L’attacco della Cina Comunista a Taiwan: fantascienza o prossima realtà?
Esiste una sola Cina, e su questo non abbiamo alcun dubbio. Esiste però una questione cinese aperta dai tempi della guerra civile in terra di Cina che dopo settanta anni di annose controversie politiche e diplomatiche la dittatura del Partito Comunista Cinese sembra voler risolvere “Manu Militari”. Taiwan, la Repubblica di Cina, è senza dubbio una provincia cinese ma non è una provincia della Cina Comunista che ha al suo vertice Xi Jinping. Taiwan è una piccola isola che difende e difenderà fino all’ultimo uomo lo spazio di libertà che la distingue dal regime comunista che governa Pechino e le altre province cinesi. Taiwan farà quello che Hong Kong ed il Tibet non hanno potuto fare per caratteristiche geografiche e per l’organizzazione stessa delle loro inesistenti forze di autodifesa. Taiwan non è una città-stato inerme come Hong Kong, non è una landa desolata di monaci pacifisti e pastori erratici come il Tibet, Taiwan è una nazione protetta dal mare, difesa da un esercito preparato e combattivo anche se esiguo nei numeri, ma più di ogni altra cosa Taiwan è un simbolo, anzi il simbolo delle promesse americane a quello che noi crediamo essere il Mondo Libero, è il simbolo della resistenza incrollabile contro il comunismo di Pechino e contro la sua insaziabile sete di potere, Taiwan è in sintesi il primo bastione della libertà contro la dittatura.
È per tutti questi motivi che la Cina Comunista sta parlando sempre più apertamente di una conquista militare di Taiwan, di una sua distruzione per mezzo del potente mezzo militare di cui dispone Pechino, e della possibilità di trascinare in una guerra regionale, sovraregionale o globale chiunque osasse prendere le difese (militari) della Repubblica di Cina.
Le dichiarazioni bellicose di Pechino sono iniziate con video semianonimi diffusi sul web che disegnavano scenari di conflitto regionale e sovraregionale innescati dalla battaglia per Taiwan, minacce esplicite al Giappone e agli Stati Uniti erano la loro trama.
A seguire abbiamo assistito a manovre militari navali ed anfibie, a mobilitazioni della forza aerea, ad incursioni sempre più frequenti, sempre più numerose, sempre più complesse dell’aeronautica di Pechino nella zona sud-occidentale della zona di identificazione aerea di Taiwan.
Oggi infine sul Global Times, quotidiano di Pechino sotto il controllo del Partito Comunista Cinese, l’ultimo e più devastante affondo:
Now, we will like to warn the DPP authorities and their supporters: do not continue to play with fire. They should see that the Chinese mainland’s preparation to use force against Taiwan secessionist forces is much stronger than ever before.
Ed ancora,If the US and the DPP authorities do not take the initiative to reverse the current situation, the Chinese mainland’s military punishment for “Taiwan independence” secessionist forces will eventually be triggered. Time will prove that this warning is not just a verbal threat.
Come vedete la retorica è passata al livello successivo, e cioè la descrizione della guerra non come una opzione ma come una scelta inevitabile, innescata dal comportamento del nemico.
La guerra della Cina Comunista a Taiwan non è quindi, per stessa ammissione di Pechino, un esercizio verbale, ma una opzione concreta, attuale e presente che potrebbe essere messa in atto con minimo preavviso. E quale sarebbe il momento migliore per annettere l’ultima provincia che resiste alla rivoluzione voluta da Mao se non il periodo post-pandemico, con l’Occidente dilaniato al suo interno da divisioni ideologiche e da una crisi economica dovuta ad una scarsa “offerta” di materie prime e beni industriali dei quali la Cina Comunista rappresenta oggi il principale ed indispensabile fornitore? Quale momento migliore per attaccare un simbolo di resistenza al regime comunista se non un tempo nel quale il presidente americano si presenta come l’uomo della resa ad ogni costo e del ritiro senza onore e senza remore nei confronti degli alleati, afghani, israeliani, iracheni, ecc?
Se Pechino vorrà attaccare Taiwan, non è detto che riuscirà ad invadere rapidamente l’isola, ma è certo che senza l’aiuto delle potenze regionali e globali la Repubblica di Cina andrà incontro alla distruzione, sia politica che fisica, sotto il fuoco di centinaia di missili e bombe delle forze strategiche di Pechino. L’obiettivo primario di Pechino potrebbe anche essere non tanto l’invasione vera e propria di Taiwan, ma far osservare al mondo le macerie fumanti di una nazione che ha osato non sottomettersi al dittatore di Pechino.
Gli Usa, l’Occidente, possono certo ritirarsi anche da Taiwan possono scappare anche questa volta, ma se lo faranno dovranno fuggire per sempre e noi dovremo rassegnarci a diventare prima o poi parte dell’impero comunista cinese.