L’Irak, l’Irak di oggi, così come la vicina Siria e la Libia in Nord Africa, va ormai considerato uno stato fallito, uno stato che si è disgregato e che non è riuscito a giustificare, con adeguati vantaggi, la consistenza delle sue tre anime: quella sciita, quella sunnita e quella curda.
Il modello di esportazione forzata della democrazia, peraltro non portato a termine dalla coalizione internazionale che ha determinato la caduta di Saddam, ha determinato la nascita di un governo a guida sciita (gruppo che ha la maggioranza assoluta in Irak, sotto il punto di vista della popolazione e quindi degli aventi diritto al voto), compensato peró durante la presenza americana dall’inclusione nell’apparato statale di una parte moderata del gruppo sunnita.
Dopo il ritiro americano il governo a giuda sciita ha iniziato un lento ma costante processo di settarizazzione escludendo dai ministeri chiave e dai vertici delle forze armate curdi e sunniti. L’Irak si è sempre più avvicinato all’Iran, pur mantenendo una dipendenza diretta dagli Stati Uniti per le forniture si armi e per le esportazioni di petrolio. Il costante aumento di influenza di Teheran sugli sciiti iracheni è andato di pari passo alle sempre maggiori ingerenze delle monarchie del golfo nei confronti dei sunniti. Le monarchie del Golfo hanno da sempre considerato l’Irak uno stato cuscinetto tra loro e l’Iran, la constatazione dell’ingresso dell’Irak sciita nella sfera di influenza di Teheran ha determinato il repentino incremento del sostegno dei monarchi del golfo nei confronti dei leader, anche estremisti, sunniti.
Poi abbiamo assistito alla deflagrazione della crisi siriana. Un guerra per procura tra sunniti del golfo e sciiti, una guerra dove l’occidente ha deciso di perseguire una via che ha portato alla trasformazione di un conflitto fatto di guerriglia in una guerra di posizione, logorante e la cui fine non si riesce ad intravedere, una guerra che ha come protagonisti Iran ed Arabia Saudita, i paesi leader del mondo sciita e del mondo sunnita.
In questa guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, l’Irak ha assunto sempre più il ruolo centrale di luogo del contrabbando di armi verso la Siria, utilizzato sia dalla parte sunnita che dalla parte sciita. La Siria è stato anche il luogo dove i sunniti iracheni, braccati dal governo dì Baghdad si sono rifugiati e dove essi hanno iniziato a combattere il nemico sciita, con il fondamentale aiuto dei sunniti del Golfo. Tra le varie formazioni è emerso negli ultimi due anni l’ISIS (lo Stato Islamico dell’Irak e della Siria o del levante ISIL), il quale ha stabilito nella Siria orientale un vero e proprio stato, organizzato e ben armato. A poco a poco l’ISIS ha volto il proprio sguardo verso l’Irak e ciò per due motivi principali. Il primo è che molti componenti dell’ISIS sono iracheni e il loro obiettivo è ritornare padroni nell’Irak, il secondo motivo è strategico in quando prendendo il possesso della regione di Mosul si sarebbe interrotto il flusso di armi che dall’Iran giungevano via terra attraverso l’Irak al governo di Al Assad.
L’attacco dell’ISIS a Mosul appare essere stato ben organizzato, sia dai miliziani presenti in Siria, sia da una fitta rete di supporto locale gestita dalla componete sunnita irachena. I sunniti hanno messo da parte le loro divisioni, laici ed estremisti islamisti hanno deciso di combattere insieme il comune nemico e questa è la reale forza dell’ISIS in Irak, in questa fase ma che potrebbe trasformerai in un problema per i sunniti in caso di vittoria.
Capi islamisti, estremisti sunniti, esponenti del partito laico Bahat combattono in maniera coordinata nel Nord Irak e con il loro blitz coordinato contro Mosul e Tikrit hanno preso il possesso di migliaia di armi leggere di ultima generazione, spesso di fabbricazione americana, missili anticarro, mezzi blindati e Jeep militari americane in numero così elevato da far dichiarare ad uno dei responsabili militari dell’ISIS che ora essi dispongono di più mezzi che autisti.
In questa situazione di caos l’Iran si è mosso rapidamente al fine di garantire la sopravvivenza del governo iracheno fedele a Teheran, almeno 2000 uomini delle forze speciali dei Guardani della Rivoluzione iraniane sono entrati in Irak, se non erano già presenti sul suolo iracheno, ed hanno contribuito a fermare l’avanzata sunnita verso Baghdad e verso la città santa sciita di Samarra, nel Nord del paese.
Le forze iraniane sono però in numero troppo esiguo per contrastare senza gravi perdite i miliziani sunniti e, per questo motivo, l’Iran ha chiesto tra le righe l’appoggio aereo americano, un appoggio che consenta all’esercito iracheno e ai Pasdaran di sconfiggere i sunniti infliggendo ad essi le perdite maggiori possibili. Questa guerra in Irak tra sciiti e sunniti si svolge infatti senza esclusione di colpi e senza pietà alcuna per l’avversario, sono riportate infatti esecuzioni sommarie su base religiosi anche nei confronti di coloro che si sono arresi alle milizie nei giorni delle battaglie a Mosul.
Ora l’America, l’America delle indecisioni e delle guerre combattute lanciando il sasso e nascondendo la mano si trova davanti al dilemma se bombardare i ribelli sunniti iracheni, e quindi far si che l’Irak diventi a tutti gli effetti un protettorato iraniano, o non itervenire e assitere alla nascita di un nuovo stato islamico a cavallo di Siria ed Irak.
Nessuna opzione è una buona opzione per gli Stati Uniti e questo è il prezzo da pagare quando si lascia l’iniziativa strategica ai propri avversari.
In questo quadro caotico l’America deve decidere le proprie allenze, deve decidere se mantenere il classico schema di allenze con i sunniti del golfo o trasformare l’Iran in un proprio alleato, essere egualmente partner di entrambi oggi non è possibile.