La dipendenza dalla Cina in termini di materie prime, semilavorati di base e prodotti finiti è ormai un cardine dell’economia e dell’industria mondiale e abbiamo già visto la logistica mondiale tremare quando l’anno scorso le fabbriche cinesi chiudevano a causa dei lockdown ed il trasporto merci subiva rallentamenti e blocchi: le industrie occidentali si sono improvvisamente ritrovate senza materiali e componenti necessari alla produzione, costringendo molte fabbriche a ridurre il ritmo di lavoro o addirittura a chiudere.
Ma cosa succederebbe se tali materie prime e componenti, in larga parte provenienti dalla Cina, subissero un blocco delle esportazioni deciso dal governo cinese?
È proprio questa la domanda che il regime cinese si sta facendo.
In caso di attriti con un paese occidentale, quanti danni potrebbe provocare un blocco alle esportazioni di preziosi materiali alle industrie, anche militari, di tale paese?
Una delle principali produzioni cinesi che potrebbe essere oggetto di tali blocchi sono le terre rare, minerali essenziali per la produzione di praticamente tutti i dispositivi elettronici, di cui la Cina controlla attualmente l’80% della produzione.
Il mese scorso il Ministro dell’industria e dell’Informazione Tecnologica cinese ha proposto d’istituire dei controlli sulla produzione ed esportazione di 17 di questi minerali.
Il regime sta consultando esperti e capi d’industria per capire quanto tempo servirebbe agli Usa per assicurarsi fonti alternative di terre rare in caso di blocco delle esportazioni e se tale blocco potrebbe impedire o rallentare la produzione, tra le altre cose, degli aerei multi ruolo F-35.
È stato calcolato infatti che per costruire un F-35 siano necessari ben 417 kg di terre rare.
In un report di novembre della Antaike, una società di consulenza supportata dal governo cinese, l’analista Zhang Rui sottolineava come le industrie di armamenti americane potrebbero essere tra le prime ad essere prese di mira in caso di restrizioni alle esportazioni.
La giustificazione di tali restrizioni peraltro esisterebbe già: compagnie come Lockheed Martin e Boeing vendono armi a Taiwan, cosa che il regime cinese considera come un’intollerabile intromissione nei suoi affari interni ed una minaccia alla sicurezza nazionale.
Ad ottobre 2020 Ellen Lord, all’epoca sottosegretaria della difesa incaricata degli approvvigionamenti e della logistica, ha riferito al Congresso che gli Usa devono creare delle riserve di alcune terre rare e ricominciarne la produzione domestica.
Gli Usa hanno iniziato a capire che il pericolo è grave e concreto: negli ultimi mesi il Pentagono ha firmato accordi con compagnie di estrazione americane ed australiane per aumentare la capacità di raffinazione di tali minerali.
Infatti non solo al momento la Cina domina l’estrazione delle terre rare (primo paese al mondo con 132.000 tonnellate estratte nel 2019, al secondo posto ci sono gli Usa con sole 26.000 tonnellate) ma anche la necessaria raffinazione per trasformarle in materiali pronti ad essere utilizzati nelle fabbriche: come dicevamo all’inizio, l’80% della capacità di raffinazione mondiale è in mano a compagnie cinesi, perfino i minerali estratti negli Usa devono essere spediti in Cina per essere processati.
Sebbene ad una riflessione superficiale possa sembrare che limitare l’esportazione di terre rare sia controproducente per l’economia cinese, in realtà non lo è: la domanda interna di questi materiali è oggi talmente elevata che la Cina addirittura importa terre rare, sopratutto da USA e Myanmar (che si trova al terzo posto per tonnellate di terre rare estratte nel mondo); questo significa che i minerali non esportati in caso di restrizioni verrebbero facilmente assorbiti dalle industrie cinesi.
La pandemia ha avuto un effetto che potremmo definire positivo: ci ha aperto gli occhi su qualcosa che abbiamo scelto di ignorare per anni, la nostra quasi totale dipendenza industriale e tecnologica da una dittatura senza scrupoli e senza remore. Negli ultimi mesi il governo cinese ha dimostrato che anche una semplice critica espressa da un governo straniero possa provocare rappresaglie e reazioni scomposte, sproporzionate e violente sotto forma di stop a import/export di prodotti chiave per la tenuta economica del paese in questione. Siamo letteralmente ostaggi del regime cinese.
Abbiamo anche visto come l’enorme crescita del mercato interno cinese faccia sì che il regime sia sempre meno dipendente dall’Occidente per la vendita e la consumazione dei suoi prodotti.
Noi siamo estremamente dipendenti da loro, mentre loro lo sono sempre meno da noi.
È il momento di realizzare la nostra vulnerabilità e di correre ai ripari.
Per decenni abbiamo delocalizzato le nostre produzioni, cercando profitti sempre più elevati, adesso dobbiamo rilocalizzarle, semplicemente per sopravvivere ed evitare di tornare all’età preindustriale in caso di conflitto con la potenza cinese.