Si sa, alle masse interessa sapere quante tasse pagheranno (forse) domani, interessa capire quando e come andranno in pensione, quanto costerà il canone Rai, l’autostrada o il carburante, meno interessa che posizione prenderà l’Italia sulle grandi questioni di politica estera.
Ma per ridurre le tasse, coprire la spesa pensionistica, gestire l’informazione, i costi dei trasporti o delle materie energetiche non è sufficiente guardare al mercato interno; è imperativo, oggi più di ieri, guardare alle politiche estere e ai grandi indirizzi che il nuovo governo vorrà, e speriamo dovrà, intraprendere.
Quali sono quindi secondo noi i grandi indirizzi della politica estera italiana?
Per prima cosa il ritorno allo spirito atlantico originario del 1948, e cioè la piena consapevolezza che la NATO debba essere uno strumento difensivo e non un mezzo di “esportazione della democrazia” oppure un’organizzazione che è funzionale a sorpassare il blocco ormai patologico del multilateralismo mondiale.
L’Italia ha il suo posto all’interno delle NATO, ma non deve avere il ruolo di vassallo esecutore delle politiche decise in altri luoghi che non siano Roma. Appartenere alla NATO significa far parte di una alleanza difensiva (la Carta di Washington con la quale viene sancita la nascita dell’Alleanza è molto chiara in merito), così come erano chiari i limiti territoriali di intervento e le modalità della difesa reciproca.
Ma la NATO dopo la fine del blocco comunista ha cambiato la propria natura, diventando uno strumento attivo della politica estera (principalmente americana ma non solo), che è stato utilizzato per indebolire potenziali futuri nemici, e parliamo apertamente della volontà di varie amministrazioni americane relative alla necessità di limitare le capacità di deterrenza delle Federazione Russa ed allo stesso tempo impedire l’accesso al Mediterraneo alle forze di Mosca.
Questo utilizzo della NATO trova un senso logico solo se si vede nella Federazione Russa un nemico, cosa che per l’Italia essa non è dalla fine del comunismo. Siamo perfettamente coscienti che i missili nucleari russi sono puntati anche contro le nostre città e contro le nostre installazioni militari, ed è per questo motivo che ribadiamo l’importanza di mantenere il nostro ruolo nella NATO. Ma se è pur vero che per ottenere una pace durevole è importante prepararsi per la guerra, è altresì inoppugnabile che se vogliamo cercare di non ritornare nell’ottica della Guerra Fredda, deve finire l’idea dei blocchi contrapposti e deve farsi spazio l’idea di un’area di interesse comune tra Europa, Stati Uniti e Federazione Russa. Solo questa scelta potrebbe innescare un processo virtuoso per eliminare il grande rischio oggi presente, non solo contro la pace, ma contro la stessa sopravvivenza del genere umano: i sistemi missilistici nucleari in “Hair Trigger alert”. L’Hair Trigger Alert prevede che centinaia di vettori nucleari siano pronti al lancio nel giro di pochi minuti su ordine di una sola persona (Trump per gli Stati Uniti, Putin per la Federazione Russa).
Eliminare l’Hair Trigger Alert deve essere quindi un obiettivo non solo italiano ma anche di tutte le nazioni del mondo, e si otterrà associando forza e diplomazia, una solida alleanza atlantica che accolga la Russia come partner e non come nemico.
A questo discorso va collegata l’idea di un esercito europeo che possa dare voce ad un continente ancora diviso, non solo dalla cultura dei vari popoli, ma anche dall’operato dei governi più “influenti” dell’Unione. Un esercito europeo dovrebbe però vedere, per essere realmente tale, la rinuncia della Germania al ruolo egemone svolto fino ad oggi e da parte della Francia la rinuncia al controllo esclusivo delle armi atomiche in suo possesso. Come ben potete giudicare sarà più probabile una mediazione Usa-Russia, magari con protagonista il nuovo governo italiano, piuttosto che la nascita in breve tempo di un vero esercito europeo.
Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo andrebbero sviluppati solidi rapporti con tutti i paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, non tanto per i problemi legati all’immigrazione ma per la necessità di dare a questi paesi governi amici e forti, argine all’estremismo religioso islamista e in grado di essere il nucleo di una Unione Doganale mediterranea che potrebbe regalare alla regione prospettive di crescita oggi impensabili.
Quando parliamo dei paesi del bacino del mediterraneo non parliamo solo dei paesi nord-africani ma anche di tutta la parte asiatica, che include la Turchia, la Siria ed Israele. La nostra politica di amicizia e vicinanza agli stati laici deve proseguire non escludendo Damasco che cerca un nuovo equilibrio al fine di non trovarsi schiacciata, una volta vinta la guerra contro il Califfato, nella morsa teocratica sciita.
Seguirà un post dedicato all’Africa e all’Oriente