La Cina e gli Uiguri. Gli Uiguri e la Cina
Di recente abbiamo riportato lo screenshot di un tweet dell’Ambasciata cinese negli Stati Uniti che riporta uno studio sull’emancipazione delle donne uigure nella regione dello Xinjiang. In particolare, ci siamo permessi di sottolineare in rosso le parole “making them no longer baby- making machines”. Non vogliamo dilungarci e prendere in considerazione i fattori legati alla natalità in certe zone del mondo. I fattori da prendere in considerazione sono davvero troppi e, proprio perché si tratta di un argomento di elevata importanza, sarebbe riduttivo accennarne appena. Detto questo occorre precisare, se mai ci fosse il bisogno di farlo, che siamo al 110% contrari all’idea della “donna sforna bambini” o alla “donna oggetto”. Eppure le parole di quel tweet, e le parole che abbiamo sottolineato, hanno destato scalpore in alcuni dei nostri lettori. Ma perché ci siamo “permessi” di sottolinearle? Chi sono gli uiguri? Cosa succede nella regione dello Xinjiang?
Chi sono gli Uiguri
Gli uiguri sono una popolazione di origine turca che dopo la metà del 9° secolo d.C. occupò una parte del Turkestan cinese fondando un regno che durò per circa 3 secoli. Dopo diverse vicissitudini legate all’invasione e al dominio dei Mongoli, la regione occupata dagli uiguri divenne l’attuale provincia cinese dello Xinjiang. Fin da subito la regione ottenne diverse concessioni conquistando un buon grado di autonomia dalla capitale Pechino ma, durante il 20° secolo, aumentarono le volontà di indipendenza. Dal 1955, la regione dello Xinjiang è una regione autonoma con un proprio governo locale a una autonomia legislativa. Rispetto alle altre zone della Cina, è una della aree con la più bassa densità abitativa. Nella storia recente però, questa densità è aumentata rispetto ai decenni passati. Negli ultimi 20 anni si è registrato un forte incremento demografico voluto dalle politiche di Pechino. La regione dello Xinjiang subì un forte flusso migratorio in entrata di cinesi Han.
Lo Xinjiang di oggi
Dopo questa brevissima parentesi (facilmente potrete trovare approfondimenti sulla storia di questo popolo e della regione dello Xinjiang), passiamo alla storia recente degli ultimi anni. Il governo comunista guidato da Xi Jinping non ha mai nascosto la volontà di sinizzare (ovvero conformare un popolo alla civiltà e ai costumi cinesi) le minoranze dell’islam, del cristianesimo e del buddismo-tibetano. Il processo, iniziato dai presidenti Jiang Zemin e da Hu Jintao, prevede una stabilizzazione della regione attraverso campagne politiche di sviluppo economico. Fin qui nulla di strano, se non che i mezzi e le politiche stesse sono volti ad una vera e propria rieducazione sia lavorativa che, e soprattutto, culturale. A partire dal 2017 la comunità internazionale ha fatto luce, grazie a diverse testimonianze e grazie anche a immagini satellitari, sull’esistenza di veri e propri campi di internamento. In questi luoghi vengono svolti lavori forzati e, ancora peggio, viene impartita la propaganda cinese e lo studio imposto degli slogan in supporto al governo di Pechino. Non è finita qui. Negli stessi campi di detenzione avviene un rigidissimo controllo delle nascite, contro la volontà delle donne stesse, attraverso l’inserzione forzata di metodi contraccettivi (ad esempio la spirale) o l’assunzione di pillole contraccettive. Non sono gli unici metodi utilizzati perché, per renderle sterili definitivamente, vengono sottoposte a operazioni chirurgiche o, in alternativa, obbligate a seguire cure per bloccare il ciclo mestruale. Alcuni osservatori internazionali hanno definito tali pratiche come un vero e proprio “genocidio demografico”.
La comunità internazionale ha incominciato, come già anticipato, a far luce sulla situazione di questa regione. L’UNHCR (il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite) ricevette nel 2019 una lettera sottoscritta da 22 nazioni (Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera), con la quale si condannava il trattamento delle minoranze presenti nella regione dello Xinjiang da parte del governo di Pechino. Italia non pervenuta. A questo documento se ne contrappose uno firmato da 37 paesi (tra cui Corea del Nord, Palestina, Pakistan, Arabia Saudita, Russia, Egitto ecc.) con cui si elogiavano le stesse politiche. Eppure sulla regione dello Xinjiang girano molti interessi, sia nazionali che stranieri. In questa regione si produce l’84% del cotone cinese, che ammonta a circa il 20% di quello mondiale. Ma non solo. Di recente diverse multinazionali come Apple, Nike e
Coca-Cola hanno fatto pressioni sul Congresso statunitense per affossare o ammorbidire una legge, già approvata alla Camera, che prevede il divieto di importare negli Stati Uniti beni e materie prime (come il cotone) prodotti attraverso il lavoro forzato degli uiguri.
Come facile intuire, da questa panoramica, i fattori, gli interessi e le attenzioni su questa regione e su questo popolo sono davvero molte. Abbiamo trattato questo tema partendo dallo screenshot del tweet dell’Ambasciata Cinese e siam finiti per accennare le reazioni della comunità internazionale. Tanto vi è ancora da analizzare e tanto, purtroppo, ci sarà ancora da scrivere. Potremmo facilmente voltarci dall’altra parte, come direbbe qualcuno, ed evitare di interferire con le politiche interne di un altro paese. Siamo in attesa che il governo comunista cinese permetta un’investigazione indipendente dell’ONU così da poter smentire la comunità internazionale. Temiamo però che quel giorno tarderà ad arrivare.