Quattro esplosioni hanno scosso l’Iran nelle scorse settimane, tre delle quali avvenute alla viglia del venerdì, l’ultima ieri sera, a nord-ovest della capitale, Teheran.
Quattro esplosioni che hanno colpito in sequenza luoghi cruciali per la strategia del regime iraniano e che hanno evidenziato come le strutture strategiche di Teheran siano vulnerabili al sabotaggio e alle azioni di cyber-warfare.
L’ultima esplosione, ieri sera, è stata udita nella periferia occidentale della città, prima confermata dai media di regime, poi negata, poi riclassificata (sempre dai media del regime) come la detonazione di una mina per lo scavo di una galleria. Ma come ben sappiamo quando dall’Iran arrivano più versioni ufficiali o semi-ufficiali di un fatto che potrebbe interessare la sicurezza nazionale, la verità potrebbe essere molto scomoda per la dittatura degli Ayatollah.
Ma andiamo con ordine e riepiloghiamo quanto accaduto nelle ultime due settimane. I report di esplosioni ed incendi si sono susseguiti a distanza di 48-72 ore e hanno interessato:
1) la zona di Parchin, sede del programma nucleare segreto degli Ayatollah, dove si studierebbero i detonatori nucleari per le future testate atomiche iraniane e le geometrie dei congegni ad implosione.
2) una importante centrale elettrica ad Ahwaz
3) il centro di ricerca nucleare di Natanz dove l’Iran sviluppa e affina le centrifughe per raffinare il minerale di uranio, Natanz rappresenta il fulcro dell’arricchimento del minerale di uranio e il luogo da dove tutto il progetto nucleare iraniano ha preso vita.
4) le esplosioni di ieri nella zona, a nord-ovest di Teheran, dove sorge il centro di ricerca della divisione missilistica delle Guardie della Rivoluzione.
Ma come è possibile che in così poco tempo abbiamo assistito a così tanti “problemi” in siti strategici per la dottrina militare iraniana? La risposta non è certo semplice ma non può essere limitata a difetti di manutenzione o semplice incuria. La vicinanza temporale degli eventi fa logicamente pensare ad una ben pianificata attività di sabotaggio, oppure ad un attacco informatico ben strutturato, oppure un mix dei due elementi. Tutti gli elementi oggetto delle esplosioni concorrono in maniera significativa allo sviluppo della capacità nucleare militare dell’Iran e della conseguente struttura missilistica che potrebbe essere incaricata di “consegnare” una futura testata nucleare Made in Iran.
È evidente che lo stato che potrebbe beneficiare maggiormente in seguito a questi “incidenti” in Iran sia lo stato di Israele, il quale vive quotidianamente le minacce del regime iraniano che sogna la distruzione dello stato ebraico. Rallentare lo sviluppo delle centrifughe nucleari e dei missili balistici iraniani consente ad Israele di avere più tempo per gestire questa minaccia e in fondo sperare che il regime teocratico degli Ayatollah collassi prima di ottenere la bomba atomica. Va inoltre ricordato un altro elemento. Poco prima degli incidenti in Iran fonti non ufficiali hanno fatto trapelare che uno stato ostile, identificato dalle medesime fonti come l’Iran, avrebbe tentato, con parziale successo un attacco informatico contro il sistema idrico di Israele.
Israele inoltre avrebbe un vantaggio politico nell’attaccare con successo queste strutture iraniane: formalmente l’Iran non sta compiendo ricerca militare mirata alla costruzione di una bomba atomica, quindi risulta per gli iraniani difficile se non impossibile richiedere una investigazione internazionale riguardo a quanto è accaduto, e forse sta ancora accadendo in Iran, in quanto la presenza di ispettori internazionali metterebbe sì in luce le azioni di un governo straniero ostile ma allo stesso tempo esporrebbe le prove relative alle ricerche nucleari militari che ufficialmente l’Iran non sta svolgendo.
Risulta altamente probabile che l’Iran cercherà di rispondere in maniera asimmetrica al colpo ricevuto in questi giorni, e se gli Ayatollah avessero individuato in Gerusalemme il responsabile di quello che non si può annunciare Urbi et Orbi, si potrebbe assistere ad una ritorsione contro interessi israeliani ad opera di forze al soldo e agli ordini dell’Iran. Parliamo di risposta asimmetrica perché all’opera di cyber warfare e sabotaggio che potrebbe aver visto come bersaglio il programma atomico iraniano, i proxy della Repubblica Teocratica Islamica potrebbero rispondere con un attacco convenzionale contro siti strategici israeliani, come ad esempio il porto di Haifa, le basi missilistiche israeliane oppure il centro nucleare di Dimona. Va tuttavia considerato il fatto che un attacco portato con alcuni vettori, e non con una salva di decine di missili, è altamente improbabile causi danni concreti contro gli importanti obiettivi strategici su suolo israeliano prim elencati. La mossa quindi sarebbe principalmente propagandistica e volta a placare le inevitabili reazioni interne al regime di coloro i quali cercheranno di guadagnare il loro spicchio di potere mettendo in evidenza le mancanze degli attuali vertici politici e militari. Questo tipo di risposta è però molto pericoloso perché potrebbe determinare una risposta israeliana che vada ben oltre la classica eliminazione delle batterie responsabili dell’attacco e mettere in discussione il ruolo stesso che Teheran si è guadagnato sulle sponde del Mediterraneo, durante la guerra in Siria. Se Teheran non risponderà l’intero mondo arabo sunnita vedrà in Israele il partner, e in altra misura lo strumento, per contenere l’espansione sciita nel Golfo e verso il Mediterraneo, compito che gli Stati Uniti non sono stati in grado di svolgere nemmeno sotto la presidenza Trump. La nuova visione di Israele da parte di Arabia Saudita, Emirati, Giordania ed Egitto, permetterà al governo di Gerusalemme di procedere verso l’annessione di parte della Cisgiordania, dando così forza e legittimità ad un governo che potrebbe essere chiamato presto a guidare, al posto degli Stati Uniti, la battaglia per evitare l’egemonia sciita degli Ayatollah, su tutto il Medio Oriente.