Stiamo quindi assistendo agli ultimi giorni della presidenza Obama. Tradizionalmente questo periodo, in particolare l’ultimo mese, è da sempre stato caratterizzato da una stretta collaborazione tra il presidente entrante e quello uscente.
Oggi però non è così. Oggi il Presidente uscente Obama continua a prendere decisioni cruciali in tema di politica estera, come se il popolo americano non avesse già scelto il suo successore o il 20 gennaio alle ore 12 non fosse programmato il cambio delle guardia all’interno dello studio ovale.
Obama è andato anche contro il Congresso Americano, rifiutandosi di firmare la legge (votata all’unanimità dal Senato) che prevede la prosecuzione delle sanzioni contro l’Iran, ha rafforzato le sanzioni contro la Russia e firmato provvedimenti che bloccano le ricerche minerarie in varie parti del territorio americano (da ricordare come invece durante la sua presidenza egli abbia autorizzato perforazioni praticamente ovunque).
Queste azioni hanno il sapore dell’avvelenamento dei pozzi: una tattica per rendere invivibili i primi mesi di mandato al suo successore. Colpire la Russia è il fulcro di quest’obiettivo. Obama quindi attacca Putin e la Russia per ferire Trump e per far notare il presunto legame tra questi due attori di fronte al paese intero e a un Congresso Americano certamente non incline all’idea che Trump si avvicini a Mosca.
Nei primi giorni del suo governo il presidente eletto, dopo essersi assicurato l’appoggio del Congresso per le nomine della sua Amministrazione, tenterà quindi di revocare gli ordini esecutivi di quello uscente. Siamo certi che in quel preciso momento l’opposizione Democratica, con la stampella di una parte oggi minoritaria ma rumorosa del partito repubblicano, monterà un caso nazionale contro il nuovo presidente, tentando di minarne la credibilità. Ovviamente tutta questa manovra non potrebbe essere efficace senza le azioni intraprese in questi giorni dall’Amministrazione Obama.
Il tycoon possiede però a nostro avviso la capacità strategica e le armi per rispondere e zittire questa polemica e, anche in questo caso, tutto è legato all’operato di Obama. Trump, infatti, porrà l’accento sul tanto odiato (in casa repubblicana) ObamaCare, sull’accordo nucleare con l’Iran, sulla pochezza dell’azione contro lo Stato Islamico, sull’aggressività cinese che mina il potere marittimo americano nel Pacifico Occidentale.
Ecco perché la strategia di Obama per mettere in difficoltà Trump è e sarà una strategia perdente. In questi otto anni Obama si è preso gioco del Congresso e ha ignorato la volontà del popolo americano espressa dal Congresso stesso. Trump avrà gioco facile nel ricordare al Campidoglio il pugno di ferro con il quale il presidente ha utilizzato il potere esecutivo per piegare il Senato con l’aiuto decisivo di una minoranza democratica, la quale ha indebolito l’America, il suo esercito, le sue alleanze, e polarizzato la stessa nazione americana.
Mancano solo diciotto giorni alla fine del mandato di Obama, noi contiamo i minuti.