Il nemico numero uno di Obama: Israele
Uno sarà un numero ricorrente in questo post, perché uno solo il minuto che è bastato a gran pare del mondo della politica internazionale per rendersi conto che il nemico principale, o come dice il titolo, il nemico numero uno dell’amministrazione Obama è Israele, o meglio quella parte dello stato di Israele che non vuole rinunciare al diritto di esistere, e che non vuole affidare la propria sopravvivenza alle promesse di questo presidente americano, il quale non ha certo brillato per lealtà.
Obama ha cercato in ogni modo di danneggiare Israele deteriorando la situazione strategica nella regione mediorientale. Ci ha provato abbattendo il regime di Mubarak, e sostituendolo con il più anti-israeliano politico egiziano in grado di ricoprire l’incarico di presidente, ci ha provato in Siria volendo abbattere Al Assad che aveva trovato con gli israeliani un buon equilibrio di potere nella regione, ci ha provato non alzando un dito quando le milizie libanesi hanno trasportato dalla valle della Bekaa sistemi d’arma avanzati dalla Siria al Libano, sistemi che hanno come solo obiettivo quello di colpire siti e forze israeliani.
Infine il suo capolavoro, il capolavoro anti israeliano di Obama, è stato l’accordo nucleare con l’Iran, accordo che non ferma lo sviluppo atomico di Teheran e allo stesso tempo permette all’economia iraniana, e alle forze militari convenzionali iraniane, di migliorare le proprie capacità ed aggiornare i propri sistemi d’arma.
Dinnanzi a questi evidenti e concreti attacchi ad Israele il mondo, ed anche gran parte dell’opinione pubblica americana ed ebraica, sono rimasti indifferenti, al contrario è bastato che per una sola volta gli Stati Uniti non ponessero il Veto ad una risoluzione delle Nazioni Unite che condanna la presenza dei coloni israeliani in Cisgiordania, perché dall’America e da Israele molti puntassero il dito contro Obama e da alcuni parti si levasse la parola “traditore”.
Il mancato Veto degli Stati Uniti è un atto simbolico, che impatterà sicuramente sulle politiche israeliane, ma è nulla in confronto al caos generato da Obama in questi anni, caos che non cesserà magicamente dopo il cambio alla Presidenza degli Stati Uniti ma che avanzerà ancora per mesi, per forza di inerzia, come un treno lanciato a grande velocità cui viene tolta la motrice ma che non è in grado di frenare in maniera efficace.
A questa situazione di disequilibrio mediorientale bisogna sommare un secondo nefasto effetto della politica estera di Obama: il dissolvimento della deterrenza militare americana.
La deterrenza militare, il timore che l’apparato bellico di Washington incuteva ai nemici (ed in alcuni casi anche agli amici), oggi, seppur esso sia ancora un sistema militare estremante efficiente non rappresenta più, per molti avversari dell’America, uno strumento utilizzabile del Comandante in Capo degli Stati Uniti. Secondo la nostra analisi tutto ebbe inizio con l’affondamento da parte di un sottomarino della Corea del Nord della Corvetta sud coreana Cheanan, affondamento avvenuto in acque sudcoreane e che causò la morte di oltre 80 mariani di Seoul. A questa azione gli Stati Uniti non risposero in alcun modo, se non con le laconiche parole di Obama che invitavano alla calma e alla moderazione (quel “restraint” ripetuto come un mantra, e fino alla nausea, da Obama nei suoi discorsi che affrontavano tematiche con potenziali risvolti militari). Se la deterrenza è stata ferita gravemente dai fatti della Corvetta sud coreana Cheonan, quel poco che ancora sopravviveva di questa deterrenza, è venuto meno con le dichiarazioni di Obama a riguardo della famosa “Red Line” che Bashar Al Assad non avrebbe dovuto superare in Siria, utilizzando armi chimiche. Le forze lealiste siriane superano quella linea rossa e l’America, intimorita dalla reazione russa, non mantenne la promessa di uno Strike in Siria, a seguito dei fatti di Damasco Est.
Oggi il nuovo presidente americano si troverà nella condizioni di dover riaffermare il potere militare americano a livello globale. Non importa se esso di chiama Trump, chiunque occuperà lo studio ovale delle Casa Bianca troverà dinnanzi a se un mondo non più disposto a seguire gli Stati Uniti solo perché il Presidente Usa alza un poco la voce. Oggi il Presidente americano dovrà dimostrare ai nemici degli Stati Uniti che l’America è pronta ad usare lo strumento militare. Una delle aree di maggior tensione, insieme al Pacifico Occidentale, è rappresentata proprio dal Medio Oriente e se sarà i quel luogo che l’America dovrà affermare nuovamente il proprio potere militare e ristabilire la propria capacità di deterrenza, chi soffrirà sicuramente gli effetti di questa guerra sarà lo stato e il popolo di Israele che dovrà ancora una volta ringraziare Obama, il costruttore di Pace, per la nuova guerra che arriverà.