È stata una trappola ben preparata, una vera e propria imboscata, nella quale sono cadute le forze aeree israeliane, quella avvenuta sabato scorso sui cieli del Medio Oriente e che è terminata con l’abbattimento di un F-16 di Gerusalemme, ma che avrebbe potuto avere un epilogo ben diverso, se il piano iraniano fosse arrivato all’obiettivo per il quale era stato concepito: catturare (vivo o morto) almeno un pilota israeliano.
Ci siamo convinti di questo scenario analizzando i fatti di quella notte, la catena degli eventi, gli allarmi antimissile risuonati nel nord della Galilea e le dichiarazione dei protagonisti.
Iniziamo con il raccontarvi la catena degli eventi: nella primissima mattina di sabato un drone iranano, potenzialmente armato, copia esteriore dell’RQ-170 americano (catturato dagli iraniani ai tempi di Obama), decolla dalla Siria centrale diretto verso Sud. Il sistema di difesa aerea israeliano lo identifica probabilmente venti minuti dopo il decollo e lo traccia fino alla alture del Golan quando viola lo spazio aereo israeliano. Non dovrebbe essere la prima volta che un fatto simile accade, tant’è che Gerusalemme ha smesso di impiegare intercettori ad alto costo contro queste minacce, ma utilizza un elicottero armato con un missile aria-aria per neutralizzare la minaccia.
Circa 45 minuti dopo una squadriglia di pronto impiego viene comandata di eseguire una missione di rappresaglia non contro le forze siriane, ma contro il centro di comando (iraniano) locato poco fuori la città di Palmira, ben all’interno del territorio siriano.
Otto caccia F-16 israeliani penetrano lo spazio aereo siriano (forse dal Libano) e dirigono su Palmira. La contraerea siriana non apre il fuoco.
Circa 10 minuti dopo i caccia sono sull’obiettivo ma il primo gruppo viene fatto oggetto di multipli lanci missilistici S-200 (SA-5), BUK (SA-11). La violenta reazione delle contraerea siriana avrebbe impedito al primo gruppo di completare tutti gli obiettivi della missione, che viene interrotta.
Fonti grigie affermano che i sistemi SA-5 impiegati avessero ricevuto un upgrade rispetto ai sistemi storicamente in possesso di Al Assad e che questa novità a livello elettronico abbia contribuito a rendere le contromisure israeliane meno efficaci.
In seguito al lancio multiplo dei missili a medio e lungo raggio l’F-16 di Israele sarebbe sceso di quota a poco meno di 10000, per essere inquadrato da un sistema SA-19 che avrebbe determinato danni irreparabili all’F-16 israeliano.
Quasi un’ora dopo una seconda ondata di aerei F-16 israeliani (16 unità) avrebbero attaccato e distrutto le unità della difesa aerea operante in Siria che avevano ingaggiato la prima ondata di attacco israeliana.
Va segnalato che è stata colpita anche una batteria posta a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale di Al
Assad, un messaggio chiaro al presidente siriano: se non hai il controllo delle forze armate la tua stessa posizione è in pericolo…
Ci aggiorneremo al prossimo capitolo di questa guerra.