Ospitiamo oggi con piacere un editoriale di Matia Sampietro buona lettura.
Mentre i tuttologi e vari politici esperti in tutto nei media e nelle reti sociali si esprimono in maniera barbara sulla Turchia, liquidando con qualche riga i recenti fatti avvenuti ad Ankara e a Istanbul con delle certezze che sembrano illuminati da Dio è doveroso procedere con estrema cautela anche in questo caso, diffidando dunque dalle analisi superficiali e approssimative.
Tutto ciò in gran parte è dovuto alla poderosa propaganda ideologica di questi tempi e al fatto di sentirsi in dovere di poter spiegare tutto ciò che avviene anche in Oriente Prossimo con forti connotazioni demagogiche e populiste che li porta a utilizzare pertanto in maniera totalmente errata, confusa e a sproposito dei concetti ben precisi come dittatura o comunque autoritarismo chiuso, sistema dittatoriale, democrazia, Islam, islamismo, “golpe”, laicità, laicismo e via discorrendo sino ad arrivare alle complicate ma per qualcuno semplici relazioni tra la Turchia, gli altri Stati in Oriente Prossimo in particolare Iraq, Iran e Siria, la UE, gli USA e la Russia.
Premesso che la situazione geo-strategica della Turchia, membro NATO, è una tra le più complesse del panorama politico mondiale nelle Relazioni Internazionali e nella Geopolitica, possiamo ricordare ante omnia almeno due delle teorie che hanno avuto molto successo in relazione al sistema internazionale in cui ci troviamo e che possono offrire degli interessanti spunti di riflessione in merito ai recenti avvenimenti.
Secondo Huntington l’attuale struttura del sistema internazionale non rientra nei tre modelli convenzionali (unipolare, bipolare e multipolare), ma in un sorta di ibrido definito mondo uni-multipolare con una superpotenza e varie potenze principali. In questo mondo, date le differenze tra potere militare, potere economico e i vari centri di potere troveremo probabilmente una riduzione di conflitti tra la superpotenza e le varie potenze regionali, invece inevitabili in un mondo unipolare. (1)
Jospeh Nye, conosciuto per il paradigma dell’interdipendenza complessa, invece immagina la distribuzione del potere come una partita a scacchi tridimensionale tra Stati e altri attori, in cui posiziona nella parte superiore della scacchiera il potere militare detenuto dagli Stati Uniti delineante una struttura chiaramente unipolare; nella parte intermedia il potere economico è invece distribuito in modo più equilibrato tra Stati Uniti, UE Giappone e i vari Paesi emergenti, di cui in particolare la Cina; mentre la parte inferiore si caratterizza per la presenza di tutte quelle relazioni transnazionali che attraversano tutte le frontiere trovandosi al di fuori del controllo statale come ad esempio le speculazioni finanziarie, internet o le reti terroristiche, in cui il potere resta disperso e per cui Nye ritiene sostanzialmente inutile parlare di unipolarità o di multipolarità. (2)
Viste le difficoltà di inquadrare con certezza il sistema internazionale a seconda delle differenti prospettive teoriche, possiamo comprendere la complessità dei rapporti tra gli Stati in questi decenni e mi chiedo come sia possibile che qualcuno possa sfornare verità assolute e semplicistiche che in questo campo non esistono.
Inoltre vorrei approfittarne per fare maggiore chiarezza sul regime politico della Turchia che sta creando non poche confusioni.
Il regime politico della Turchia non è assolutamente una “dittatura” come propagandisticamente spesso si afferma, e in Politica Comparata soprattutto in relazione alle ultime decadi la si è definita in tantissimi modi dipendendo dagli indicatori utilizzati anche a causa della continua presenza dei veto players e dei domini riservati (ovvero attori informali e formali con capacità di decisione e di influenza senza essere soggetti a responsabilità politica), e in questo ultimi periodo oscilla sempre tra i vari tipi di una democrazia difettosa (flawed democracy) e un regime politico ibrido che presenta elementi propri di una democrazia e altri caratteristici di un regime autoritario. (3)
In riferimento all’intervento dei militari negli affari interni della Turchia, bisogna doverosamente ricordare che è sempre stata una costante nella sua storia, e quello del 15 luglio 2016 fu il sesto intervento dalla sua fondazione come Repubblica nel 1923 (tentativi compresi). (4)
La domanda da un milione di dollari è: Cosa porterà questo ultimo intervento fallito dei militari in Turchia?
Porterà una maggiore democrazia o assisteremo tutti a un retrocesso del processo di consolidazione democratica?
È ancora presto per avere una risposta, ma sicuramente rafforzerà la leadership di Erdogan che punta a cambiare la Costituzione e alla conversione dell’attuale sistema parlamentare turco in un sistema presidenziale oltreché dare una ripulita all’attuale mondo militare.
Per concludere, c’è stato un fatto che accende una lampadina a qualunque analista politico, ovvero l’atteggiamento piuttosto ambiguo della UE e soprattutto degli USA nei confronti del loro alleato NATO di non condannare immediatamente sia l’intervento militare che la violenza fino alla loro sconfitta, cosa che rende probabile la teoria per cui gli Stati Uniti sperassero nella vittoria dei militari, o che comunque fossero coinvolti nella rivolta avendo come punto di riferimento Fetulà Gulen, esiliato e sotto protezione nord-americana, accusato da Erdogan di terrorismo e di essere il cervello di questo tentativo militare fallito.
1) Samuel P. Huntigton, The Lonely Superpower, Foreign Affairs, vol. 78, n. 2, marzo-aprile 1999
2) Joseph S. Nye, The Paradox of American Power. Why the World’s Only Superpower Can’t Go it Alone, Oxford University Press, 2002.
3) Secondo gli indicatori di Freedom House, The Economist, Policy Project, Bertelsmann Transformation Index e International Institute for Democracy and Electoral Assistance.
4) Nel 1960 misero fine alla I Repubblica; il cd. Pronunciamento del 1970; nel 1980 misero fine alla II Repubblica, il cd. “Golpe Postmoderno” del 1997 e il cd. “Golpe Virtuale” del 2007
Comment(2)
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Il problema è che noi consideriamo “dittatura” tutto ciò che è scomodo ai nostri interessi.
Ecco che quando ci conviene Erdogan è bravo, i sultani arabi son bravi e magari Putin è dittatore.
Ora tocca ad Erdogan la parte del cattivo dittatore. Effettivamente sembra applicare principi dittatoriali però è dimostrato che è stato votato e tutt’ora ha l’appoggio del popolo che lo ha votato.
Forse in occidente dovremmo smettere di giudicare in base ai nostri parametri e soprattutto in base ai nostri interessi.
(noi siamo quelli che abbiamo dato per un periodo la presidenza ai diritti umani all’ONU all’Arabia Saudita!!!! Cioè, non so se mi spiego).
Ci sono azioni, fatti e conseguenze che non, nella soggettività, non puoi negare siano dittatoriali. E questo esula gli interessi degli altri. Poi in effetti c’è un problema di opportunità che rende i dittatori più o meno forti. Non a caso a Hitler gli si è permesso tutto finché non ha colpito gli Stati che hanno nascosto per 10 anni la testa sotto la sabbia.
Per me l’articolo è superficiale nel passaggio “Il regime politico della Turchia non è assolutamente una “dittatura” ” perchè è un interpretazione soggettiva nella stessa misura di quella di Chamberlain. Forse poteva andare bene quando ancora esisteva una opposizione, ma oggi, con le enormi epurazioni in corso su tutti gli apparati dello Stato, è diventata una dittatura totalitaria di stampo islamista. Stiamo assistendo ad una iranizzazione della società civile turca e quelli che si oppongono a questa deriva sono fatti sparire.
Resta, come ormai siamo stati abituati negli ultimi anni, completamente assente la presa di posizione sia dell’EU che dell’ONU che, da un lato condannano giustamente la Corea del Nord per la violazione dei diritti della persona e dall’altro fornisce alla Turchia miliardi di EU sotto la minaccia di non interrompere i flussi migratori, pur sapendo che ormai o sei con il dittatore o sei morto.