La Libia si trova oggi ad un bivio della sua storia, un momento nel quale verrà deciso il destino di una nazione per i prossimi cinquant’anni.
GeopoliticalCenter vuole oggi presentarvi tre differenti scenari che potrebbero verificarsi in terra di Libia, è stato un lavoro lungo e complesso, che abbiamo cercato di sintetizzare il più possibile senza perdere gli elementi fondamentali del nostro ragionamento.
Iniziamo con L’intervento militare straniero, proseguiremo con Libia una guerra per procura tra Egitto e Turchia ed infine La somalizzazione della Libia
Premessa: la Libia nell’incubo della guerra civile
La Libia è divisa tra due governi, il governo di Tripoli che unisce al suo interno le formazioni islamiste, i partiti che si rifanno alla Fratellanza Mussulmana e le tribù della regione di Misurata; e il governo di Tobruk che raggruppa le formazioni laiche la maggioranza degli ufficiali dell’esercito libico e i politici che cercano il loro sostegno nell’Egitto del presidente El Sisi, mentre il governo di Tripoli trova il suo principale alleato nella Turchia di Erdogan.
In Libia si combatte quindi uno scontro che non è limitato alla guerra civile tra differenti forze della nazione libica ma stiamo assistendo ad uno scontro tra due visioni opposte dello stato all’interno del mondo islamico, visioni rappresentate dalla componente laica dell’Egitto di El Sisi e dalla componente che vede stato e religione fondersi in un’unica entità come nei progetti della Turchia di Erdogan. Chi prevarrà in Libia riuscirà probabilmente ad influenzare l’evoluzione democratica del mediterraneo musulmano.
Dobbiamo però ricordare che in Libia esiste un altro “giocatore”, e si tratta dello Stato Islamico dello Sceicco Abu Bakr El Baghdadi, il quale ha inviato in terra di Libia sia miliziani che emissari politici, i quali hanno iniziato sia il reclutamento, sia le prime operazioni di combattimento e guerriglia.
L’intervento militare di Italia e Francia
Il confronto tra i due governi libici ormai si è trasformato in una guerra senza esclusioni di colpi. Bande armate, supportate da “tecniche” (fuoristrada con installati a bordo cannoncini rapidi o mitragliatori pesanti), imperversano per il paese e nelle zone nell’ampia terra di nessuno, che nel caso della Libia si estende da un capo all’altro del golfo della Sirte, impedendo ogni attività coordinata in una fascia di quasi 300 chilometri. Le popolazioni dell’area vivono ora spesso senza la certezza di avere forniture di energia elettrica, acqua potabile, medicinali e le attività economiche sono ridotte ormai unicamente ad attività illecite di contrabbando o borsa nera.
Risulta impossibile garantire la sicurezza delle installazioni petrolifere, inclusi i pozzi metaniferi dell’ovest del paese per i quali è complessa anche la manutenzione ordinaria, non essendo in grado il governo di Tripoli di garantire l’incolumità degli operatori occidentali. Ad ovest i seguaci dello stato islamico possono organizzarsi in relativa libertà mentre Tripoli e Tobruk si confrontano per il controllo delle ricchezze energetiche della Libia.
Spaventate da questa situazione Italia e Francia decidono di intervenire militarmente in Libia appoggiando il governo di Tobruk, e garantendosi l’appoggio logistico dell’Egitto che fungerà quindi da base per i rifornimenti alimentari, l’evacuazione medica e come luogo sicuro per il dispiegamento dei caccia a supporto della missione.
Tale missione se gestita in armonia e con aree di controllo militare che alternino settori italiani a settori francesi su tutto il territorio, e che non prefigurino una divisione federale delle Libia sulla base delle medesime aree di intervento militare, dovrà portare il governo libico ad una rapida autosufficienza economica, militare e sociale.
La missione dovrebbe avere tappe di sviluppo ben definite (ad es. limiti temporali per la creazione di ospedali militari, che poi devono divenire ospedali civili, il ripristino dell’educazione scolastica a tutti i livelli, la garanzia di razioni alimentari eccedenti la soglia di fabbisogno minimo a tutta la popolazione, il ripristino di tribunali statali con all’inizio una componente di supervisione internazionale per evitare abusi e corruzione e tutte queste operazioni devono, a nostro avviso, essere incondizionate e quindi andare avanti anche se in loco dovessimo incontrare divergenze sulla futura gestione del paese), tappe che devono avere prima dell’inizio dell’operazione finanziamenti chiari e presenti, non fondi teorici che nel momento del bisogno non saranno disponibili.
Dovranno essere prevenute e represse con la massima rapidità e fermezza le vendette dirette o trasversali che la fazione che si porrà sotto la nostra protezione avrà intenzione di commettere contro le tribù nemiche o avversari personali.
Questa fase iniziale della missione sarà cruciale per il successo della missione stessa. Fallire in questa fase, equivale a fallire al termine della missione. La popolazione libica dovrà non solo percepire un miglioramento delle condizioni di vita, ma dovrà essere cosciente che tale miglioramento coinvolge parimenti ogni tribù, ogni etnia, ogni città e villaggio anche sperduto nel sud del Fezzan o nella città di Derna oggi roccaforte degli islamisti.
Dovrà essere inoltre chiaro da subito che la missione è a “tempo determinato” e che si concluderà con l’indipendenza della Libia e non con la sua sottomissione ai paesi che intervengono nell’emergenza della disgregazione nazionale.
Se questo sarà l’ambito di intervento nel giro di pochi mesi la la popolazione non darà il suo appoggio ai gruppi esterni, gruppi che vedranno nella presenza di truppe occidentali in Libia l’occasione di uccidere in nome del fanatismo. In un paese come la Libia, con a est l’Egitto controllato dai militari e a ovest la Tunisia democratica ai terroristi resterà resterà però aperta la porta del Mali e questo risulta a nostro avviso il punto di criticità maggiore di questo scenario, sarebbe quindi opportuno che prima dell’intervento in Libia venisse in parte bonificata la zona di confine tra Libia e Mali.
Nel periodo di svolgimento della missione una nuova classe di funzionari ministeriali, economisti, militari, operatori sanitari, tecnici dovrà essere formata per la stabilizzazione e la crescita del paese africano. In una prima fase di sviluppo delle strutture accademiche libiche, la formazione di tali figure dovrà avvenire in Europa, a spese dell’Unione Europea, essendo la Libia una chiave di volta nella stabilità dell’intero sistema europeo, sia per la ricchezza di risorse energetiche, sia per la posizione geografica, sia per il suo ruolo chiave nel controllo e nella gestione dei flussi migratori.
In questo scenario Italia e Francia troveranno l’indifferenza dell’Europa del Nord e della stessa Germania completamente disinteressata alle problematiche mediterranee, così come si potrebbe manifestare una aperta ostilità degli Stati Uniti d’America che mal sopportano il nuovo assetto dell’Egitto (e il suo ruolo in terra di Libia), il quale sembra prendere le parti di Al Assad nella questione Siriana e che ha aperto un canale di dialogo con la Federazione Russa. Tuttavia l’attuale fase di contrapposizione di Stati Uniti e Federazione Russa potrebbe essere funzionale per porre le basi giuridiche per un’autorizzazione in sede Onu dell’intervento italo-francese.
Essendo le nazioni interessate ad intervenire in Libia (Italia Francia) in contatto ancora stretto con la Federazione Russa, seppur inquadrate nell’ambito NATO, esse potrebbero essere considerate garanti, così come la nazione Egiziana, di un intervento che alla fine non estrometterà né i russi né gli americani dai commerci e dalla ricostruzione libica.
E’ molto probabile che Francia e Italia ricerchino l’approvazione delle Nazioni Unite per il loro intervento in Libia, tuttavia sarebbe a nostro avviso auspicabile che il comando operazioni in Libia sia affidata ad una strutta di comando italo-francese e non ad una delle Nazioni Unite, in quanto la catena di comando delle Nazioni Unite ha mostrato in passato tutta la propria lentezza ed inadeguatezza in particolar modo nel gestire situazioni emergenziali o che escano dalle classiche regole di ingaggio predeterminate.
L’Exit Strategy
In questo particolare scenario l’Exit Strategy, fondamentale e spesso mancata negli interventi militari occidentali in Medio Oriente è rappresentata dal fine stesso della missione, che non è quello di occupare un paese per appropriarsi delle sue ricchezze, ma intervenire per migliorare la qualità di vita della popolazione, e la ricchezza (educativa, sociale, sanitaria, economica, industriale e commerciale) del popolo libico.
L’Exit Strategy inizia già quando il primo ospedale da campo internazionale viene aperto alla popolazione della Libia, l’Exit Strategy inizia quando i fondi per lo sviluppo industriale della Libia ne permettono la ripresa economica, l’Exit strategy avrà successo se i vertici politici di Italia, Francia e Egitto, ricorderanno che l’obiettivo non è massacrare una fazione o una popolazione della Libia, bensì far si che nessuno debba più uccidere per garantire alla propria tribù prosperità.
L’Exit Strategy, questa Exit Strategy, deve essere scolpita nel cervello di ogni politico, civile o militare parteciperà a questa operazione in Libia.
Un’operazione che non deve riportare la Libia all’incubo dell’occupazione, o della dittatura, ma alla prosperità che questa terra aveva quando i fenici costruirono Lepcis che i romani ribattezzarono Leptis Magna.
Questa operazione andrebbe chiamata così: Operazione Leptis, un grande piano Marshall per la Libia.