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Libia un emirato islamico alle porte dell’Italia

Bengasi TripoliBengasi, Libia, il vuoto di potere generato dalla caduta di Gheddafi, senza che la Comunità Internazionale sia stata in grado di innescare un vero processo inclusivo e democratico, ha generato lotte settarie e tribali che hanno sprofondato il paese nel caos. Di fronte a questa sfida, ancora una volta, l’occidente ha scelto di non impegnarsi direttamente e di affidarsi ad un signore della guerra, il Generale Afthar, i cui legami con l’America erano molto forti ma che durante la sua storia personale aveva già dimostrato di poter fuggire dinnanzi alle difficoltà. Ha far era un generale di Gheddafi e fuggì dal campo di battaglia nel Ciad venti anni fa così come è fuggito due mesi fa dalla città di Bengasi non appena la situazione sul campo non appariva più sotto il suo totale controllo. L’opzione occidentale fallì così miseramente e il caos riprese il sopravvento in Libia.
Ora da questo caos potrebbe emergere, forse sta già emergendo, un collante per molti mussulmani di Libia. Un collante che esalta parte dei libici grazie ad un’aura di incorruttibilità, di invulnerabilità, di legge e ordine: la legge e l’ordine del califfato, la legge e l’ordine della teocrazia combattente islamica.
Allo stesso tempo questa legge e questo ordine rappresentano un pericolo concreto per coloro i quali in Libia posseggono un concetto differente di organizzazione sociale.
Ed è proprio da Bengasi che arriva la foto che fa da copertina al nostro post di oggi, una foto che mostra una manifestazione nel centro della città dove sono protagoniste le bandiere del califfato.
Dalla Siria e dall’Irak numerosi combattenti, a volte spontaneamente, a volte forse inviati dal Califfo in persona, formano nuclei che si richiamano allo Stato Islamico e cercano di ripetere, in particolare in Libano e in Libia, la stessa formula che in Irak e Siria ha determinato la nascita di una organizzazione con un esercito forte di oltre 10/12000 combattenti addestrati e motivati, decine di migliaia di sostenitori, milioni di simpatizzanti sparsi per il medio oriente e la disponibilità di due/tre miliardi di dollari. In Irak lo Stato Islamico controlla buona parte della produzione agricola, parte della produzione petrolifera e punta ad instaurare una economia basata sulle esportazioni di beni alimentari, armi ma non ancora petrolio.
Una economia che per svilupparsi ha bisogno di un mercato e di una serie di paesi falliti dove il califfato possa insediarsi. Uno di questi paesi è sicuramente la Libia, una Libia nelle mani dello Stato Islamico, anzi un Emirato Islamico come lo hanno definito gli integralisti di Bengasi, significherebbe un luogo da cui minacciare l’intera europa, con infiltrazioni terroristiche prima e una base addestrativa per formare nuclei in grado di innescare rivolte Jihadiste all’interno dell’Europa un domani. Rivolte che prima di coinvolgere l’europa vedrebbero protagoniste, loro malgrado, la Tunisia e l’Algeria, paesi fondamentali per la stabilità del nord Africa e indispensabili per le forniture energetiche all’Europa mediterranea, Italia in testa.
La Libia nel nord Africa rappresenta per il Califfato la porta a tutto il nord Africa e, subito dopo, la parta per l’Europa.
La Libia potrebbe allo steso tempo però rappresentare la possibilità di riavvicinare NATO e Russia.
La Libia, dove una forzatura occidentale ad una risoluzione delle Nazioni Unite (la famosa No Fly Zone diventata arbitrariamente autorizzazione a bombardare tutta la Libia) incrinò definitivamente i rapporti tra NATO e Russia, potrebbe essere oggi, se ognuna delle due parti mostrerà rispetto per le necessità dell’avversario, il terreno ideale per l’occidente e per Mosca dove tornare ad agire con un obiettivo comune.
La Libia è il cortile di casa dell’Italia, per una volta tentiamo di non andare a rimorchio dell’Europa o di qualsiasi altra nazione od organizzazione. Ispiriamo, pianifichiamo e mettiamo in pratica un intervento multinazionale in Libia, aiutiamo i libici a sviluppare la loro economia e le loro infrastrutture, a migliorare la loro qualità di vita e a vivere liberi, con un impegno internazionale che deve essere in prima istanza militare, e subito dopo economico e politico. Un impegno che deve essere preso oggi prima che la Libia si trasformi in un incubo per tutti noi.