte dei turchi, che si estende per circa 90 chilometri a sud del confine tra Siria e Turchia, e l’interruzione delle linee di rifornimento per i ribelli presenti al di fuori di questa area occupata.
Appare però evidente che questo “accordo” possa essere soltanto una soluzione a breve termine in quanto esso non garantisce uno stabile equilibrio delle forze ora in guerra per la Siria. È indubbio che senza l’appoggio delle forze regolari della Turchia le forze della ribellione sarebbero nuovamente oggetto dei raid dell’aviazione russa e siriana, e che altresì potremmo nuovamente assistere a lotte intestine per il potere all’interno delle sette forze ribelli. È inoltre evidente che Al Assad e la Siria non possono tollerare nel lungo periodo una violazione delle sovranità nazionale, fatto che espone il presidente siriano a forti critiche interne, ed offre ad elementi interni al regime (in cerca di potere), un pretesto per coagulare gruppi militari disposti ad un possibile colpo di stato contro lo stesso Al Assad.
Se inoltre dovesse prevalere alle elezioni americane il partito democratico, la stessa permanenza al potere di Al Assad sarebbe vista a Washington come un fallimento della politica americana in Siria ed in medio oriente, così come sarebbe visto in Turchia un “fallimento” se le forze turche in Siria iniziassero a riportare perdite consistenti.
Come potete osservare l’invasione della Siria da parte della Turchia ha ulteriormente complicato uno scenario già caotico e che oggi vede la presenza di una nuova variabile, quella turca, non del tutto prevedibile, con schemi di comportamento ed alleanze ancora da definire sia nella regione che a livello globale.
L’invasione turca della Siria ha inoltre portato per la prima volta, ed ufficialmente, truppe non alleate di Al Assad a combattere sul suolo siriano, evidenziando che definire oggi quella in atto in Siria “guerra civile” è un errore non solo formale ma sostanziale, in quanto ora in Siria combattono attivamente numerose nazioni, che prima hanno eletto alcuni gruppi locali a loro proxy, mentre ora si vedono costrette ad intervenire in prima persona per non veder fallito il loro progetto egemonico sulla regione.
Sottolineiamo inoltre che le motivazioni che hanno spinto i turchi (e gli Stati Uniti) a sostenere la rivolta siriana quattro anni fa, sono a nostro avviso ancora presenti e che Erdogan, se e quando ne avrà la possibilità, cercherà di portare a compimento la sua idea di una “grande Turchia”, la cui influenza possa arrivare fino alle sponde del nord Africa, in un progetto “divino” per quale egli pensa di essere destinato.