In questi giorni in Iran si celebra la rivoluzione Khomeinista, in un clima estremamente teso, soprattuto a causa del timore di essere ormai giunti ad un punto di svolta per ciò che riguarda le ambizioni nucleari di Teheran, e di conseguenza delle aspirazioni dell’Iran di diventare una potenza a livello regionale, se non a livello mondiale.
Nell’Iran di oggi si discute e si combatte tra diverse idee, sempre e comunque organiche al regime islamico. All’interno della leadership si discute come ridurre l’impatto delle sanzioni economiche, senza possibilmente intaccare il programma atomico; si discute di come ridurre la conflittualità con l’America, senza far sembrare un eventuale accordo con gli americani una sconfitta per il governo.
L’Iran di queste settimane, di questi giorni, alterna dichiarazioni di buone intenzioni nei confronti dell’agenzia atomica internazionale a azioni aggressive, se non addirittura in violazione di risoluzioni delle Nazioni Unite, come nel caso del lancio di due missili balistici a gittata intermedia evoluzione dello Shahab-3.
Un Iran che alterna sentimenti positivi nei confronti della comunità internazionale (fatta sempre eccezione per Israele) a dichiarazioni di aperta sfida nei confronti degli Stati Uniti e del Congresso in particolare. In questo link trovate un articolo a riguardo del Jerusalem Post
Un Iran per certi versi in preda ad una fibrillazione geopolitica, una specie di crampo muscolare che non gli permette di trovare una via condivisa per la gestione dello sviluppo della strategia di espansione del paese.
Una fibrillazione che non consente di comprendere, non solo cosa succederà al momento della scadenza dei sei mesi di accordo temporaneo sul programma nucleare, ma che non consente di capire nemmeno cosa possa accadere nelle prossime settimane nel caso in cui uno dei tanti punti di frizione tra occidente ed Iran dovesse tornare ad arroventarsi.
L’Iran, ed in particolare la sua guida suprema, teme che gli Stati Uniti puntino ad un “regime change” a Teheran, una prospettiva sempre puntualmente smentita da Washington ma che appare invece come un probabile obiettivo a medio termine degli Stati Uniti.
In questo scenario entreranno, e prepotentemente, le condizioni di salute del Grande Ayatollah Alì Khamenei perché, se egli non potesse essere più in grado di gestire il potere con forza e decisione, la guerra delle fazioni a Teheran potrebbe aprire profonde crepe nel regime.
Ancora una volta nella geopolitica interessi economici, scelte strategiche, progetti militari, possibili rivoluzioni, subiscono effetti dovuti anche alle condizioni di salute di un leader, e l’Iran ne potrebbe essere un caso da manuale.
Iran si celebra la rivoluzione nell’incertezza del futuro
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Christiaan Triebert