La rappresaglia israeliana agli attacchi iraniani nel Mare Arabico
Giorno 30 luglio alle ore 11:00 del mattino circa una petroliera battente bandiera liberiana, di proprietà giapponese, ma operata da una società marittima israeliana, è stata attaccata da uno sciame di droni-suicidi. Scortati e indirizzati da un sistema di osservazione ad alta quota i tre droni-bomba hanno attaccato la petroliera. Il primo l’ha mancata finendo in acqua, il secondo ha colpito il punto di comando uccidendo due marinai, il terzo ha colpito la prua.
L’attacco ha causato danni all’unità ma soprattutto ha determinato la morte di due marinai, uno di nazionalità britannica e uno di nazionalità rumena. È apparso subito chiaro che eravamo dinanzi ad un attacco di tipo militare portato avanti da una nazione con spiccate capacità tecniche. Poco importa che la nave fosse di proprietà giapponese e che la bandiera a poppavia fosse della Liberia. Il punto focale è che la società che la opera è israeliana, la Zodiac Marine.
Abbiamo quindi assistito ad un ennesimo attacco contro una nave riconducibile ad Israele, con la differenza che questa volta uno degli ordigni esplosivi ha colpito il ponte di comando con il chiaro intento di uccidere chi era a bordo dell’unità.
A differenza di quanto avvenuto altre volte in passato, il governo di Israele ha accusato apertamente la Repubblica Islamica dell’Iran per le morti dovute a questo attacco. È altresì evidente che dopo una tale presa di posizione pubblica la risposta di Israele non tarderà, e non parliamo di una risposta simbolica o formale, parliamo di una risposta sostanziale. Che tipo di risposta sarà?
Va per prima cosa escluso l’attacco diretto contro le basi iraniane dove vengono addestrati i piloti dei droni e da dove vengono lanciati e gestiti questi ordigni. Perché diciamo ciò? Perché un tale attacco diretto contro la madrepatria iraniana giustificherebbe Teheran ad una rappresaglia immediata contro installazioni o città di Israele, con tutto quello che poi ne conseguirebbe.
Allo stesso tempo dobbiamo ricordarvi che da pochi giorni lo spazio aereo siriano è diventato per Israele un terreno di combattimento molto più ostico, alla luce del mancato accordo tra il nuovo Primo Ministro di Israele Bennet e il presidente russo Putin. In assenza di un accordo tra Bennet e Putin le opzioni per il governo israeliano si riducono ulteriormente rimane quindi in piedi la sola possibilità di organizzare attacco mirato contro unità militari iraniane operanti al di fuori dello Stretto di Hormuz. Una rappresaglia condotta per via informale sul territorio iraniano, ad esempio un attacco cibernetico, o una operazione di forze speciali per eliminare fisicamente un vertice della Repubblica Islamica, non garantirebbe ad Israele la libertà di rivendicare tale azione.
Visti i punti elencati forse la migliore opzione per il governo di Gerusalemme potrebbe essere quella di, avendo ottenuto luce verde da Washington, organizzare un incontro tra Bennet e Putin al fine di garantire nuova libertà di azione per i caccia israeliani nella parte meridionale ed orientale della Siria.
In assenza di tale accordo, l’unica opzione realistica disposizione di Bennet risulta essere è una rappresaglia diretta contro una unità navale possibilmente militare iraniana. Un attacco che causi la completa inabilitazione dell’unità stessa. Come tuttavia capite, cari amici e lettori, questo tipo di azione renderebbe vulnerabili ad attacchi magari ancor più incisivi non solo tutte le unità israeliane nell’oceano, Indiano nel Golfo dell’Oman ma anche le piattaforme estrattive presenti al confine marittimo tra Israele e Libano.
Vi terremo informati sull’evolversi della vicenda e sugli sviluppi militari politici e diplomatici che osserveremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni.