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La soluzione politico-strategica necessaria ad un intervento militare italiano in Libia

Il primo dicembre 2014 usciva su GPC questo post che sintetizza una soluzione politico-militare per la crisi libica. Lo riproponiamo oggi alla luce delle dichiarazioni interventiste del governo italiano.
Libia 2011, la rivolta esplode a Bengasi, Gheddafi si prepara a soffocarla come tante volte aveva fatto in passato ma in quell’anno la volontà dell’amministrazione americana, la voglia dei francesi di scavalcare l’Italia nel ruolo di partner commerciale privilegiato con il paese retto all’epoca da Gheddafi, la politica degli Stati Uniti atta ad escludere dal mediterraneo la Federazione Russa, la pochezza italiana e la debolezza del primo ministro Berlusconi, diedero il via ad una campagna militare che determino la caduta del regime libico, la morte di Gheddafi e pochi mesi dopo la dissoluzione dello stato libico.
Una dissoluzione generata dalla mancanza di una strategia politica a medio termine, una strategia che doveva avere come obiettivo, non solo danneggiare un avversario (i Russi per gli Americani e gli Italiani per i Francesi) ma anche prevedere la riorganizzazione della Libia.
Nessuna strategia di questo tipo fu messa in atto e la Libia implose. Così sono nati vari Signori della Guerra, spesso finanziati (se non armati) anche da stati esteri, sono nate formazioni islamiste che si richiamano al Califfato, la parte orientale del paese si è trasformata in un territorio di garanzia per i gruppi terroristici che oggi vogliono colpire l’Egitto e che domani potrebbero volgere il loro sguardo verso l’Italia.
Islamisti che controllano oggi l’est del paese, area per la quale le analisi americane riguardanti la situazione sul campo erano così sbagliate da determinare la morte del loro ambasciatore per mano di uno di quei gruppi senza legge che ora imperversano nel paese.
Oggi serve un intervento militare del quale il nostro gruppo aveva già parlato il 23 novembre (si ma del 2013),  individuando tutte le criticità che oggi stanno emergendo prepotentemente; tuttavia all’epoca non avevamo fornito una parte fondamentale dell’analisi e cioè la strategia politica funzionale al successo della missione militare.
A nostro avviso una soluzione politico-strategica esiste.
In primo luogo non è possibile affermare che la democrazia, in stile occidentale, risolverà ogni cosa. Il nostro modello non è applicabile in molte nazioni, e la Libia è una di queste, a causa di problematiche culturali e sociali, ed in questo caso anche per cause geografiche e geopolitiche.
Prima di tutto dobbiamo ricordare che la Libia in se non esiste come stato nazionale, ma è una creazione geopolitica del colonialismo europeo. Tuttavia dopo oltre un secolo di questo assetto dei confini nazionali essi sono oggi imprescindibili.
LibiaNella Libia si possono distinguere 4/5 macroaree, tre costiere (la Cirenaica, la Tripolitania e la regione di Misurata) e due nell’interno (il Fezzan e la regione di Al Jawi). A queste cinque macroaeree andrebbe, a nostro avviso, garantita ampia autonomia politica, di autogoverno, di impostazione dell’assistenza sociale, della destinazione dei propri fondi di Budget, dell’istruzione, dell’amministrazione della giustizia, delle forze di polizia, come in uno stato federale ad elevata autonomia.
Il governo centrale dovrebbe invece mantenere il controllo sull’esercito nazionale, sui confini dello stato federale, su una forza di polizia federale che possa perseguire i crimini, relativi a particolari reati di interesse nazionale su tutto il territorio libico. Il governo dovrebbe farsi carico di distribuire, in maniera proporzionale secondo criteri di popolazione ed estensione territoriale (in maniera da bilanciare i fondi destinati alle aree costiere più popolose rispetto a quelli destinati alle aree del sud del paese con una popolazione inferiore ma con ampie aree di territorio) i proventi delle esportazioni degli idrocarburi libici.
Proprio a riguardo delle aree di estrazione, transito, esportazione e raffinazione degli idrocarburi dobbiamo fare una importante distinzione. Tali aree, a nostro avviso, andrebbero escluse dal territorio delle regioni federate della nuova Libia e denominate “aree di interesse strategico nazionale” sotto la giurisdizione e il controllo del governo centrale, che li amministrerebbe a nome dell’intero paese. Il governo centrale riceverebbe così i pagamenti dagli acquirenti internazionali e li ridistribuirebbe secondo i principi di pololazione e ampiezza territoriale delle regioni.
Questo assetto dovrebbe garantire finanziamenti equi e distribuiti in maniera corretta ed evitare dispute che le aree dove sorgono i siti di estrazione, quelle dove transitano i gasdotti e gli oleodotti e quelle dove sono situati i terminal per le esportazioni.
Per giungere a questo assetto sarà necessaria una assemblea costituente che decida quali istituzioni dell’attuale stato dovranno essere mantenute, quali create ex novo e quali abolite. La medesima assemblea dovrà individuare i coefficienti per la distribuzione dei proventi delle esportazioni e i limiti di giurisdizione del governo centrale, nonché la rappresentatività di ogni singola “regione” nel parlamento federale (sempre a nostro avviso tenendo conto del mix popolazione-estensione territoriale).
Tale procedura dovrà essere sotto garanzia di un gruppo di contatto che si faccia carico, in base ad una risoluzione delle Nazioni Unite, di garantire la transizione pacifica al nuovo status di Stato Federale. Va da se che in una prima fase le truppe delle Nazioni Unite dovranno avere un mandato di Peace-enforcement in base all’art 42 della Carta delle Nazioni Unite.
Il ruolo “combat” delle truppe delle Nazioni Unite, in una prima fase dell’intervento deve essere chiaro e non messo in discussione al fine di scoraggiare movimenti di resistenza che possano far leva sulla proverbiale indecisione e scarsa prontezza della Catena di Comando che fa capo al palazzo di vetro.
Se per un qualsiasi motivo (veti incrociati, desideri di egemonia geopolitica) non si riuscisse a trovare una soluzione in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, serebbee preferibile (rispetto ad una inerzia foriera di caos e di rafforzamento dei gruppi più estremisti oggi presenti in Libia) un intervento dell’Egitto e dell’Italia e di qualunque altra nazione condivida il progetto federale per la Libia, in base all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, visto che tali formazioni presenti su suolo libico, hanno ripetutamente espresso la volontà di mettere in pericolo l’integrità territoriale sia dell’Italia sia della nazione Egiziana, nazione Egiziana ai quali confini si sono già manifestati attacchi armati originati dal territorio libico. Comprendiamo le difficoltà diplomatiche, politiche, e anche militari, di una scelta così radicale, tuttavia il prezzo del non agire sarebbe molto più alto del costo dell’azione, e comprometterebbe entro pochi anni la sicurezza stesse del Nord Africa e del nostro Paese.
Va tenuto presente che una nostra presenza in Libia sarebbe salutata con favore da gran parte della popolazione, oggi in una situazione di anarchia e di crollo dello stato sociale messo in piedi da Gheddafi negli ultimi 20 anni. Va altresì ricordato che la nostra presenza sarà benvenuta se temporanea, e a patto di instaurare subito un piano di rilancio economico per i paese, prestare massima attenzione al fenomeno della corruzione e avviare il processo federale da noi esposto ripristinando la legalità e una parte di stato sociale, tangibile ed evidente, come ad esempio l’assistenza sanitaria che dovrebbe essere garantita dalla nostra Sanità militare con il supporto del Servizio Sanitario Nazionale.
Se miglioreremo subito e concretamente le condizioni di vita dei libici saremo bene accolti e entro 18/24 mesi potremo lasciare la Libia padrona del Suo destino. Se invece interverremo e accetteremo la corruzione, senza dare nulla di concreto ai libici (serve cibo, ordine e un sistema sanitario) allora faremmo meglio a rimanere a casa!