Israele Hezbollah: la guerra all’orizzonte
Una guerra mai finita, un confine non riconosciuto, una tregua senza prospettive, una forza di pace inerme, un gruppo terroristico più forte del paese da cui opera: questo il quadro nel quale dalla prossima domenica 6 agosto 2023 il conflitto potrebbe erompere nuovamente lungo la “blue line” la linea di confine tra Libano ed Israele dove l’Hezbollah libanese ha iniziato una serie di provocazioni sempre più difficili da ignorare da parte di Israele, le più gravi delle quali sono rappresentate dalla costruzione di avamposti militari oltre la linea blu, all’interno di quello che per Gerusalemme è territorio israeliano. Le mosse dell’Hezbollah hanno preso slancio avendo osservato le manifestazioni che da 30 settimane segnano i fine settimana a Tel Aviv, proteste contro la riforma giudiziaria voluta da Netanyahu e che secondo alcuni ha segnato una profonda spaccatura anche all’interno di quell’esercito di popolo rappresentato dalle forze armate di Israele. Hezbollah credendo che queste divisioni possano ridurre in maniera significativa la capacità di risposta delle forze di difesa di Israele, prosegue nella suo piano di mobilitazione e di presenza a sud della Blue Line. Secondo la nostra visione la capacità di risposta dello stato ebraico è di fatto inalterata ma la valutazione della dirigenza dell’estremismo sciita è opposta alla nostra, ed è per questo che le provocazioni al confine non cessano e gli avamposti costruiti oltre la linea blu vengono fortificati e non rimossi.
La scelta della milizia sciita libanese si caratterizza anche come una mossa politica e non solo come una mera provocazione militare. La cosiddetta Blue Line non è un confine condiviso e riconosciuto dalle due parti in conflitto, come non lo era fino agli accordi di pochi mesi fa il confine marittimo tra Libano ed Israele. La scelta di insediare degli avamposti ben oltre la linea blu sottolinea, nella nostra visione, la volontà dell’Hezbollah di imporre a Gerusalemme un accordo anche sui confini terresti ed in particolare un accordo che permetta di rivedere (a favore del Libano) il posizionamento della linea di confine. Risulta quindi molto più evidente come mai Gerusalemme non può ignorare la costruzione di avamposti militari nella parte sud della Blue Line, avamposti che affermano una volontà di guadagno territoriale da parte di Hezbollah e, in ultima analisi, anche del governo di Beirut.
Ora Israele deve decidere: lasciare che Hezbollah prenda di fatto possesso di terre a sud della Blue line e rimandare ma non evitare un conflitto, oppure smantellare gli avamposti, avendo coscienza che Hezbollah avrà puntato le proprie artiglierie e i propri mortai contro l’area di intervento delle forze israeliane e che chi sarà comandato di rimuovere quell’avamposto dovrà mettere in conto di subire perdite, altra opzione sarebbe un attacco aereo contro l’avamposto ma tale azione, se non seguita da una accezione reale dell’area lascerebbe aperta l’opzione per Hezbollah di rientrare sulle posizioni in oggetto.
E’ quindi altamente probabile che nei prossimi giorni le forze speciali di Gerusalemme supportate dall’aviazione e da tutto l’apparato militare del comando nord possano condurre una limitata operazione atta a ristabilire lo status quo ante lungo la linea blu. La vera domanda che tutti dobbiamo ora porci è: come risponderà Hezbollah?
Nella nostra analisi il movimento sciita libanese sta cercando di trascinare Israele in un conflitto sanguinoso al fine di determinare una crisi nella democrazia israeliana. È probabile che Nasrallah, il leader dell’Hezbollah libanese, abbia valutato che le critiche al governo Netanyahu (in caso di conflitto aperto) possano essere la scintilla che catalizzi uno scontro a tutto campo tra le due principali anime della politica e della società civile israeliana. Una guerra che porterebbe vantaggi ad Hezbollah anche nel caso in cui non venisse combattuta. L’assenza di una dura risposta alle provocazioni di confine potrebbe spingere sia i palestinesi, sia gli arabi israeliani ad azioni molto decise di opposizione e di rivolta nei confronti di Gerusalemme. Opposizioni e rivolte che al contrario di una guerra non sarebbero in grado di generare, come invece probabilmente accadrebbe nelle prime settimane di conflitto, la messa in secondo piano delle proteste relative alla riforma giudiziaria. È noto infatti che nel caso si dovesse materializzare un nemico esterno, nelle prime settimane di conflitto la nazione israeliana si unirebbe contro la minaccia comune in quello che viene definito nel mondo anglosassone il “Rally Around the Flag”. Tale affermazione non è in contrasto con la possibilità che, se il conflitto dovesse prolungarsi oppure estendersi ad altre aree della regione che sarebbero in grado di sostenere la guerra per mesi, si potrebbero manifestare forti divisioni tra il popolo di Israele e la sua attuale leadership politica.
Per queste ragioni riteniamo che la questione relativa alla presenza di avamposti dell’Hezbollah libanese a sud della Blue Line verrà risolta rapidamente e con l’impiego della massima forza disponibile, ma che verrà applicata puntualmente unicamente a sud della Blue Line. In quel momento la palla passerà nel campo dell’Hezbollah con la presa di coscienza da parte della sua più alta linea di comando che in caso di guerra totale non esisterà nessun luogo fortificato, bunker, o cantina adibita a rifugio della dirigenza sciita che non verrà osservato, ed in caso di ragionevole sospetto relativo alla presenza dei vertici di Hezbollah, distrutto, non importerebbe dove questo luogo sia ubicato e nemmeno quanto sarebbe rischiosa tale missione per i militari incaricati di eseguirla. Questa sarà la differenza della guerra che potrebbe scoppiare tra Hezbollah e Israele, non ci sarà quartiere per chi darà l’ordine di rispondere alla rimozione degli avamposti militari costruiti dalla milizia sciita oltre il confine del Libano.
photo credit: Self-publishe
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