C’è un vento neoliberista che sta portando tutta l’Europa allo sfascio. Se credete che in questa fase e con queste regole il mercato sia in grado di trovare il giusto equilibrio, vi sbagliate di grosso. La situazione è estremamente complessa, non vi è una ricetta, una soluzione univoca. Si viene da decenni di errori reiterati e adesso i nodi vengono al pettine. E’ chiaro che le aziende (attenzione, non sono brutte sporche e cattive come qualcuno le dipinge, fanno solo il loro mestiere) debbano rimanere sul mercato e per farlo devono far quadrare i conti, ma non è altrettanto pensabile scaricare tutto sulle spalle dei dipendenti.
Il progresso è maggiore ricchezza per tutti, non una perdita inesorabile di diritti e benessere. In questo momento tuttavia tra perdere il 10% del proprio salario e perdere definitivamente il posto di lavoro, optiamo per il 10% (ma questa è una nostra opinione, criticabile). Tuttavia non possiamo e non dobbiamo sottostare a questo continuo ricatto. E badate bene che non stiamo pensando ad aiuti di stato (peraltro vietati in ambito europeo). L’Italia deve immediatamente ridurre il costo del lavoro dal lato del cuneo fiscale: non riteniamo infatti proponibile ridurre le retribuzioni, già ai minimi europei e già pesantemente defalcate dal punto di vista del potere d’acquisto.
D’altro canto non è per niente accettabile che in una fantomatica unione monetaria ci siano regimi fiscali così diversi, al punto da incentivare una competizione (distruttiva) tutta interna all’Europa stessa. Ma questi sono temi di lungo periodo e in fondo, di cosa vogliamo parlare noi italiani, con un costo dell’energia ai massimi del pianeta (essendoci caricati di costi strutturali esorbitanti per via delle energie rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico), con infrastrutture da paese balcanico degli anni ’80 (è praticamente impossibile mettere mano ad un qualunque grande progetto infrastrutturale, senza causare l’intervento in massa dal primo comitato di quartiere fino al TAR), senza una rete informatica degna di questo nome, con un analfabetismo funzionale tra i peggiori nel mondo.
Di cosa vogliamo parlare? Del nanismo delle nostre imprese (spina nel fianco del nostro settore industriale), del fatto che il nostro fiore all’occhiello, le PMI, sono diventate oggetto di shopping da parte di inglesi e tedeschi (sapevate che le aziende tedesche sono le maggiori acquirenti di PMI italiane?). D’altronde in Germania sono pragmatici: se non puoi superare il nemico, compralo. E in tutto questo panorama, l’unica soluzione messa sul tavolo è il Jobs Act? La riduzione del 10% delle retribuzioni? La seconda rata IMU? Oppure ci si gloria per un ipotetico PIL al +1% a fine 2014 (che però nel frattempo verrà sicuramente rivisto al ribasso fino ad almeno +0,6%).
Non ce ne vogliano i nostri lettori ma da economisti concludiamo con una mesta osservazione: se deve essere svalutazione interna (in un futuro intervento spiegheremo bene di cosa si tratti), allora che svalutazione interna sia, ma lo stato deve garantire veramente una riduzione dei prezzi. Se l’obiettivo è ridurre i salari degli italiani, allora si vigili sulla reale riduzione dei prezzi. Perchè la vulgata che ci è stata propinata della delocalizzazione per la riduzione competitiva dei prezzi, non ha funzionato. Perchè le aziende hanno delocalizzato, qui abbiamo perso posti di lavoro (tantissimi), le merci vengono prodotte ad un prezzo infinitesimale ma poi tornano da noi a prezzo pieno. E allora questa globalizzazione ha veramente qualcosa che non funziona, ed è questo in fondo, il nodo del problema.