Su queste pagine ne parliamo da oltre un anno, da più di dodici mesi, ogni volta che prendiamo in considerazione la situazione geopolitica in Libia, la prima parola che viene in mente ai componenti del nostro piccolo (ma motivatissimo) gruppo è una sola : guerra civile. Una guerra civile che secondo noi è iniziata quando a Bengasi fu ucciso l’ambasciatore americano Chris Stevens, ucciso da una delle tante bande armate che rifiutano il governo di Tripoli, ed aspirano a creare (nel caso degli assassini di Stevens) una propaggine del Califfato Islamico. In quella notte di Bengasi il mancato intervento delle forze occidentali (non solo gli americani ma anche i Francesi, gli Inglesi e gli stessi Italiani) ha fatto comprendere ai leader delle milizie che in Libia non avrà il potere chi sarà eletto democraticamente, non avrà il governo chi otterrà la fiducia della popolazione, non diventerà leader della nazione chi sarà capace di dare nuova prosperità alla Libia. A Tripoli prenderà il potere il più spietato, il più forte militarmente, colui che sarà in grado di imporre la propria volontà con la forza delle armi, il terrorismo e il sangue. In quella notte di Bengasi i signori della guerra della Libia hanno compreso che era giunto il loro momento, e hanno iniziato la loro battaglia. Oggi vediamo i risultati delle scelte occidentali in Libia, le scelte che esattamente come in Irak hanno abbandonato al proprio destino un popolo governato con il bastone e che non riesce nemmeno ad avere una rappresentazione sommaria di cosa sia la democrazia. Oggi, con grave ritardo su questi fatti, si leva la voce delle Nazioni Unite, per bocca dell’Inviato Speciale per la Libia Leon Bernardino. L’inviato delle Nazioni Unite definisce la Libia vicina al punto di non ritorno lungo la via che conduce alla guerra civile. Egli ricorda che il governo libico è di fatto in esilio a Tobruk, che Tripoli è in mano alle bande armate, che il parlamento di Tobruk è boicottato sia dalle milizie di Misurata (responsabili della fuga del governo libico da Tripoli) sia da quelle di Zintan. A nostro avviso il punto di non ritorno è già stato superato da tempo, forse l’inviato delle Nazioni Unite si riferisce al fatto che, se la situazione non verrà presto risolta, la Libia cesserà di produrre ed esportare petrolio e gas, ma in questo caso il punto di non ritorno sarà per quanto riguarda la perdita definitiva dei nostri interessi economici e dei legami storici e culturali con la Libia. Solo un intervento militare internazionale poteva rimettere in carreggiata la Libia, ma il tempo limite per un intervento su media scala è ormai superato. Un intervento non messo in atto, a nostro avviso, prevalentemente per non favorire la stabilizzazione del potere del presidente El Sisi in Egitto, personaggio inviso a molti paesi occidentali, ma questa è un’altra storia…..