Tutti noi abbiamo assistito agli attacchi terroristici di matrice islamista che hanno caratterizzato l’estate del 2016 in Europa. Abbiamo osservato che la reazione delle nostre comunità dinanzi a tali episodi è stata scomposta, insufficiente e ha visto la popolazione essere unicamente vittima di questa particolare minaccia. Dinnanzi a questa situazione abbiamo deciso di formulare una dottrina di risposta alla minaccia del terrorismo “di prossimità”, la dottrina della “Difesa Comunitaria Collettiva”, una dottrina che prevede una partecipazione attiva della popolazione generale alla risposta in caso di attacco terroristico. Abbiamo avuto la fortuna di beneficiare del punto di vista e dell’esperienza di un nostro lettore che ha elaborato questo post. Grazie a Pasquale Camuso
Parte 1
FFOO e reazione al terrorismo.
Dopo i più recenti attentati, sia sul territorio europeo che quello mondiale, si comprende bene che il movimento terroristico non ha alcuna intenzione di ridurre le proprie attività, dimostrando all’opposto una crescita continua e una capacità di mutare, sia in termini di approccio dell’attacco, sia di riferimento ai propri sostenitori, che lo rende ormai imprevedibile.
A questo punto, è necessario accettare il fatto che questo fenomeno terroristico, come del resto molti altri a lui precedenti, non finirà in tempi brevi e non ha una soluzione unica o quantomeno rapida. I tre attacchi di Orlando, Nizza e quello tedesco sul treno, dimostrano che il terrorista ha la capacità di rimanere del tutto al margine degli elementi radicali, finché non decide di attivarsi o non gli viene richiesto, imponendo quindi un metodo di controllo delle minacce, da parte dell’intelligence, praticamente impossibile da realizzare. E’ probabile che questo tipo di minaccia si dilungherà per anni, forse anche 15 o 20, prima di iniziare a diminuire in portata, e con tutta probabilità, ancora non abbiamo visto il periodo peggiore, anzi finora abbiamo assistito ad attacchi disorganici e più mirati alla propaganda che non ad ottenere il maggior numero possibile di vittime, per fortuna.
Demandare la difesa della popolazione esclusivamente alle forze dell’ordine si è dimostrata, allo stato attuale, una operazione impossibile da portare a termine. Le cause sono da ricercare nella mancanza di fondi e, ovviamente, di personale che le forze di polizia e intelligence soffrono, specialmente in un periodo come questo di profonda crisi, e specialmente perché in realtà praticamente tutti gli stati europei non hanno fatto altro che ridurre le proprie capacità difensive, fin dal termine della seconda guerra mondiale, obiettivo auspicabile fintantoché lo stesso non mina in maniera definitiva le capacità di uno Stato di occuparsi di una possibile minaccia. In secondo luogo, bisogna considerare che, a distanza di due anni e mezzo dal primo della serie di questi attacchi portato in Francia, lo stesso Stato non ha predisposto che poche misure interne, che si sono dimostrate totalmente inefficaci, per il contrasto al terrorismo: la totale inadeguatezza dei processi sviluppati finora si è palesata con Nizza (e, forse in maniera più evidente, con l’asseragliamento di un individuo in un albergo, dove la polizia ha peduto in pratica una giornata per intervenire in un qualsiasi modo), dove gli interventi post-attacco sono stati così rapidi che dopo 36 ore l’Italia non era ancora in grado di conoscere la quantità di morti presenti nell’attacco di nazionalità italiana, in un’area dove perfino la barriera linguistica praticamente non esiste. Ma le cose vanno così più o meno in tutta l’area europea: abbiamo capito e compreso che buona parte dei terroristi che hanno colpito in Europa è transitata dall’Italia, dove ha ricevuto anche i primi indirizzamenti alla jihad e alla radicalizzazione, o in Inghilterra; sappiamo anche che la Germania ha coperto, e continua a cercare di coprire, molti dei fenomeni collegati al jihadismo che accadono sul suo territorio, nel tentativo di ridurre al minimo la possibilità che i propri cittadini decidano di farsi giustizia da soli e abbandonarsi ad istinti nazionalistici.
Il panorama pubblico europeo è instabile, la popolazione potrebbe reagire in maniera inconsulta ed esagerata, ma chiedere alla polizia di coprire, assieme al normale servizio, anche questa minaccia è veramente troppo, del resto il volume della possibile minaccia va ben oltre perfino le possibilità di far adeguare le forze dell’ordine per fronteggiarla.
parte 1.1
Tempi di reazione.
Secondo le richieste moderne, abbiamo tempi di intervento sui luoghi colpiti dagli attentati che variano sulla base dei reparti coinvolti, che vanno dai circa 40 minuti per le forze speciali, a un paio d’ore, mediamente, per il resto della catena, prendendo in esame polizia, esercito, associazioni di mutuo soccorso, vigili del fuoco.
E’ necessario capire che non può essere sufficiente individuare solo uno di questi elementi per la protezione della popolazione locale: se l’esplosione di un ordigno causa l’avvio di un incendio, si rivelano necessari mezzi che sicuramente le forze speciali non hanno disponibili, così come, ad esempio, l’attentato di Nizza ha rivelato che le capacità della linea di soccorso locale fosse insufficiente per un evento simile. 36 ore dopo l’attacco, a Nizza non bastavano le celle frigorifere per contenere le vittime, molte delle quali non erano ancora state individuate.
In realtà, analizzando le capacità offensive dei terroristi in attacchi simili, sappiamo bene come i primi 5-10 minuti dal ferimento possano davvero divenire un salvavita: durante le esplosioni lo pneumotorace può facilmente uccidere entro 3-5 minuti, le emorragie esterne dovute a armi da taglio o proiettili di medio calibro uccidono in tempi altrettanto rapidi, e queste sono tutte possibilità di intervento che riducono le vittime in maniera effettiva, nonostante l’attacco si sia già esaurito.
E’ evidente, anche qui, che chiedere ai soccorsi di intervenire in tempi così rapidi non è possibile, quindi bisogna pensare a metodologie che prendano in considerazione l’autodifesa, l’autosoccorso, la capacità di intervenire da soli della popolazione, capacità da sottolineare ed esortare nel cittadino, secondo le possibilità. Del resto, tramite le associazioni di mutuo soccorso, già facciamo e permettiamo questo: l’ambulanza guidata dal volontario, con a bordo medici e infermieri, non è che l’espressione, sotto forma di associazione regolata da uno statuto, di cittadini che hanno deciso di intervenire in caso di bisogno, in favore della comunità, per cui non si riscontra alcuna differenza in una idea di autointervento, anche se limitata agli aiuti e al soccorso immediato di persone coinvolte.
Per ottenere questo effetto è necessario, pertanto, dare gli striumenti necessari alla popolazione, per intervenire, a partire dagli strumenti, ad una conoscenza, anche limitata, di pronto soccorso. Per chiarire immediatamente un punto, non è affatto necessario che ogni cittadino sia in grado di intervenire, come vedremo più avanti.
Parte 1.2
Le reazioni al pericolo e il concetto di capacità di reazione
Secondo moltissimi studi di psicologia, esistono tre principali tipi di reazione dell’essere umano ad una minaccia fisica, conosciuti come Paralisi, Fuga e Combattimento.
L’essere umano tende a farsi sopraffare dall’istinto di sopravvivenza, di solito, che si concretizza in uno dei tre punti summenzionati, a causa delle reazioni psicofisiche e biologiche che si attivano nel corpo umano: come conseguenza, ci si può anche trovare di fronte a reazioni del tutto fallimentari dal punto di vista del miglioramento delle possibilità di sopravvivenza.
E’ provato, infatti, che le persone possano mancare di rispondere agli impulsi ed ai messaggi di pericolo a causa di un comportamento negativo rispetto alla minaccia stessa: negare il pericolo (specie in condizioni in cui lo stesso perdura) è in se stesso una forma di difesa mentale che l’uomo attiva in alcuni casi, come nelle città costruite attorno ai vulcani, ad esempio. La negazione del pericolo non è però l’unico motivo che porta a reazioni fallimentari riguardo la propria sopravvivenza, esiste anche una incapacità cognitiva, che porta l’individuo a compiere azioni totalmente contrarie a quelle del buonsenso, tuttavia in questi casi ancora gli studi sono parziali ed è difficile comprendere le motivazioni che portano a questo comportamento, dal momento che è molto complicato raccogliere dati a riguardo. Si è notato, tuttavia, che questa incapacità cognitiva deriva di solito da mancanza di capacità mnemonica e di raziocinio in situazioni di pericolo, e che si aumentano in caso di ansia, capacità mentali ridotte da altre condizioni o incremento enorme di stimoli esterni.
Quando l’uomo va incontro ad una situazione di pericolo, biologicamente il corpo si prepara a reagire, con il rilascio di ormoni fra cui adrenalina e cortisolo, con una gamma di azioni che vanno dall’accelerare il battito del cuore e le capacità respiratorie, alla vasocostrizione, al maggiore apporto di glucosio ai muscoli. E’ stato osservato anche che nel complesso di queste reazioni, è possibile che la capacità deduttiva e di ragionamento venga compromessa: il cortisolo, ad esempio, fornisce più glucosio ai muscoli per una reazione immediata, invariabilmente sottraendo energie al cervello e quindi alle aree cognitive, compromettendo così le capacità di giudizio. Gli stessi studi hanno anche dimostrato che in alcuni individui, e in particolare in quelli addestrati, come ad esempio i soldati, i rapporti fra i vari ormoni e neurotrasmettitori sono migliori, e questo permette loro di mantenere la calma anche in situazioni di elevato stress: se ne deduce, quindi, che l’allenamento, e con buona probabilità, l’applicazione di fattori di stress indotti, permettano un migliore controllo delle reazioni biologiche del corpo, di conseguenza cambiando nettamente la capacità di reazione alla minaccia del singolo individuo.
Le stesse riduzioni nelle capacità cognitive sono state individuate anche a causa di altri elementi, come il freddo, la mancanza di cibo, sonno, apporti in nicotina o caffè, ma questi caratteri si ritrovano in special modo nei casi di sopravvivenza a lungo termine, ed è dimostrato che provochino spesso incapacità di reagire con raziocinio alla minaccia. In questi studi, è stato anche riscontrato addirittura che uno stress lunghissimo, dovuto ad esempio ad una situazione di sopravvivenza molto prolungata, può addirittura portare alla destabilizzazione, e perfino alla morte, di cellule cerebrali, fino al punto di creare comportamenti anormali e, ovviamente, diminuire le probabilità di sopravvivenza.
Esistono casi in cui addirittura durante, e dopo, i soccorsi, lo status di incapacità cognitiva è continuato o si è presentato solo in quel momento: le ragioni per questo tipo di comportamento non appaiono ancora molto chiare, è probabile che sia dovuto alla razionalizzazione della fine della condizione di stress.
Visionando filmati, foto e altro materiale degli attacchi terroristici avvenuti negli ultimi anni, possiamo chiaramente individuare situazioni in cui la maggioranza delle persone coinvolte sperimentano questo tipo di mancanza cognitiva, superando addirittura l’80% delle persone coinvolte, con variazioni pesanti nei fallimenti cognitivi che presentano. In generale, la reazione riscontrata nella maggioranza dei casi è di PARALISI: dal momento in cui avviene l’attacco, fino ad un buon periodo dopo la fine dello stesso, le persone tendono ad avere una reazione in cui si bloccano, incapaci di realizzare cosa è meglio fare, arrivando al punto di effettuare azioni ripetitive tipiche di un blocco emotivo (chinare la testa in avanti, guardarsi attorno continuando a sorreggere oggetti invece di allontanarsi dall’area di pericolo, sono alcuni esempi). In questo tipo di reazione ricadono anche quelle in cui le persone pregano gli aggressori di non fargli del male e cercano di assecondarli, anche per molto tempo e anche dopo aver visto in prima persona che la minaccia è reale e che l’aggressore non ha nessuna intenzione di fermarsi o che la possibilità di appellarsi all’empatia dello stesso non porti ad alcun vantaggio: l’esempio migliore si è avuto nell’attacco al Bataclan, dove una grande quantità di ostaggi è stata assoggettata da sole tre persone, che le hanno torturate e seviziate per ore, nonostante le richieste degli ostaggi stessi.
Gli attacchi recenti dimostrano palesemente che questo comportamento non è affatto adatto alla situazione, anzi porta decisamente ad un effetto opposto, permettendo a pochi terroristi di manipolare una grande quantità di persone. C’è da dire che comunque anche in caso di altri tipi di minacce alla sicurezza dell’individuo questo comportamento non può far altro che peggiorare la situazione: si va dai morti della nave da crociera Concordia, che nonostante fosse ferma su uno scoglio, ha prodotto vittime causate dalla mancanza di corretti interventi di messa in sicurezza dei passeggeri, alle alluvioni, dove le persone non fuggono dalla zona di pericolo, ma si rinchiudono in casa o in auto sperando di essere al sicuro, inevitabilmente fallendo nell’intento.
Altra causa della paralisi è la mancanza di intervento salvavita nei confronti di chi rimane ferito durante l’evento: l’incapacità di reagire razionalmente significa che si passa dall’essere persona che può fornire soccorso, ad essere a propria volta elemento che necessita di soccorso, finendo col far parte del problema invece che dare un minimo di soluzione: come dicevamo precedentemente, riuscire ad intervenire sui feriti entro 3-10 minuti potrebbe essere una capacità salvavita, ma è necessario essere coscienti e capaci di reagire velocemente.
parte 1.3
Reazioni indesiderate Vs Reazioni Desiderate
L’opinione di chi redige questo documento, è che, delle tre reazioni, la fuga sia quella che più spesso garantisce la sopravvivenza, laddove il combattimento deve essere valutato come l’unica possibilità nel caso in cui la minaccia si possa definire attiva, come in un attacco terroristico, e solo nel caso in cui la fuga, già tentata, sia fallita: la paralisi rimane una opzione possibile ma mai accettabile, un sottoprodotto indesiderato che va “moderato”.
Supponendo quindi di valutare la possibilità di reazione da INDESIDERATO (PARALISI) a VALUTATIVO (COMBATTIMENTO) a DESIDERATO (FUGA), l’intenzione di questa proposta è quella di trasferire il più possibile l’attuale reazione da INDESIDERATO verso DESIDERATO. La riduzione di feriti, e quindi di vittime, durante questi avvenimenti critici, è indubbiamente un punto sul quale fare leva per cercare di cambiare le cose, per di più è possibile farlo con poche risorse e ottenendo effetti molto utili, anche in casi non inerenti gli attacchi terroristici, come già detto.
Si ritiene infatti che, come da studi, la paralisi come reazione arrivi a causa della mancanza di “allenamento” nel gestire crisi di questo livello, ed è per questo che i militari appaiono più in grado di superare problemi di questo tipo. Ovviamente l’addestramento militare tende a modificare la reazione in favore del COMBATTIMENTO, ma è anche vero che questo tipo di reazione richiede un livello cognitivo e delle capacità mentali di livello superiore rispetto alla fuga, e infatti l’addestramento specifico è decisamente più duro e, fra le altre cose, più condizionante. Si ritiene più che sufficiente riuscire ad ottenere un trasferimento delle reazioni da paralisi a fuga di un elemento su venti minimo, fino ad un elemento su dieci per ottenere una risposta adeguata: non è necessario infatti che tutti siano in grado di mantenere una reazione su base razionale, perché una persona che è in grado di ragionare in queste occasioni, viene vista dagli altri come “capobranco”, e come tale, si tendono a seguire le sue indicazioni. Se durante l’attacco al Bataclan dieci persone, sulle oltre 100 minacciate, avessero agito in tal modo, formando quindi l’effetto capobranco, molto probabilmente non avremmo avuto circa 80 persone tenute come ostaggio, ma in quel caso possiamo immaginare scenari come tentativi di fuga o addirittura di intervento diretto contro i tre terroristi, con conseguenti possibilità di fuga per i restanti ostaggi, mentre ciò che è accaduto è stata una totale mattanza; nel caso invece degli attacchi in Belgio, si sono osservate persone che vagavano dopo l’esplosione nella zona interessata dall’esplosione, tipico atteggiamento di negazione dovuto allo shock come descritto prima.
Parte 2
Cambiare la reazione: la proposta in breve.
Probabilmente esistono varie metodologie per modificare le reazioni degli individui, ma come abbiamo visto ciò che è necessario è una forma di addestramento.
Si ritiene però, in questa sede, che una commistione fra stress indotto e addestramento simulato in condizioni pari al vero, applicati ad individui che sono già predisposti a questo tipo di attività, sia un metodo che permetta di coniugare rapidità di intervento, necessità di risorse e capacità di ottenere risultati soddisfacenti. Lo stress indotto, come delineato al punto 1.2, supplisce alla mancanza naturale di stimoli di questo tipo che vengono sottratti dalla società in cui viviamo: uno dei migliori esempi di questa mancanza si riscontra negli incidenti stradali, dove ormai le persone non intervengono per timore delle conseguenze e dove si arriva, addirittura, alla fuga di fronte all’incidente causato, in preda ovviamente all’incapacità cognitiva già descritta, effetti tanto generalizzati che sono diventati comunissimi.
L’addestramento simulato invece è utile per prendere più confidenza con strumenti salvavita, ma non solo: crea nell’individuo una consapevolezza personale che in caso di crisi si è capaci di fare qualcosa, fattore che riesce a sorpassare proprio la fase di reazione PARALISI in favore di altre.
Si fa notare che questo tipo di addestramento, anche conosciuto come roleplay, viene ormai comunemente utilizzato in una quantità di settori e specialità differenti, dall’addestramento militare, alla formazione nelle attività commerciali, all’istruzione scolastica, ed è un passo più avanti delle comuni esercitazioni che vengono compiute in qualsiasi occasione, comprese quelle riguardo i terremoti e incendi nei luoghi pubblici: quello che viene fatto, non è altro che “immaginare” una situazione, e reagire alla stessa come se stesse avvenendo in quell’esatto momento.
Questa proposta è più avanzata però, perché prevede la raccolta di informazioni sulla base di queste “attività immaginate”, mentre l’attività è in diretto svolgimento, ed utilizzando qualsiasi strumento, mezzo e capacità per ottenere la stessa, il più vicina possibile alla situazione reale, tuttavia generata in modo casuale, in precedenza, e in cui una gran parte dei partecipanti non conosce esattamente nel complesso l’andamento dell’attività stessa, che d’ora in avanti chiameremo EVENTO ROLEPLAY.
Esiste una nutrita quantità di materiale, reperibile anche in rete, che dimostra l’efficacia di un evento roleplay come forma di apprendimento a moltissimi livelli, ed è ormai certo che sia uno dei sistemi che permette l’assimilazione di concetti e capacità in maniera più rapida e completa, dato che fa affidamento diretto sulle capacità e sui sensi dei partecipanti, in modo completo: gli stimoli diretti e pari al vero, che colpiscono tutti i sensi dei partecipanti, vengono processati più velocemente e forniscono più informazioni, infatti.
I costi di simili attività, rispetto ai partecipanti, sono piuttosto limitati, e i materiali acquistati sono spesso riutilizzabili in altri scenari, rendendo questo metodo sicuramente uno fra i migliori per il suo rapporto fra capacità di insegnamento e risorse necessarie.
Parte 2.1
Come ottenere il risultato: esposizione di una possibile soluzione
Gli EVENTI ROLEPLAY altro non vogliono essere che una forma di attività ludica, conosciuta per essere una delle migliori forme di apprendimento, tramite la quale si coinvolgeranno, possibilmente, le forze dell’ordine, ovviamente comprese protezione civile, vigili del fuoco e qualsiasi altra struttura statale che desideri prestare aiuto, le associazioni di mutuo soccorso di ogni livello, i comitati di quartiere e, possibilmente e come scelta strategica, i club sportivi di giochi tattici, fra cui il softair, paintball e via dicendo.
Il motivo per cui si accentra l’attenzione su queste particolari associazioni, è la loro grande capacità di comunicazione, il senso di appartenenza e alcune capacità di base che possiedono, che si sono rivelate, in realtà più piccole ma paragonabili alle dimensioni di un incidente come quello che si vuol simulare, molto utili e capaci.
Personalmente ho avuto modo di partecipare ad attività legate con un club softair, forze dell’ordine e società di mutuo soccorso, nelle operazioni di ricerca e soccorso sul territorio della provincia di Livorno, esperienza che si è dimostrata non solo di grande efficacia, ma incredibilmente ben sviluppata e che è riuscita a mettere insieme le varie realtà, che hanno ben poco in comune, facendole funzionare. Anche nel terremoto in Emilia alcuni club di softair si sono distinti per le loro capacità reattive a questo tipo di crisi, mettendo a disposizione tutto il loro materiale, capacità e volontà, a partire dall’allestimento, fin da pochi istanti dopo il terremoto, di tendopoli e una direzione autoorganizzata per portare aiuti a chi aveva necessità, sfruttando le competenze nell’uso di maglie radio, cartografia e gps e organizzazione delle persone disponibili.
Queste realtà hanno background che sono estremamente utili, se messi in comune, per questo tipo di attività: le forze dell’ordine portano con sé il metodo e le procedure che seguiranno nel caso di incidente, le associazioni di mutuo soccorso hanno un grande bagaglio di capacità di intervento rapido al pari, sennon forse e per alcuni casi, superiore a quello perfino delle forze dell’ordine, i club di softair regolarmente iscritti al CONI hanno una grande presenza sul territorio e hanno capacità di organizzazione di eventi molto simili a questo, anche su grandi numeri, inoltre si impegnano molto nel volontariato ed hanno delle conoscenze in alcuni elementi simili a quelli delle forze dell’ordine, anche se godono ancora di, probabilmente, una bassa credibilità.
Le attività su base volontaria attirano molto le persone, che si sentono quindi parte di qualcosa di utile, di una comunità con un senso di vicinanza maggiore, e questo tipo evento riesce a fare in modo che si condividano conoscenze utili, anche se a bassi livelli, per tutti. Ciò che è necessario fare, è sfruttare i legami di questi elementi, per portare il cittadino comune a partecipare agli EVENTI ROLEPLAY, facendo leva appunto sul sentiment comunitario: in questo modo i cittadini, coinvolti in prima persona e in maniera diretta in una simulazione a tutto tondo di un evento critico, sottoposti anche allo stress indotto che tali eventi generano, rafforzeranno la loro capacità di reagire, interagiranno con le forze dell’ordine e ne assimileranno velocemente e facilmente le procedure e le necessità, potranno sfruttare le conoscenze dei soccorritori e iniziare a familiarizzare con procedure e strumenti salvavita, tutto con l’ausilio di ragazzi dediti ad una attività all’aperto, il softair, che presteranno la loro passione e i loro mezzi, stemperando il clima che potrebbe essere altrimenti troppo impegnativo.
Sarebbe molto interessante anche coinvolgere alcuni organi di stampa negli eventi, per simulare il recepimento di informazioni al pubblico per via reale e diretta sul campo e per riuscire a capire quale sia la portata e la velocità di diffusione dei dati di un evento, e poter quindi stimarne una possibile utilità o pericolosità, magari quindi fornendo dati per elaborare direttive da passare al giornalismo per la diffusione di certe informazioni, facendoli anche partecipare in diretta alla possibile pericolosità di una diffusione degli stessi, senza però danneggiare alcuno.
Per spiegare bene il tipo di attività, faremo un esempio.
Il comitato propositore tiene i contatti fra le associazioni e le istituzioni che partecipano, propone una data e quindi genera, in maniera semicasuale, un evento, che può andare da un attacco terroristico in piena regola, ad una alluvione, un terremoto o quanto si ritiene che possa essere utile e importante, tenendo conto anche delle specificità dell’area geografica in cui si proporrà l’attività. E’ importante che parte dell’evento sia generato casualmente, le linee guida per la generazione degli eventi non appartengono a questo elaborato, perché necessitano di elementi più tecnici che non si addicono a questa sede. Il motivo per cui l’evento segue una storia, un plot generato anche casualmente, è che la raccolta dei dati che verrà fatta dal comitato propositore in questo modo sarà genuina e non sottostarà a nessun pregiudizio; l’idea infatti è quella di raccogliere dati sulle tempistiche degli interventi attivi, delle capacità di soccorso e, ovviamente, delle reazioni del cittadino comune.
La durata di un evento, nel suo totale, non è mai eccessiva, si pensa di concludere le attività nell’arco di un pomeriggio, con la simulazione vera e propria che non ha durata superiore alle due ore, per ottenere la ricezione maggiore possibile del cittadino comune, attirato dalla presenza delle varie associazioni non istituzionali. Al termine della simulazione, è importante prevedere attività di informazione e corsi rapidi, dove si esamineranno le procedure comuni delle FFOO, i materiali e le procedure delle associazioni di soccorso e si verrà istruiti, rapidamente, su alcuni dettagli salienti riguardo l’attività appena svolta. Per creare un senso di continuità, l’ideale sarebbe di fornire la data della prossima attività e il luogo, con una scadenza nel tempo degli eventi roleplay da decidere in base alle capacità, ma che sia almeno entro un quadrimestre, massimo un semestre.
Il cittadino comune NON deve conoscere l’attività che si svolgerà nei dettagli, anzi, meno informazioni ha, più si otterranno reazioni simili al vero. Anche le altre parti coinvolte non devono conoscere l’attività nei dettagli: le FFOO sapranno che si tratta di un attacco terroristico e che si svolgerà nella zona x, conosceranno l’orario, ma l’intelligence diretta dell’evento gli verrà fornita solo al momento in cui l’evento comincerà. Si suggerisce di sfruttare i club di softair come comparse o, in gergo, PNG, personaggi non giocanti, che conoscono in precedenza il loro ruolo e che possono, se serve e se prescritto, cambiare la loro strategia sul terreno come preimpostato, in autonomia o addirittura secondo il momento, avendo come referente diretto il comitato.
Simulando un attacco terroristico ad un supermarket, il comitato farà intervenire forze dell’ordine e soccorsi, dando il ruolo previsto ai ragazzi del softair, di simulare i terroristi e la loro rete. Durante l’evento saranno predeterminate quindi alcune linee guida da dare alle comparse, come ad esempio l’orario di inizio dell’attacco, se prendere oppure no degli ostaggi, ma è preferibile lasciare spazio su come arrivare al loro obbiettivo da soli. Le FFOO entreranno in azione, ottenendo l’intelligence direttamente sul campo, come in una azione reale, a seguito quindi i soccorsi, di modo da testarne bene anche le capacità e capire, dall’esterno, quali criticità possano avere.
La capacità di controllo diretto, con un certo grado di previsione dell’evento, da parte del comitato, permette di mettere in luce tutte le difficoltà e le migliorie da apportare, individua anche potenziali elementi di pericolo sul territorio. Un EVENTO ROLEPLAY, in questo modo, diventa una opportunità non solo per istruire il cittadino comune, ma anche per ottenere una grande quantità di valutazioni e di dati utilissimi anche ad un livello di considerazione più alto.
Parte 2.2
Il gioco di ruolo per insegnare e coinvolgere
Come abbiamo già esposto, il gioco di ruolo ha questa caratteristica di essere insieme serio ma piacevole, di offrire un’esperienza ludica ma al contempo di insegnare e migliorare chi vi partecipa.
Si è scelti questa metodologia per riuscire a coinvolgere il cittadino comune, tramite le associazioni di cui abbiamo parlato, per riuscire ad arrivare al risultato di ottenere uno scenario possibile in cui almeno una persona su dieci riesca a passare da un tipo di reazione INDESIDERATA a una DESIDERATA. Il metodo dolce ma estremamente coinvolgente, permette di modificare, e non lentamente, il comportamento, nonostante l’evento in sé ha una durata piuttosto breve, perché la fase di apprendimento permane anche dopo la fine dell’evento e, si spera, durerà fino al prossimo.
La decisione di riuscire a modificare il comportamento di un decimo solo dei presenti ad una situazione critica, è data dal fatto che non è necessario che tutti siano pronti: l’uomo, animale sociale per eccellenza, tende a individuare e seguire per istinto un individuo capace di mantenere la calma e che, in una situazione di panico, riesce a dare una direzione agli istinti caotici. Un piccolo cambiamento diffuso, genera così una modifica attiva, genera persone capaci di un intervento immediato, che facilitano l’azione delle forze dell’ordine e dei soccorsi invece di creare situazioni che possono danneggiare le attività a seguire, tutto questo perché hanno imparato, in situazioni vicine a quelle reali, parte delle procedure adatte.
Questo tipo di attività, se ben gestite, possono diventare un appuntamento piacevole per la cittadinanza, e insieme rispondere al desiderio di essere utili alla comunità, creando un effetto volano.