Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un confronto sempre più aspro tra la Federazione Russa e gli Stati uniti d’America riguardo a molteplici questioni economiche, strategiche e geopolitiche. Molti di questi contrasti hanno come area di riferimento la regione europea, il nord africa e il medio oriente; tutte queste aree hanno in comune un elemento geografico: il mar Mediterraneo.
Proprio dal mar Mediterraneo parte la nostra analisi di oggi.
Nel mediterraneo, all’interno della zona di interesse economica esclusiva di Israele, lo stato ebraico, in consorzio con una compagnia petrolifera americana (la Noble Energy) ha scoperto il più grande giacimento di gas naturale dell’intero bacino del mare nostrum, con la fondata speranza che possa essere trovato anche petrolio in discrete quantità.
Il giacimento in questione, denominato Tamar, ha riserve di gas naturale stimate in 260 miliardi di metri cubi (si avete letto bene 260 miliardi, e la stima è per difetto) di questi 260 miliardi di metri cubi circa 85 miliardi saranno messi sul mercato internazionale sotto forma di gas naturale liquefatto (LNG) ed esportati con grande probabilità in Europa meridionale. La notizia importante però è un’altre e cioè, che sarà la russa Gazprom, gigante di stato degli idrocarburi della Federazione Russa, che si occuperà di esportare fisicamente il gas dopo il processo di liquefazione.
A GPC questa notizia non giunge inaspettata, sono infatti molteplici i segnali che facevano intravedere un avvicinamento tra Israele e la Federazione Russa sulle strategie di lungo periodo, strategie che comprendono i destini sia dell’Iran che della Siria. Nella crisi siriana, ad esempio, il governo di Israele non ha interferito, se non nel momento in cui armi avanzate stavano per arrivare in Libano attraverso la valle della Bekaa. Tutto ciò è avvenuto con il consenso di Mosca che vede in Israele, se non un possibile alleato, comunque una risorsa nella regione che altrimenti una volta caduta la Siria sarebbe interamente sotto il controllo turco e americano.
Altra analisi meriterebbero i rapporti tra Russia ed Israele sotto il profilo della questione iraniana. Il nostro centro ritiene infatti che, seppur la Federazione Russa sia un solido alleato dell’Iran, la Russia di Putin non ha certo perso di vista il fatto che il sorgere di una superpotenza iraniana potrebbe in una prima fase dare grandi problemi agli Stati Uniti e alle monarchie sunnite del Golfo Persico, ma in una seconda fase, intorno al 2015/2017, la superpotenza iraniana inizierebbe ad espandere la propria influenza nel Caucaso, quel Caucaso ricco di idrocarburi ed intriso di voglie autonomiste che potrebbero trovare nell’Iran atomico degli ayatollah un punto di riferimento fondamentale. È proprio per questa visione di medio termine, estremamente chiara al Presidente Russo Putin, che la Russia non ha fornito agli iraniani sistemi antiaerei di recente costruzione. La mancata fornitura va letta non come una favore agli americani, ma come una pianificazione strategica del Cremlino, atta a tutelare gli intessi nazionali nel caso in cui debba essere la Russia stessa, tra alcuni anni, a doversi confrontare con gli iraniani. Alla luce di queste considerazioni non è improbabile che Mosca veda di buon grado un rallentamento dello sviluppo della tecnologia nucleare in Iran, così come potrebbe tollerare uno Strike chirurgico che riporti indietro le ambizioni atomiche di Tehran di alcuni anni, raggiungendo il duplice scopo di allontanare la minaccia islamica dal Caucaso per un’altra decade, senza aver dovuto muovere nemmeno un dito e contestualmente continuare la cooperazione con gli iraniani che si è sviluppata in questi ultimi 15 anni.
Nel fine settimana uscirà una nostra analisi dei negoziati tenuti in Kazakistan sulla questione del nucleare iraniano e che sono passati quasi inosservati nei media tradizionali.