Un nostro lettore, già autore di un post sulla legge islamica, Ahmed Al Kalafrisi, ci invia un post riguardante il ruolo dell’Islam dal punto di vista di un credente mussulmano. Buona Lettura.
Mi sono permesso di chiedere agli amici di Geopolitcalcenter di pubblicare queste mie brevi riflessioni perché sento che possa essere utile esporre un aspetto della questione che non viene preso adeguatamente in considerazione.
Viviamo in un’epoca che Gaber definiva, ironicamente, “del gran comunicare” e diceva tra l’altro “facciamo un bel coro di opinioni fino a quando il fatto non è più di moda”. In queste condizioni il silenzio – specie di fronte ai fatti più tragici – è spesso la scelta più dignitosa. Tuttavia vedo che non abbiamo come Europei moderni gli strumenti per riconoscere quale sia la vera posta in gioco e le dinamiche profonde di questo scontro globale trasversale, per questa ragione ho ritenuto di rompere il mio silenzio, come cittadino europeo di religione islamica. Scrivendo oltretutto in contemporanea allo svolgimento in tutta Europa delle manifestazioni contro il terrorismo dei musulmani con lo slogan “Not in my name”, cui prendo idealmente parte.
Oggi abbiamo un dibattito politico fermo a schemi da guerra fredda, in cui “destra” e “sinistra” si arroccano su posizioni che vengono reciprocamente tacciate di “fascismo” o di “buonismo”.
Quando va bene, e sempre più spesso non va bene, si raggiunge un effimero compromesso (con la logica più che tra posizioni contrapposte) per cui “non tutti i musulmani sono terroristi”.
E partendo da questo assunto si cerca, disperatamente, di individuare il limite tra l’Islam moderato e quello estremista. Confine che nella realtà non esiste.
Io non mi sento un moderato perché parlo di convivenza e rispetto tra le fedi, quando critico la condizione della donna nei paesi musulmani e cerco di informare i miei giudizi all’indulgenza e all’equilibrio (secondo un detto profetico i musulmani sono la “comunità del giusto mezzo”).
Non mi sento estremista se decido di assumere posizioni intransigenti che possono dispiacere a qualcuno, la Sharia non è burro e marmellata e l’Islam cambia l’approccio non a questa o quel cibo o bevanda, ma alla vita stessa in tutti i suoi aspetti.
Abituati a riconoscere nella violenza politica l’espressione di una radicalità ideologica peraltro perversamente coerente, ci sfugge la vera portata epocale di questo fenomeno e la sua pericolosità.
Fiumi di inchiostro e di byte sono stati versati per inquadrare la situazione politica e sociale, l’orrore delle guerre occidentali, la proletarizzazione dei paesi islamici, le polveriere delle banlieue parigine, le sciagurate alleanze per il petrolio. Tutti elementi indispensabili per comprendere la realtà che viviamo.
Ma di tutto questo, l’Islam non è più nemmeno lo sfondo, coperto mediaticamente dalla sua degenerazione ideologica, l’islamismo.
E questo è esattamente lo scopo degli ideologhi del terrorismo, cancellare il proprio nemico storico, cancellare l’unico antidoto al proprio imperversare sul mondo.
Non c’è guerra, non c’è politica più o meno morbida e accorta o muscolosa e perfino stragista che possa fermare questa tremenda malattia. Non serve a niente questa paradossale “integrazione”, non servono i missili. Se la soluzione non riempie il vuoto di senso delle popolazioni arabe e europee (musulmane e non, immigrate e non) semplicemente non è la soluzione.
Quindi voglio proporre l’islamizzazione di tutta l’Europa? Personalmente non mi interessa affatto, ho già abbastanza difficoltà ad affrontare il mio Jihad quotidiano per potermi interessare ai percorsi spirituali altrui. No, ovviamente, e – sebbene un ritorno al Cristianesimo tradizionale sarebbe gradito – nemmeno la sua cristianizzazione. L’Europa ha ormai altri valori, si ritrova attorno ad altri miti e ad altri simboli, e non tutte le differenze possono essere appianate, perché il punto – una buona volta – non è l’appiattimento a un modello (se lo mettano in testa tutti) ma una convivenza malgrado le differenze.
Quello che dico è che occorre accettare che la lotta all’estremismo islamista (di cui il terrorismo è la degenerazione più appariscente – e non dico neppure la più pericolosa) può essere vinta solo contrapponendosi culturalmente a questa follia.
E’ erroneo credere che le degenerazioni fanatiche dell’Islamismo siano un fenomeno recente. Non lo sono affatto, vi sono sempre state e sono sempre state schiacciate dalle autorità competenti, che oggi sono sparite sotto la pressione violenta di forze che sono giunte dall’esterno del mondo islamico, e che rappresentano oggi la spina dorsale ideologica dell’islamismo politico.
Ci si stupisce che i terroristi sappiano usare tanto bene i computer? E perché non c’è lo stesso stupore nei confronti della dimestichezza che hanno con una religione svuotata di qualunque portata spirituale? Il cosiddetto Islam di questi terroristi è di fatto un materialismo ammantato dalla presenza di un “dio” che altro non è che una espressione dell’ego, ingigantito ed elevato a termine eminente. Non fa scattare nessun campanello d’allarme questa cosa?
Per questo una volta per tutte, non basta dire che “non tutti i musulmani sono terroristi”, occorre riconoscere nell’Islam Tradizionale l’unico alleato culturale in questa guerra epocale, che va vinta davvero e non per finta. Occorre aprire le moschee, non chiuderle.
Mi rendo conto che a molti possa sembrare un discorso controverso. Faccio un esempio.
Prima ho detto che sono un “cittadino europeo”, scrivendolo sorridevo pensando al fatto che la Capitale di Stato più vicina a dove vivo io è Tunisi, sono quello che negli Stati Uniti degli anni ’20 sarebbe stato considerato un “Negro Bianco”, sono quello che nella Lombardia degli anni ’80 è stato definito “terrone”.
Qui dove sto io c’è una organizzazione efficiente e ben organizzata, la ‘ndrangheta. Una organizzazione che si ricopre di pseudo-simboli religiosi cattolici: santini, madonne, crocifissi. Si tratta di gente che frequenta la chiesa. Ci sono anche ‘ndranghetisti-preti. Qualcuno può smentirmi?
Qui, sempre dove sto io, ci sono dei preti che hanno lottato e sono morti, e altri che lottano, contro questa organizzazione criminale. Si badi: certo che la ‘ndrangheta non rappresenta una espressione della cultura cattolica, eppure non pochi di essi si percepiscono come cavalieri della fede.
Ora, rimettendomi al giudizio dei lettori, è tanto improponibile pensare di aiutare i preti che resistono, vogliamo bombardare anche Don Ciotti, insultare Padre Puglisi? Che effetto si crede possano avere, su queste delicate dinamiche, le soluzioni semplicistiche?
A me tremano le vene ai polsi a vedere quella gente ciarlare di fede e pronunciare la formula del Takbir (“Allahu Akbar”) e della Basmala (“Bismillah”), che sono le nostre chiavi per la sacralità, per la salvezza, mentre straziano corpi di innocenti, non do loro il diritto di parlare a nome mio, così come non glielo hanno dato i milioni di musulmani uccisi dalle guerre occidentali di cui si proclamano vendicatori, non instaurerei con loro alcun dialogo come sottobanco fanno i vari potentati europei e americani.
Se l’occidente vuole trovare interlocutori in questa lotta non si deve affidare ai dittatori, o ai terroristi-meno-terroristi-degli-altri, ma alla vera autorità islamica, l’unica superstite dopo la perdita dell’istituto califfale: i Sapienti, i Maestri Spirituali, che lottano in prima persona contro questi fenomeni. Ve ne sono in Oriente e in Occidente.
Ci sono la “lettera aperta ad al Bagdadi” firmata da centinaia di sapienti islamici anche tra quelli ascrivibili ad un’area che definiremmo “estremista”, che condanna lo pseudo-califfato, vi è il testo di “Refusing ISIS” di Shaykh Muhammad al Yaqoubi, punto di riferimento mondiale, documenti che non sono una “presa di distanze” dal terrorismo, nessun musulmano tradizionale vi si era mai avvicinato, non è neppure una semplice “difesa dei principi dell’Islam” di fronte a queste volgari strumentalizzazioni: è un’offensiva culturale, una base solida attorno alla quale si deve raccogliere chiunque voglia combattere il terrorismo e non solo vincere qualche elezione a forza di proclami e bombe.
Certo è che a questa offensiva culturale, ne deve seguire una più concreta che estirpi questo male dai territori in cui si annida, significa stroncare l’ISIS (e Boko Haram, che peraltro ha ammazzato di più) e trovare soluzioni politiche per garantirsi che non riattecchisca più neppure in altre forme, cosa che potrebbe dispiacere ai vari attori che hanno interesse nella regione.
I governi europei, per vincere questo scontro devono saper portare nel ghetto culturale (e non solo) in cui sono rinchiusi i musulmani europei le parole energiche di questi uomini, perché possano dare la guida a queste persone disperse in un mondo parcellizzato, un mondo spaventoso fatto di miseria soprattutto spirituale, in cui questi estremisti, esattamente nella più inequivocabile tradizione mafiosa, trovano terreno fertile offrendo qualche soldo ai ragazzi poveri, promettendo ai diseredati di riparare qualche torto subito, offrendo la stabilità e la protezione a ragazze sole e impaurite. Soprattutto affidando a tutti un ruolo nel progetto diabolico, offrendo un’appartenenza, una regola, un capo, un nemico. E qui non si parla più solo delle seconde e terze generazioni di immigrati.
Illudersi che esistano soluzioni esclusivamente militari è ingenuità, ma sugli aspetti militari non mi pronuncio non avendone né le competenze, né – ammetto – l’interesse. Certo è abbastanza palese che sperare di risolvere “dall’alto” è un mito che ha già prodotto abbastanza danni.
Se comunque vedremo nuovamente all’opera la solita retorica, le solite iniziative, le solite (non)soluzioni, sapremo bene che evidentemente finiremo col continuare ad avere a che fare con questo terrorismo che di certo si configura per alcuni politici più come opportunità che come minaccia.
Consolidare opportunamente l’Islam Tradizionale, d’altra parte, significa anche dare voce in Europa alle sue istanze sociali, istanze che ritengo in linea con la nostra tradizione laica di autodeterminazione, uguaglianza e giustizia sociale (“Libertà, Uguaglianza, Fratellanza” era un motto di una “setta” islamica medievale nota come “Fratelli della Purezza”). Non mi meraviglierebbe affatto che di fronte a questa prospettiva i governanti europei, piuttosto che modificare le nostre realtà di sfruttamento capitalistico-coloniale, preferissero mantenere in piedi l’utile spauracchio di un “nemico perfetto” come questa parodia di Califfato.
Il tutto sulla pelle di noi tutti, a prescindere dal suo colore.