Il conflitto che si sta attualmente svolgendo nel Caucaso tra Armenia e Azerbaigian ha lontane origini e non è nemmeno il primo che intercorre tra i due paesi.
Chi in effetti prima d’ora aveva mai sentito parlare del Nagorno-Karabakh fuori dai circoli degli adetti ai lavori o azeri o della diaspora armena? Ben pochi. Già prima dell’indipendenza dall’Unione Sovietica, la regione autonoma è integrata alla Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian benché popolata maggioritariamente al 95% da armeni e nel 1988 diventa il primo conflitto interetnico all’interno dei confini dell’URSS. Questo conflitto è stato rivelatore sullo stato delle relazioni tra le nazionalità dell’URSS e sul fatto che il federalismo sovietico avesse raggiunto ormai la data di scadenza.
Adesso vi chiederete perché una regione a popolazione maggioritaria armena sia finita sotto il controllo di Baku anziché Erevan? E qui facciamo un ulteriore balzo indietro nel tempo.
Dopo lunghe ed alterne vicende che vedono contrapposta la Russia alla Persia, il 14 maggio 1805 con il Trattato di Kurekchay firmato tra Ibrahim Khalil, Khan del Karabakh e il generale Pavel Tsitsianov per conto dello Zar Alessandro I, la regione passa sotto il controllo russo con l’abolizione del Khanato e l’integrazione al Governatorato Elisabethpol del Vicereame del Caucaso. Da allora le sorti della regione sono controllate secondo il volere (o i capricci) di Mosca.
Con la Rivoluzione di febbraio 1917, lo Zar Nicola II abdica e il governo provvisorio russo scioglie il Vicereame e trasferisce il potere al Comitato Speciale Transcaucasico. Con la Rivoluzione d’Ottobre, il comitato viene trasformato in commissariato e in febbraio 1918 è proclamata l’indipendenza con il nome di Repubblica Federativa Democratica Transcaucasica. Nato dalla confusione e dal susseguirsi degli eventi a Pietroburgo, questo stato appena nato, ebbe la vita molto breve. Un mese dopo, la Georgia seguita da Armenia e Azerbaigian proclamano le loro indipendenze.
Quando nel dicembre 1920 l’Armenia perde la sua indipendenza, era implicitamente ammesso che il suo territorio avrebbe compreso il Nagorno-Karabakh. Ma il neo-potere moscovita per soddisfare la Turchia kemalista decise di integrare quel territorio all’Azerbaigian nel 1923 ma con il solo statuto di regione autonoma. Questo significava allora dipendere totalmente dalle scelte politiche di Baku. Alla fine, nonostante la mutilazione territoriale, gli armeni ancora scossi dal genocidio del 1915 accettano malvolentieri ma vedono anche il potere sovietico come una “protezione”. Se il sentimento nazionale armeno era soffocato dallo stalinismo, con Krusciov invece resuscita. Nell’ottica di intrattenere buoni rapporti con Ankara, l’Urss decide di non insistere più di tanto sui fatti del 1915. E questo ha contribuito non poco alla rinascita del sentimento nazionale armeno e per il cinquantesimo anniversario del genocidio, la regione autonoma reclama di essere integrata alla RSS Armena, senza esito.
Con la perestrojka, il Karabakh presenta una petizione firmata da 80mila persone (tutti gli adulti o quasi della regione) a Gorbaciov per chiedere una revisione dei confini. Di nuovo, la domanda cade nel vuoto ma se la petizione è stata inviata direttamente al Segretario Generale del PCUS, la risposta che arriva dopo un anno di silenzio non è personale, ma direttamente dall’amministrazione del partito e per di più negativa. E qui subentra un altro evento esterno al caucaso: Chernobyl. Fino all’esplosione della centrale nucleare, il rischio ambientale e l’inquinamento erano per l’Urss fenomeni che affliggevano solo i paesi capitalisti. Con l’esplosione della centrale cadde un altro tabù. L’Armenia e il Karabakh prendono di colpo coscienza che buona parte delle industrie pericolose del paese si trovano sui loro territori e Erevan arriva in testa alla classifica delle città inquinate per quanto riguarda il monossido di carbone. L’Armenia e gli armeni da allora si sentono sotto assedio: da una parte la pressione demografica nel Karabakh da parte azera che vede la loro presenza crescere, dall’altra il fenomeno ambientale. La minaccia è dunque un fatto fisico e reale ed è proprio questo sentimento che fa saltare il coperchio nel 88 con le manifestazioni di Stepanakert.
18 febbraio 1988, a Erevan e Stepanakert si svolgono manifestazioni imponenti mentre la paralisi è totale dovuta anche allo sciopero generale. La parola d’ordine è: Un popolo, una repubblica. Ma anche qui non è il sistema sovietico che viene messo in causa e chiedono che venga applicato il principio leninista dell’autodeterminazione. Dopo il rifiuto di Mosca di prendere una decisione scomoda, il Soviet della regione autonoma decide a larga maggioranza di separarsi da Baku per unirsi alla RSS armena. Cioè un organo non democratico che si fa portavoce del sentimento popolare locale. A Stepanakert, dopo una settimana di manifestazioni, sono i giovani azeri che scendono per strada e si registrano le prime due vittime, entrambe azere. Per vendetta, è il turno della capitale azera ad infiammarsi nella citta di periferia industriale di Sumgait e i suoi quartieri misti. Il bilancio terribile di due notti di violenza è ufficialmente di 32 morti, senza contare i numerosi feriti e episodi di stupri. A questo evento venne dato il nome di pogrom di Sumgait.
Alla fine, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, quello che poteva significare libertà e democrazia (come per il caso dei paesi baltici), per altri significava l’inizio di un periodo di insicurezza, instabilità, di presa del potere da parte delle oligarchie nazionali e del proseguimento di conflitti mai spenti ma solo soffocati. Ci siamo soffermati su questo spaccato di quasi 200 anni di storia per fornire una base e cercare di comprendere il perché alcuni territori che erano etnicamente omogenei si sono ritrovati di fatto sotto controllo straniero. Il conflitto attuale tra i 2 paesi è anche il frutto della sconfitta del sistema sovietico nel gestire i popoli che la componevano.