Esiste un pezzetto di Europa in Africa, o meglio esiste un pezzo di Spagna in Africa: questo luogo è Ceuta, enclave spagnola circondata dal territorio marocchino che si affaccia sul Mediterraneo. Ceuta è da anni obiettivo di immigrati irregolari africani che cercano di raggiungere “l’Europa” e questo luogo è un punto dove il “viaggio” si può compiere senza doversi imbarcare dalla Libia e sperare di essere recuperati nel Mediterraneo da qualche mercantile, da qualche nave militare o da un vascello delle ONG.
Ceuta è difesa, letteralmente difesa, da una serie di reticolati metallici alti anche 10 metri, nonché da una guarnigione della Guardia Civil spagnola che ha come compito principale il contrasto dell’immigrazione clandestina.
Anche la polizia spagnola però poco ha potuto ieri mattina quando un “battaglione” di oltre 800 immigrati africani ha dato l’assalto ai reticolati. Certo, Ceuta non è nuova ad “arrivi improvvisi” di immigrati africani, ma l’assalto di due giorni fa ha mostrato un nuovo livello di violenza nelle azioni atte a violare la sovranità spagnola a Ceuta.
Violenza vera, a tratti gratuita, spesso giustificata da molti dei nostri cosiddetti intellettuali in nome della falsa giustificazione che ogni mezzo sia lecito, non solo per scappare dalla guerra, ma anche per avere una vita migliore di quella che si può trovare oggi in Nigeria o in Senegal o negli altri paesi dell’Africa centrale e sub-sahariana.
Ma parlavamo di violenza, e di questa violenza vi diamo conto.
Il sindacato di polizia spagnola, così come i maggiori quotidiani di Spagna, ci parlano di 22 agenti feriti, sia per colluttazioni con gli immigrati, sia per il lancio di oggetti. Ma il fatto più allarmante è che gli immigrati africani irregolari che hanno dato l’assalto a Ceuta hanno impiegato oggetti cavi e fragili riempiti con calce viva che hanno lanciato contro gli agenti, i quali hanno riportato ustioni chimiche.
Possiamo ancora definire come una persona che necessità di “protezione internazionale” chi ferisce con calce viva la polizia che deve garantire l’ordine e la sicurezza? Possiamo definire “profugo” chi si ingegna al fine di costruire oggetti atti ad offendere mediante ustioni chimiche? Possiamo “dare soccorso” a persone che feriscono le forze dell’ordine con un piano premeditato e festeggiano l’ingresso illegale come la vittoria di una guerra?
Dobbiamo prendere coscienza che l’ingresso indiscriminato di persone violente e che vedono le nostre terre come aree di conquista dove non vige alcuna legge danneggia sia le nostre società, sia l’impostazione del nostro stato sociale, i veri profughi che ormai non vengono più riconosciuti tali, anche quando profughi veri e propri sono, a causa delle azioni di queste bande di delinquenti non arginate né dall’Europa, né da quei governi, ahinoi spesso globalisti e organici alla tecnocrazia europea, che ieri governavano l’Italia e che oggi sono alla guida dello stato spagnolo.
Il messaggio alle bande di trafficanti di uomini e a quelle persone che pensano di poter entrare con la forza nei nostri paesi e nella nostra Europa deve essere solo uno: non c’è posto per voi, e alla violenza risponderemo con l’uso determinato e legale della forza pubblica.
In caso contrario, nel caso in cui alla violenza si rispondesse con la tolleranza, l’ordine pubblico, non solo ai confini, ma anche in ogni singolo quartiere delle nostre città sarà un problema quotidiano quando anche i cittadini degli stati europei si accorgeranno che per far valere, più che i propri diritti le proprie pretese, sarà sufficiente ricorrere alla violenza, meglio se organizzata.
Questo scenario sarebbe la fine della nostra società basata sul diritto e sulla legge e non su quel concetto, ancestrale ma mai sopito, per il quale il più forte ed il più violento prevale sul più debole e sul più mite.