Sono giorni di grande tensione tre Israele ed Hamas, giorni che hanno reclamato la vita di quattro giovani innocenti, tre giovani ebrei e un giovane palestinese. Tutti questi quattro ragazzi sono stati vittime del terrorismo, terrorismo palestinese e terrorismo ebraico, la stessa matrice di morte che parla due lingue diverse.
La morte dei tre ragazzi israeliani, la morte del ragazzo palestinese hanno risvegliato rancori mai sopiti e dato la possibilità ai guerrafondai locali di tentare l’innesco di una esclation.
Una escalation iniziata con il lancio di razzi da Gaza in risposta ad un omicidio mirato si Israele di un terrorista legato alla morte dei giovani ebrei.
Da qual giorno di due settimane fa su Israele sono caduti oltre 200 razzi che hanno determinato il sovvertimento della vita quotidiana nel sud del paese ferito due persone, bruciato una fattoria e danneggiato una abitazione. Nonostante ciò Israele ha risposto colpendo circa cinquanta obiettivi a Gaza ucciso otto palestinesi (sei nelle ultime 24 ore) e ferito cinque altre persone.
La risposta israeliana è stata comunque blanda in quanto la politica del governo di Gerusalemme prevede che in caso di ripetuti lanci di razzi verso Israele venga attuata una campagna aerea di portata ben maggiore ripetuto a quella osservata e in caso di fallimento della campagna aerea vengano mobilitate le forze di terra per un’offensiva di breve periodo nella Striscia.
Tutto ciò non è accaduto e probabilmente non accadrà. Non perché la Casa Bianca ha fatto pressioni sugli israeliani, non perché il governo di Gerusalemme ha cambiato la propria politica ma, secondo noi, per non destabilizzare la Giordania.
La Giordania è un cardine della stabilità della regione, l’ultimo stato laico relativamente affidabile tra il Mediterraneo e il Golfo Persico. Uno stato che però è minacciato dall’estremismo islamico e dallo stesso Stato Islamico. All’indomani della dichiarazione dello Stato Islamico in diverse città giordane si sono registrate manifestazioni di solidarietà nei confronti del nuovo Califfo “Al Baghdadi” e alcune tribù hanno apertamente mostrato la volontà di unirsi agli estremisti sunniti.
Non a casa Al Baghdadi ha cambiato il nome del proprio movimento da “Stato Islamico dell’Irak e della Siria” in Stato Islamico senza più alcun limite territoriale e questa non è stata una scelta casuale.
Al Baghdadi vuole creare un grande califfato extra regionale che abbracci il medio oriente, l’Africa e molti paese mediterranei, minacciando direttamente anche l’Europa.
In questa fase è possibile che una azione israeliana a Gaza possa determinare la sollevazione di una larga parte degli estremisti sunniti presenti in Giordania in una fase nella quale l’esercito del Regno Hashemita è impegnato a Nord lungo la frontiera siriana ed a est lungo quella irachena per impedire infiltrazioni di terroristi dello Stato Islamico.
Ecco che le azioni israeliane potrebbero riflettersi ad Amman, una possibilità che oggi frena l’azione delle forze armate israeliane a Gaza.
Questa scelta di Netanyahu potrebbe però far montare la protesta dei radicalisti ebrei e vedere scontri tra le forze dell’ordine israeliane e gli ebrei ultra nazionalisti. Il governo del Likud potrebbe uscirne indebolito e favorire un aumento dei consensi per il partito di Bennet astro nascente della politica israeliana ma su posizioni molto più vicine ai coloni e ai nazionalisti di quanto lo sia il partito di Netanyahu. Proprio queste ragioni di politica interna potrebbero determinare una reazione israeliana più dura e massiccia di quanto in effetti il governo di Gerusalemme oggi vorresse.
Ultimo, ma non meno importante, elemento da considerare è che l’Egitto avreste molto da perdere in caso di conflitto tra Hamas ed Israele ed é per questo motivo che i mediatori del presidente egiziano El Sisi starebbero febbrilmente cercando di ottenere un cessate il fuoco tra le parti. Cessate il fuoco che però dovrà avere, secondo il nostro gruppo, come contropartita una maggior libertà di movimento di merci e uomini attraverso il valico di Rafah, tra Egitto e Gaza, fatto che innervosisce parimenti Israele ed Egitto ma che allo stato attuale potrebbe essere il male minore tra cui scegliere per Il Cairo e Gerusalemme.