Questo post è uscito su GPC il 25 Agosto 2014. Lo riproponiamo alla Vostra lettura in relazione all’evoluzione della questione libica di questi mesi, e non in relazione all’attentato di Parigi sul quale l’analisi è differente, seppur non slegata dall’evoluzione della “Rivoluzione Islamica Globale”
Una rivoluzione islamica globale, questo secondo noi sta accadendo sotto l’influsso dello Stato Islamico nato dalla disgregazione dello stato siriano e dal settarismo dell’Irak del dopoguerra. Una rivoluzione islamica globale che non ha nulla a che fare con Al-Qaeda, una struttura basata su piccole cellule spesso mal coordinate e con gravi problemi di finanziamento. Lo stato islamico propone oggi un modello diverso, un modello molto più organizzato di quello di Al-Qaeda, un modello che non parte dal terrorismo ma dall’organizzazione logistica, economica e militare dei territori sotto il controllo degli estremisti.
Questa idea di uno stato vero e proprio, che possa non solo creare danno agli avversari, ma crescere, commerciare, gestire la giustizia, così come le importazioni, le esportazioni ed una pianificazione energetica seppur rudimentale, consente ai combattenti di aumentare la schiera dei propri simpatizzanti se non dei sostenitori veri e propri.
Ma il punto di forza dello Stato Islamico è ordine, seppur imposto con il terrore e metodi che riportano la civiltà occidentale indietro di oltre 1000 anni. Un salto indietro nel tempo che i militanti del Califfato fanno nel momento stesso nel quale scelgono di appartenere a questa “nazione”, un salto indietro del tempo che li riporta agli albori dell’islam combattente, quell’Islam che con la spada arrivò a conquistare parte dell’Europa, tutto il Nord Africa, tutta la regione mediorientale e del Golfo Persico. I miliziani replicano così l’organizzazione della nazione araba di quel tempo, applicano la legge coranica, una versione estrema della Hanbalita che ribadisce la supremazia dei testi sacri sul ragionamento personale, e rifiuta l’analogia come fonte del diritto. Al tempo degli Ottomani viene relegata alla Penisola arabica, e oggi vi si trova come fondamento del Wahhabismo, impongono la conversione o la morte, vendono come schiave le donne del nemico sconfitto.
L’ordine che lo Stato Islamico prospetta, esalta una parte della platea araba, particolarmente nei paesi dove la dissoluzione dello stato ha peggiorato le condizioni di vita, ha portato la violenza nelle strade, la scomparsa del diritto e fatto crescere la paura nella gran parte della popolazione. Questo quadro identifica in maniera estremamente calzante sicuramente la Siria e l’Irak, ma anche altri paesi che hanno una importante quota di popolazione islamica. Parliamo in modo particolare della Libia, del Mali, della Somalia, della Nigeria in Africa, dello Yemen nella penisola araba, la regione caucasica con la Cecenia ed in parte il Pakistan in Asia.
In ognuno di questi stati sono arrivati combattenti che hanno passato diversi mesi in Siria ed in Irak, essi a volte sono arrivati in questi paesi spontaneamente, altre volte inviati dal Califfo in persona, sia per supportare la rivolta locale, sia per espandere il bacino di influenza delle Stato Islamico. Un bacino necessario per instaurare una Federazione di Emirati che comunque rispondano all’autoproclamato Califfo dello stato islamico e che coordinino con lui non solo la lotta armata ma anche lo sviluppo di una economia e di commerci di base. Ecco che questa rivoluzione islamica globale non si basa, e non si baserà, sugli attentati tanto spettacolari quanto poco utili alla causa come l’11 settembre (gesti che potrebbero comunque essere presenti come atto di rappresaglia contro nazioni non assoggettabili dallo Stato Islamico al fine di aumentare l’insofferenza dell’opinione pubblica ad azioni militari della comunità internazionale contro il Califfato), ma si baserà sulla creazione di una rete economica e commerciale. Contro lo stato islamico, dopo averne fermato militarmente la rapida espansione di questi mesi, l’unico mezzo per ostacolare sul lungo periodo gli islamisti è limitare la loro capacità di ricevere finanziamenti o instaurare una economia basata sui commerci di materie prime (in Irak, ve lo ricordiamo, lo stesso stato iracheno acquista prodotti agricoli dallo Stato Islamico).
Questa “Rivoluzione Islamica Globale” è molto più organizzata, sostenuta e vasta di quanto noi oggi riusciamo a vedere. Un banco di prova fondamentale non sarà solo la Siria e l’Irak dove il movimento è endemico, un banco di prova fondamentale sarà la Libia dove il caos, l’aumentata povertà, l’assenza dello stato, il crimine che regna sovrano potrebbe spingere intere tribù verso lo Stato Islamico e il suo Califfo. Questa rivoluzione islamica globale è sicuramente nata in Siria ed in Irak, dove sono evidenti le responsabilità di un occidente miope, ma per espandersi come nei progetti del Califfo e dei suoi Emiri dovrà conquistare un paese oltre il medioriente, un paese che possa essere una cerniera con l’Africa e con l’Europa e quel paese ha un nome a noi famigliare: Libia.
La rivoluzione islamica globale si giocherà in Libia, non solo in Irak o in Siria, si deciderà sulle coste del Mediterraneo tra l’Egitto e l’Algeria, non solo nel Golfo Persico, e sarà Tripoli, non Baghdad, che vedrà sorgere o crollare il sogno di gloria del Califfo: il sogno di controllare sotto le sue bandiere nere Medio Oriente, Nord Africa e una fetta di Europa.
Questo perché, con l’attuale strategia degli Stati Uniti, lo Stato Islamico in Irak verrà contenuto ma non eradicato, ed a quel punto sarà naturale per i leader del movimento cercare di espandere la rivolta globale in altri paesi…