GeopoliticalCenter, Geopolitica, Strategia, Analisi Economiche

La Turchia nel pantano siriano e le ripercussioni sulla geopolitica globale

Breaking News

La Turchia ha lanciato una operazione militare su vasta scala in Siria, non solo pochi uomini in supporto alle truppe dei ribelli siriani ora apertamente filo turchi, ma decine di carri armati e veicoli blindati supportati da artiglieria e dal potere offensivo dell’aeronautica turca. Ankara è entrata in Siria dichiarando di voler combattere lo Stato Islamico, ma le uniche battaglie che ha per ora combattuto sono state contro i Curdi di Siria. Nessun combattimento con le forze del Califfato che tenevano Jarablus, e che avevano opposto fino a poche ore prima una forte resistenza all’avanzata dei Curdi del YPG. All’arrivo dei ribelli filo turchi il Califfato si è dissolto, ufficialmente ritirato, ma ritirato dove? A sud sono presenti le forze curde, così come ad est dell’Eufrate, a nord la frontiera con la Turchia e a ovest territori in mano ai ribelli dell’FSA. Il Califfato quindi si è ritirato, ma noi non comprendiamo dove si sia ritirato, se non all’interno di qualche cantina di Jarablus per poi forse uscire nuovamente per le strade con le divise dei ribelli appena arrivati.
Appena presa Jarablus con le truppe a lui fedeli, Erdogan si è rivolto ai curdi intimando loro di passare il fiume Eufrate e ritirarsi ad est di esso è a nord di Raqqa, in un territorio molto più difficilmente difendibile e dove i curdi dovranno temere sia il Califfato presente a sud, sia i filoturchi ad ovest, e per di più senza alcuna garanzia che i turchi non li spingano ancora più ad ovest fino ai confini con l’Irak. Infatti, la Turchia, almeno a giudicare dalla reazione americana, non ha mantenuto gli impegni presi con la Casa Bianca riguardo ai veri obiettivi della sua campagna siriana, facendo sì che gli Usa interrompano ogni collaborazione con i turchi in terra di Siria. 
La Turchia continua quindi a perseguire il suo obiettivo strategico in Siria, e cioè la caduta di Al Assad e la nascita di una nazione sunnita nella parte nord della Siria, certo gli accordi con Putin prevedono la permanga al potere di Al Assad, ma i Turchi si sono resi conto che agendo con la forza e l’arma del ricatto possono ottenere molti più risultati di quanti ne abbiano ottenuti con la pazienza e la diplomazia negli ultimi 4 anni: osservate l’accordo con l’Europa su immigrazione, visti ed adesione all’Unione Europea, le purghe dopo il fallito Golpe di Luglio, l’abbattimento del SU-24 della Federazione Russa, e ora l’azione militare in Siria. La Turchia ha assaggiato il potere che ha ancora oggi la forza delle armi, il potere della forza in un mondo dove gli Stati Uniti hanno definitivamente dimostrato, consentendo ai turchi di muovere guerra alle milizie curde filoamericane in Siria, che gli Usa non sono più in grado di difendere i propri interessi mondiali con il soft power, in quanto la deterrenza americana è un ricordo del passato e che solo una azione di forza potrà ristabilire il potere americano in medio oriente e nel mondo.
In questo pantano siriano, che certo non diventerà una verde prateria dopo l’intervento di Erdogan, si pongono le basi per una nuova fase del confronto globale tra nazioni emergenti e potenze globali. Il pantano siriano, ha nuovamente sdoganato l’uso della forza come mezzo per affermare le proprie ragioni al di fuori di visione multilaterale e diplomatica, ha evidenziato che nel mondo attuale una brigata di carri vale più del potere di Veto al Palazzo di Vetro, e questo fatto cambierà radicalmente l’approccio di ogni nazione militarmente assertiva, all’emergere della prossima crisi geopolitica, sia essa nel Mar del Giappone o nel Donbass, in Crimea o al confine del 38° parallelo.