L’Iran ha subito un attentato a due simboli del regime teocratico di Teheran. Alcuni uomini hanno colpito il parlamento iraniano, mentre simultaneamente un attentatore suicida si faceva esplodere nel mausoleo del Grande Ayatollah Khomeini. Un attacco ricco di simbolismi, che ha ferito la mente (il parlamento) ed il cuore (il mausoleo) di una nazione che dopo la rivoluzione ha fuso il potere temporale con quello spirituale.
Lo Stato Islamico ha assunto immediatamente, ma in maniera del tutto generica, questo gesto che ha lasciato sul terreno 12 morti e quasi 40 feriti. L’Iran ha accusato sia lo Stato Islamico, mediante i media parastatali, sia l’Arabia Saudita, attraverso le Guardie della Rivoluzione, mentre i parlamentari presenti nell’aula principale durante l’attacco terroristico hanno gridato “Morte all’America”.
La vampata di tensione in Medio Oriente e nel Golfo Persico in particolare va inquadrata nel particolare momento storico che attraversiamo e alla luce di alcuni fatti di cruciale importanza.
Per prima cosa va ricordato l’embargo Saudita contro il Qatar, paese accusato di essere un finanziatore del terrorismo e alleato strisciante dell’Iran (Doha sarebbe nella fase finale delle trattative per gestire insieme a Teheran quello che potrebbe essere il più grande giacimento di gas naturale del mondo il “South Pars”). Qatar che oggi è anche un ganglio vitale delle forze armate americane nel Golfo.
Inoltre dobbiamo prendere atto di un imponente raid aereo americano contro milizie filo iraniane nel sud della Siria. Un bombardamento che ha distrutto decine di veicoli e che ha compromesso le capacità militari di un intero battaglione agli ordini di Teheran in Siria.
Non vogliamo con questo post addentrarci sui temi legati alla paternità dell’attentato, ma preferiamo analizzare le possibili conseguenze dello stesso.
L’Iran ora è legittimato, sul piano interno (che per il governo è l’unico piano al quale rendere conto) ad espandere le proprie attività contro coloro i quali sono i responsabili, diretti, indiretti o presunti, dell’attacco del sette giugno. I responsabili diretti indiretti o presunti dell’attacco sono, per Teheran, lo Stato Islamico, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, e per proprietà transitiva Israele.
Tuttavia le opzioni iraniane oggi sono limitate. Teheran non può impegnarsi militarmente e direttamente nella Penisola Araba, e difficilmente riuscirà ad aumentare il sostegno agli Houti dello Yemen. L’Iran può invece aumentare la sua stretta sull’Irak, esautorare dal governo del paese la minoranza sunnita, espandere le capacità militari delle milizie siriane e dell’Hezbollah libanese.
Armare in maniera migliore Hezbollah e incrementare le attività militari in Siria, consentirebbe all’Iran di ottenere un triplice risultato. Per prima cosa continuare la sfida ad americani e sauditi, ottenere che questo confronto si sposti lontano dai confini e delle aree di interesse vitale iraniano, e cercare di ottenere quel corridoio di terra tra la Repubblica Islamica dell’Iran ed il Libano che dalla rivoluzione del ’79 rappresenta il principale obiettivo geostrategico dell’Iran.
Ma lo Stato che oggi ha l’ultima parola sulla situazione in
Qatar sono gli Stati Uniti. La presenza americana a Doha fa sì che le scelte di Trump saranno determinanti per dare stabilità, o favorire un cambio di regime a Doha.
Arabia Saudita, Emirati ed Egitto si stanno a nostro avviso muovendo in coordinamento con il presidente americano a non con L’ establishment degli Stati Uniti, ogni giorno più debole rispetto a Trump ma ancora in grado di influenzare in maniera determinante le scelte politiche della Casa Bianca.
Il presidente Trump si sarebbe detto disponibile ad un incontro alla Casa Bianca con l’Emiro del Qatar Al Thani.
Questo vertice, a nostro avviso, determinerà il destino della dinastia Qatariota e ci darà la percezione del reale livello di tensione nel Golfo Persico.