Nel Coas Siriano, nel pantano di una guerra sempre più apertemene funzionale agli interessi delle grandi potenze internazionali, sono poche le certezze che oggi possiamo certificare, tra queste una emerge fra tutte: il Cremlino ha tracciato una sua Linea Rossa, nessuno potrà più attaccare l’esercito Siriano o i vertici politici del Governo di Al Assad senza subire, in qualche modo, la reazione militare di Mosca.
Il Cremlino ha osservato, probabilmente preso di sorpresa, l’attacco aereo della Coalizione Americana nei confronti delle truppe governative assediate a Dier Ezzor, mentre in quelle ore Mosca non aveva la capacità (e forse nemmeno la volontà) di rispondere militarmente all’azione americana. Il dubbio di un “errore”, la necessità di appurare cosa fosse accaduto, l’assenza di assetti adeguati ad una rappresaglia mirata contro le unità responsabili dell’attacco, ha fatto sì che da Mosca arrivasse l’ordine di non ingaggiare nessun aereo straniero. La risposta è arrivata in maniera asimmetrica, pochi giorni dopo, con un attacco ad un convoglio della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa sospettato dai russi di agire in Siria in supporto esclusivo dei ribelli siriani; un’altra risposta è arrivata espandendo le missioni di bombardamento senza più curarsi della sorte dei civili residenti ad Aleppo Est, roccaforte sunnita della città. Queste azioni hanno determinato il collasso della tregua difficilmente mediata dall’Alto Rappresentate delle Nazioni Unite Staffan de Mistura, segnato il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella Guerra in Siria, e fatto sì che il Cremlino tracciasse la sua prima linea rossa nella gestione strategica del conflitto siriano.
Di linee rosse avevamo già sentito parlare in Siria nel 2014, quando il presidente americano Obama aveva definito una “Linea Rossa”, in grado di scatenare la reazione militare americana, l’utilizzo di armi chimiche da parte del governo di Al Assad, armi chimiche poi utilizzate nella sanguinosa battaglia per Damasco. Nonostante le dichiarazioni perentorie, Obama decise di non eseguire lo Strike contro Al Assad, e segnò il declino del potere di deterrenza degli Stati Uniti d’America.
Oggi il Cremlino è ben conscio di cosa significhi aver tracciato una Linea Rossa in Siria, essa è uno strumento di forte pressione, ma rischia di essere interpretato da alcuni analisti americani come un bluff molto simile a quello dell’amministrazione Obama nel 2014. A nostro avviso quello della Russia tutto è tranne che un Bluff, bensì si tratta di una reale linea invalicabile, che potrebbe portare a reazioni non del tutto prevedibili da parte dell’apparato politico-militare di Mosca.
La situazione inoltre è complicata da quella che sembra essere la mancanza di una strategia a medio e lungo termine degli Stati Uniti per la risoluzione del conflitto in Siria, e più in generale per ricercare un equilibrio nelle relazioni con Mosca, e tra Mosca e gli alleati di Washington.
Non l’America, ma in particolare questa amministrazione americana, ha dimostrato più volte di voler utilizzare i propri alleati come strumento di pressione nei confronti di Mosca: un esempio eclatante ne sono le sanzioni economiche contro la Russia, le quali ottengono il loro scopo a scapito dei paesi Europei alleati degli Usa, costretti a non impegnarsi più nello sviluppo di un mercato, come quello russo, che fino al 2012 era in continua espansione. Ne fa le spese l’Ucraina diventata luogo di scontro e guerriglia quotidiana, ne fa le spese il nord Africa con la Libia diventata una terra di signori e signorotti della guerra, dove la vita scorre scandita dalle lotte tribali e senza che possa essere garantita ai civili assistenza sanitaria, istruzione e lavoro, ponendo le basi per una fucina di estremisti che non avranno nulla da perdere in un nuovo Jihad contro l’occidente.
Una strategia, quella della Casa Bianca targata Obama, che troppe volte ha utilizzato il multilateralismo come alibi per perseguire gli interessi esclusivi degli Usa, che ha usato il paravento delle risoluzioni delle Nazioni Unite per agire spesso oltre i limiti delle risoluzioni stesse, come appunto accadde in Libia nel 2011, quando l’autorizzazione per imporre una No Fly Zone su Bengasi si è trasformò in una green light ad attaccare ogni postazione governativa libica, fornire supporto ravvicinato all’avanzata degli insorti di Bengasi e di Misurata, fino al determinate intervento dei droni usa per catturare l’ex dittatore in fuga.
E’questa strategia nebulosa dell’amministrazione Obama, associata alla scomparsa del potere di deterrenza degli Stati Uniti d’America, che apre la strada alle soluzioni di forza, all’utilizzo “ab inizio” dello strumento militare come migliore metodo per imporre l’interesse del proprio blocco o della propria nazione, è stato questo uso spregiudicato del “Soft Power”, a determinare nel Cremlino la convinzione che la diplomazia è solo uno strumento utilizzato da Obama per piegare il nemico ai suoi voleri, così come un avvocato utilizza la propria retorica, anche non supporata da fatti reali, per influenzare il giudizio di una giuria.
A inganno il Cremlino ha risposto con l’inganno, e alla violazione del Diritto Internazionale Putin ha risposto a sua volta violando le leggi che regolano i rapporti tra gli Stati, in quella stagione di scontro tra potenze che noi avevamo definito “Guerra Fantasma” o “Ghost War” se preferite l’inglese. Ora la Guerra Fantasma evolve e la sua presenza viene maggiormente percepita, non solo dagli analisti, ma anche dai politici ed in parte del pubblico che segue l’evoluzione delle crisi geopolitiche internazionali: così anche il Ministro degli Esteri della Germania, Steinmeier, afferma che
“le superpotenze non sanno più dove è posta la linea rossa”
evidenziando che quella da noi oggi vissuta non è la riedizione della Guerra Fredda ma una nuova fase del conflitto tra le Potenze Nucleari Globali, quella che appunto noi abbiamo chiamato “Guerra Fantasma”, e della quale presto vi parleremo ancora.