Home War Room Analisi Libia: quale strategia per l’Italia nei raid su Sirte?
Libia: quale strategia per l’Italia nei raid su Sirte?

Libia: quale strategia per l’Italia nei raid su Sirte?

522
0

La Libia è un luogo dove si decide la guerra contro il Califfato in nord africa, ma è anche il luogo dove si gioca l’ennesima partita tra gli Stati Uniti, sotto la guida del Partito Democratico del presidente Obama, e la Russia del presidente Putin. Sì, perché se è pur vero che in queste giorni e queste ore le forze armate usa stanno attaccando bersagli dello Stato Islamico in Libia, è altrettanto vero che questo aiuto è a senso unico, e cioè unicamente indirizzato al governo di Tripoli, insediato nella capitale libica dopo una mediazione, che non ha avuto pieno successo, delle Nazioni Unite. Non beneficiano dei raid americani invece le truppe dell’Egitto orientale, e cioè quelle che fanno capo al parlamento di Tobruk, le quali si confrontano anch’esse con un altra roccaforte del Califfato presente nella città di Derna.
I raid americani, se compiuti con la necessaria intensità e con uno stretto coordinamento con le milizie di Tripoli e di Misurata, potranno spazzare via lo stato Islamico da Sirte. Giunti a questo punto le milizie della Libia Occidentale, e le milizie della Libia Orientale, saranno a diretto contatto tra loro e potrebbero combattere per il controllo della strategica regione di Ras Lanuf e dei suoi terminal petroliferi. Sarà interessante osservare come si comporterà a quel punto l’America di Obama, e quali azioni politiche, diplomatiche e militari prenderà in considerazione per favorire l’alleato della Tripolitania.
Una volta sconfitto il Califfato, l’America potrebbe decidere di classificare come “terroristi” i libici fedeli a Tobruk e rispondere ad una nuova chiamata di Al Serraj per eliminare il gruppo di potere del generale Haftar?
L’esperienza ci insegna che in terra di Libia le missioni internazionali iniziano con un obiettivo dichiarato, e possono terminare perseguendo un obiettivo differente. Ne è un chiaro esempio la “No Fly Zone” istituita dalle Nazioni Unite nel 2011 per “proteggere la popolazione di Bengasi dalla repressione di Gheddafi” e trasformata in poche ore in una missione di bombardamento dei centri di comando e controllo libici, poi successivamente in una operazione di copertura aerea e di supporto ravvicinato all’avanzata dei ribelli anti Gheddafi, fino al collasso del regime libico e alla morte dell’ex dittatore.
A nostro avviso, l’impegno italiano in Libia deve essere assoluto e ben organizzato, mettendo a disposizione non solo basi e spazio aereo ma l’intero dispositivo, anche offensivo, della nostra Aeronautico Militare. I nostri aerei tuttavia non dovrebbero solo limitarsi ad eseguire le direttive americane, ma colpire oltre i bersagli presenti a Sirte, anche le strutture del Califfato e Derna, così come i covi e le officine di costruzione dei gommoni dei trafficanti di esseri umani in Tripolitania.
Il nostro interesse nazionale deve essere sempre presente nelle decisioni dei nostri alleati che riguardano la Libia, fatto che negli ultimi anni non è mai accaduto, se non in maniera sporadica, per non dire casuale. In sintesi è nostro dovere intervenire attivamente nella campagna aerea che si svolge ora in Libia, ma dobbiamo intervenire in un’ottica non di passiva accettazione della strategia imposta da paesi, sì alleati, ma non sempre interessanti alle necessità italiane.