Iran, Venezuela, Israele, Cina, Hong Kong, Corea del Nord, Belt and Road, Questione Palestinese…potremmo andare avanti per ore enunciando le aree di crisi (e di interesse strategico), che la Politica, quella con la P maiuscola, dovrebbe non solo seguire ma anche cercare di gestire nell’interesse esclusivo della Nazione. Al contrario potremmo impiegare solo trenta secondi per raccontarvi delle strategie nazionali in tema di relazioni internazionali, semplicemente perché non abbiamo una strategia nazionale in politica estera, mentre non difettiamo dell’avventurismo personale del capopopolo di turno.
Purtroppo oggi quando si parla di politica estera, immediatamente come in un riflesso condizionato di tipo pavloviano, si parla di immigrazione. Ma questa uguaglianza è nei fatti una vera e propria follia comunicativa e di priorità. L’immigrazione non deve essere al centro della nostra “politica estera”; l’immigrazione senza regole ed incontrollata verso l’Italia è infatti conseguenza della nostra assenza di politica estera, evidenziata in maniera imbarazzante per l’intero paese al tempo dei bombardamenti franco-americani di Tripoli.
Ma perché nessuno dei nostri partiti contemporanei parla in maniera esaustiva di relazioni internazionali e perché durante i comizi nessun leader affronta temi di politica estera? La risposta anche in questo caso è semplice: agli elettori non interessa la posizione italiana nei grandi temi delle relazioni tra stati. La popolazione italiana non ha avuto la possibilità di comprendere quanto sia importante la gestione dei rapporti tra stati, le alleanze internazionali e, allo stesso tempo, quanto sia pericoloso far sì che siano i rapporti e gli interessi particolari dei vari partiti oppure gli interessi privati o semiprivati dei capipopolo che dirigono le scelte strategiche della politica estera nazionale.
E’compito delle istituzioni e dell’informazione diffondere la consapevolezza relativa all’importanza della politica estera e delle relazioni internazionali. Lo scenario politico mondiale è in rapido e profondo mutamento, i vecchi equilibri si sono ormai del tutto disgregati, così come la vecchia concezione di conflitto o di alleanza.
In questa mutevole situazione nuovi protagonisti cercano di emergere e altre nazioni lottano per conservare le loro posizioni di forza, mentre il nostro paese involve nella spirale della de-industrializzazione, non seguendo attività strategiche, non cercando di ampliare l’industria e le attività ad alto valore aggiunto.
E questa Italia, che non è più in grado nemmeno di difendere il lavoro e le attività strategiche a casa propria, sarà presto chiamata ad una scelta di campo irrevocabile, come se fossimo dinanzi ad un conflitto mondiale. Una decisione irrevocabile di alleanza (o ostilità) rispetto ai due giganti che già oggi, ma ancor più nei prossimi anni, si contenderanno il ruolo di riferimento globale sia in senso economico che miliare: la Cina e gli Stati Uniti, sebbene esista almeno in teoria anche una terza via che nessuno oggi riesce compiutamente a concepire e cioè l’unione delle capacità tecniche ed economiche europee con le risorse naturali e le capacità militari russe.
Questo editoriale non nasce per indicare una scelta di campo tra le opzioni che abbiamo prospettato, ma ha l’intenzione di evidenziare a tutti voi, cari amici e lettori, che la vera partita della politica estera ed internazionale si giocherà nei prossimi mesi e sarà determinante per i prossimi cinquanta anni di sviluppo, o crisi, del Paese.
Cina, Russia o Stati Uniti, il doppio o triplo gioco, se verrà portato avanti, farà solo sì che perderemo qualunque cosa accada, si abbia tuttavia il coraggio di dire al popolo italiano verso dove la politica lo sta portando, forse a quel punto qualcuno in più di noi farà sentire la sua voce riguardo alle scelte geostrategiche del nostro governo.