Non siamo ne impazziti e neppure abbiamo tratti bipolari ma in questo caso vogliamo dire un forte e deciso NO all’intervento militare italiano in Libia. Noi, proprio noi, che da più di due anni chiediamo di intervenire con le forze armate della Repubblica Italiana in Libia oggi chiediamo di non intervenire. Noi avevamo chiesto un intervento militare in un periodo nel quale lo stato islamico era solo un embrione e quando l’unità del paese era ancora un obiettivo comune delle tribù libiche.
Il nostro schema di intervento non prevedeva solo droni, bombe e forze speciali. Il nostro schema di intervento prevedeva una forte presa di posizione al fianco del popolo libico, una presa di posizione per il miglioramento della qualità di vita di chi vive in Libia. Immaginavamo una potente forza militare in grado di scoraggiare le velleità di potere delle micro-tribù libiche, pensavamo alla riattivazione dei servizi sanitari in Libia, sognavamo che una giovane mamma di Misurata o di Bengasi o di Tripoli potesse portare il figlio malato all’ospedale gestito dagli italiani dove esso poteva ricevere le cure del caso. Noi immaginavamo 10 100 1000 di queste madri ricorrere al nostro aiuto per i propri figli, per esse stesse e per i loro mariti, e nella nostra utopia, vedevamo queste stesse donne parlare in nostro favore in migliaia di case in Libia .
La sicurezza delle nostre truppe la immaginavamo, da una parte direttamente nelle mani dei nostri uomini, dei loro comandanti, del loro addestramento, e delle loro armi, ma dall’altra parte immaginavamo la loro sicurezza anche nelle mani di quelle migliaia di madri che il nostro servizio sanitario avrebbe aiutato dalle prime ore della nostra presenza in terra di Libia, ed è quella la sicurezza migliore che i nostri uomini potrebbero avere a Tripoli, a Misurata, a Bengasi.
Oggi invece vediamo l’Italia ragionare come gli Stati Uniti dei tempi peggiori. Vediamo il nostro governo ragionare in termini di Droni, bombardamenti, forze speciali, raid. Vediamo il governo italiano preparare una forza di spedizione sottodimensionata, che arriva in Libia con due anni di ritardo, che si affida alla fazione di Tripoli e ai suoi sponsor turchi.
Questo intervento nasce senza una strategia, se non quella di compiacere gli Stati Uniti dell’amministrazione Obama, un’amministrazione agli ultimi scampoli di potere che esercita su Roma l’influenza che non può più esercitazione al Campidoglio di Washington. L’Italia non ha strategia in Libia, come non la ha in Irak o in Afghanistan. L’unica strategia che vediamo risponde al fatto di compiacere il presidente Obama, dalla Libia all’Irak, dal Libano all’Afghanistan, della crisi migratoria alle sanzioni contro la Russia.
Ma questa amministrazione americana ha i giorni contati. In novembre il popolo americano andrà alle urne e, chiunque vinca, la politica americana cambierà. Si illude chi pensa che H. Clinton, se vincerà, proseguirà sulla scia di quanto fatto da Obama, e commette un errore mortale chi pensa che, compiacendo l’America di Obama ,avrà l’appoggio americano nelle difficoltà personali e del paese un domani.
Questa America, questa America di Obama, non è l’alleato benevolo che tutti noi conoscevano, questa America usa i propri alleati per le proprie necessità e poi, al mutare delle necessità, muta il proprio atteggiammo anche verso chi gli ha regalato tutto, inclusa la dignità o peggio il sangue dei propri uomini e donne in divisa.
Noi diciamo NO a questo intervento militare italiano in Libia, un intervento pianificato alla Casa Bianca e messo in atto da Palazzo Chigi, un intervento senza strategia, senza obiettivi chiari, se non servire alla grande partita geopolitica di Obama di appoggio alla Turchia, e di opposizione all’Egitto di El Sisi. Questa non è la nostra partita, questi non sono i nostri interessi, questa non è la guerra dove dobbiamo mandare a morire i nostri soldati.
Già una volta in passato abbiamo mandato a morire i nostri uomini per avere “duemila morti da buttare sul tavolo della Pace”, era il 10 Giugno 1940 e quei 2000 morti sono diventati milioni. Se oggi qualcuno pensa che servono 200 morti da buttare sul tavolo degli equilibri geopolitici dell’Europa e del Mediterraneo, compie un errore di portata storica che lo identificherà per sempre dopo il giudizio della storia.
Questa non è la nostra Guerra, non è il nostro Interesse, non deve essere il nostro Sacrificio.