Si tiene oggi a Berlino un vertice di emergenza, convocato dal Ministro degli Esteri tedesco per cercare, forse per un ultima volta, una soluzione diplomatica al conflitto tra Mosca e Kiev in Ucraina Orientale. Sì perché è giunto il momento di essere molto chiari ed andare oltre il formalismo delle cancellerie.
In Ucraina Orientale, nel Donbass, è in atto una guerra tra Kiev e Mosca. Le parole che usiamo sono pesate, anche quando definiamo il conflitto uno scontro tra Mosca e Kiev e non un conflitto tra Russia ed Ucraina. Non stiamo assistendo, per ora, ad uno scontro tra due nazioni ma tra le dirigenze degli stessi, con l’utilizzo sul campo di formazioni militari e paramilitari che operano in maniera più o meno esplicita da ambo le parti. Negli ultimi tre giorni la situazione è degenerata. Le truppe di Kiev avevano costretto gli indipendentisti nelle grandi città protagoniste della rivolta, Donetsk e Lugansk, quasi interrotto le comunicazioni tra le due città, e compromesso le comunicazioni vitali con la Russia. Gli ucraini erano riusciti a sfuggire alla “sacca del Donbass”, anche se subendo ingentissime perdite.
Ecco a quel punto, mentre la situazione per i filo russi sembrava disperata, in rapida successione si sono dimessi dai loro incarichi i tre dirigenti di maggior peso della “Novorossia”: Bolotov, Strelkov e Borodai.
Questa decisione, pianificata da tempo a nostro avviso, segna uno spartiacque, una linea di confine tra la guerriglia delle milizia e una forma differente di conflitto, quale sia non è ancora facile definirlo. Esiste però la concreta possibilità che Mosca prenda direttamente in carico la gestione del conflitto, sia dal punto di vista politico che militare. Il notevole rafforzamento del dispositivo bellico russo ai confini dell’Ucraina, la visita di Putin alla Crimea annessa alla Federazione Russa, l’assoluta volontà russa di portare aiuto alle popolazioni del Donbass, l’aumento delle spese militari, l’ampliamento numerico e qualitativo delle forze aviotrasportate della Federazione, la messa in campo di nuovi vettori missilistici intercontinentali e non, il pattugliamento 24/7 del mediterraneo, la ripresa dei voli a lungo raggio dei bombardieri strategici e la rinnovata presenza militare in storiche basi come quella di Cuba, indicano che la Russia è pronta a far valere le proprie ragioni anche con lo strumento militare. Quello strumento militare già impiegato, per ammissione diretta di Putin, in Crimea. Quello strumento militare che durante i giorni della Crimea Mosca negava di utilizzare, affermando che “i gentili uomini in verde” fossero solamente residenti locali scesi nelle strade in armi per garantire la sicurezza di tutti.
Anche oggi, fino a poche ore fa sotto forma di guerriglia e aiuti non ufficiali, la Russia ha utilizzato il medesimo strumento militare nel Donbass.
Se il vertice di Berlino non dovesse dare frutti, l’approccio di Mosca nei confronti della guerra in Ucraina potrebbe cambiare e potrebbe presentarsi, ai nostri occhi, un conflitto di tipo più tradizionale, pur mantenendosi in quel quadro di “Escalation Simmetrica” adottato fino ad oggi da Putin.
Il vertice di Berlino non prevede la presenza di Stati Uniti e Regno Unito (neanche l’Italia se è per questo, ma il nostro peso internazionale è ormai nullo per assenza di una posizione “italiana”, essendo la nostra politica estera sempre un passo indietro a quella europea), indice del fatto che i rapporti diplomatici tra Russia e Usa-Uk sono ridotti ai minimi termini. Il tempo degli incontri tra Lavrov e Kerry per cercare una soluzione alle dispute per ora è superato, troppe bugie, troppi sotterfugi, troppi inganni hanno reso inutili gli accordi informali tra i due blocchi.
Solo Francia e Germania hanno ancora un canale aperto con Mosca, un canale sulla cui efficacia ormai molti esprimono ben più di qualche perplessità.