La stesura di questo post deriva da un simposio che si è tenuto lo scorso 30 marzo presso la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, alla quale hanno partecipato tra gli altri due nostri analisti. Il simposio dal titolo “Gli Scenari Geopolitici ed Economici nell’Area del Pacifico Occidentale”, organizzato dalla Fondazione Italia Giappone, ha visto come protagonista il Prof. Matake Kamiya, del National Defense College di Tokyo, nonché studiosi della regione Pacifica Occidentale ed Asiatica Orientale. Questo post ne rappresenta una schematica relazione che offriamo ai nostri lettori.
Il Giappone è tornato, quel Giappone che dopo la sconfitta e l’umiliazione dell’occupazione subita al termine della seconda guerra mondiale, ora rivede la sua postura di pacifismo passivo e mette in pratica una nuova dottrina nazionale di difesa il “Pacifismo Proattivo”.
La traduzione di tale termine, seppur apparentemente letterale, non è la più felice nella lingua italiana. Essa a nostro avviso andrebbe tradotta come “Difensivismo Proattivo”, una specie di traduzione moderna del romano “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace preparati per la guerra) una dottrina che prevede un ammodernamento ed un aumento numerico dei mezzi e degli uomini delle Forze di Autodifesa Giapponesi e la possibilità per il governo di Tokyo di stipulare patti di difesa collettiva con vari alleati a livello regionale e mondiale.
La Cina è l’avversario principale del Giappone nella geopolitica odierna (non chiamiamo la Cina ancora nemico in quanto Pechino e Tokyo intrattengono fiorenti relazioni economiche e commerciali), la Cina che negli ultimi 6 anni ha mostrato un atteggiamento sempre più assertivo nei confronti dei suoi vicini asiatici (Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Taiwan e naturalmente il Giappone) un atteggiamento che ha portato la Cina a confronti “fisici” nelle acque e nei cieli del Pacifico Occidentale con le forze armate dei paesi con cui ha in atto, a vario titolo, dispute territoriali.
Il Governo di Tokyo è fermamente convinto che l’assertività cinese aumenterà nei prossimi anni, parallelamente all’aumento delle risorse economiche sulle quali potrà contare il governo di Pechino, la cui economia continua a crescere, nonostante la crisi mondiale e che nel 2020/2023 dovrebbe superare la stessa economia americana e diventare la prima economia del mondo.
Diventare la prima economia del mondo non significherà automaticamente diventare la prima potenza bellica mondiale, gli Stati Uniti e lo stesso Giappone manterranno ancora per una ventina di anni la supremazia tecnologica in campo bellico, tuttavia il gap tecnologico militare della Cina si assottiglia anno dopo anno.
Ma perché quindi il Giappone ha deciso di modificare la sua dottrina militare di pacifismo passivo? A nostro avviso, e analizzando la relazione del Prof. Kamiya, e grazie alla sua risposta ad una risposta ad una nostra specifica domanda, siamo giunti alla conclusione che il Giappone soffre dell’incoerenza americana nei rapporti dell’amministrazione Obama con “alleati” ed “avversari”. Come il prof. Kamiya ci ha sottolineato gli Stati Uniti di Obama nel 2009 hanno iniziato una politica di “accoglienza e apertura” nei confronti della Cina. Nel 2013, dopo i fatti delle Senkaku e delle illegali ritorsioni cinesi all’arresto da parte del Giappone del comandante di un peschereccio cinese nelle acque delle medesime isole, il quale aveva speronato una unità della guardia costiera di Tokyo, Obama ha attuato una politica di contenimento nei confronti della Cina.
Tuttavia nel 2014, senza che i cinesi modificassero la loro postura aggressiva, e le loro richieste territoriali, l’America è passata nuovamente ad una politica di apertura ed accoglienza nei confronti della Cina. È proprio questa incoerenza degli Stati Uniti che potrebbe aver spinto il Giappone ad accelerare la propria strategia di “Pacifismo Proattivo” o come lo abbiamo tradotto noi “Difensivismo Proattivo”, una accelerazione che ormai pare essere divenuta inarrestabile, come inarrestabile sarà la crescita della potenza militare cinese nei prossimi dieci anni.
Anche se il prossimo presidente americano dovesse tornare ad onorare i patti, sia scritti sia quelli non scritti, con gli storici alleati dell’America, il timore del ritorno al potere di un nuovo “Obama”, dopo quattro anni di supposta relativa stabilità che potrà offrire il prossimo presidente americano, fa si che il Giappone abbandoni definitivamente il propio pacifismo passivo e programmi tutti i passi necessari che gli consentiranno di confrontarsi, anche da solo, contro l’assertività, se non l’aggressività della Cina contemporanea e degli anni futuri.