Il soggetto ha l’obbligo di conformarsi ai valori della società nella quale ha deciso di stabilirsi ben sapendo che sono diversi…..
Così la Suprema Corte di Cassazione si è espressa nella causa du un immigrato di origini indiane che riteneva un suo diritto portare in pubblico un “coltello rituale” di 21 cm di lunghezza.
Questa sentenza è per noi emblematica perché conferma una teoria qui più volte sostenuta riguardo alla gestione dell’immigrazione e delle problematiche correlate ad un fenomeno che sta travolgendo l’Europa, fenomeno solo in apparenza sotto il controllo dei governi e delle istituzioni sovranazionali, ma che in realtà sta travolgendo il nostro modello di società, di stato sociale e che potrebbe presto impattare in maniera violenta su un mercato del lavoro (italiano) ormai asfittico.
La nostra visione dell’immigrazione parte da un concetto chiaro, anzi da una ipotesi per noi centrale: oggi viviamo la lotta tra identità e globalità, tra cultura ed espediente, tra storia e immediatezza.
La nostra società occidentale è basata su valori, accadimenti storici, radici religiose e culturali, che hanno determinato l’evoluzione della nostra civiltà. Storia, cultura, identità e valori ci caratterizzano per quello che siamo e fanno sì che il nostro gruppo sociale tenda ad evolversi in un binario ben definito, fatto che ha portato ad un miglioramento della qualità di vita, della dieta, ad un miglioramento della qualità del lavoro, alla definizione dei diritti inalienabili dell’uomo, ad un miglioramento dell’aspettativa di vita e del welfare.
Negli ultimi anni, e particolarmente negli ultimi 24/36 mesi questo processo sembra essersi interrotto. Le classi operaie e la piccola borghesia tendono a scomparire (come l’ultimo rapporto ISTAT dimostra in maniera netta), l’aspettativa di vita è diminuita, le tutele per il lavoro vengono erose, la qualità stessa della vita delle future generazioni non è più in miglioramento rispetto a chi è venuto al mondo prima di loro.
La parola magica che spiega tutto ciò è “Crisi”, ma crisi di che cosa? Crisi dell’economia? Crisi della Finanza? Crisi del modello di stato? La causa dei nostri problemi è anche da ricercarsi nella crisi della nostra società ormai piegata e prona davanti ad una globalizzazione selvaggia classificata come inarrestabile, e che vede in questa fallita integrazione generatrice di emarginazione (che cancella ogni differenza, e quindi ogni cultura e religione) lo strumento finale per cambiare definitivamente la storia dell’Europa.
E’ anche per questo motivo che a nostro avviso l’immigrazione, che può e deve essere una risorsa per l’Europa, necessità di essere organizzata in modo tale che, chi si stabilisce in Italia o in Europa, venga a far parte della nostra comunità perché ritiene i nostri valori, la nostra storia, il nostro modo di vivere quello che essi liberamente scelgono come il migliore possibile per loro stessi e per i loro figli. Così facendo chi arriva nei nostri paesi diventa parte integrante del nostro gruppo sociale, assimilato dal nostro mondo e dal nostro modo di essere. Certo ogni individuo porterà con se le proprie differenze, e nel lungo termine farà si che la nostrà società evolva ulteriormente, in maniera pacifica e graduale.
Ma se al contrario chi arriva nella nostra Europa pretende di cambiare la nostra cultura, o il nostro modo di essere, di vestire, di comportarci, in nome del dogma della falsa integrazione, egli non è più una risorsa per il nostro continente, bensì un elemento di instabilità sociale e potenzialmente nucleo di uno scontro, anche violento, che in paesi come la Francia, il Belgio o la Gran Bretagna è ormai un fatto evidente.
Ma l’Europa, anzi l’Unione Europea, non vuol sentire parlare di assimilazione, di difesa delle identità e delle differenze. L’Unione Europea di oggi accetta solo il dogma di una falsa integrazione, che in realtà si riduce alla volontà di dimenticare le nostre origini e creare un popolo senza storia e senza ricordi. Ma un popolo senza storia e senza ricordi, diventa automaticamente un popolo senza futuro.
E questo accade in un’Europa governata da uomini e donne che hanno messo da parte il concetto stesso di futuro e di famiglia, in favore della carriera e della personale affermazione, ed è questo fatto che ci spaventa. Queste persone, i Leader dell’Unione Europea odierna, non hanno la necessità o il bisogno di confrontarsi con una domanda fondamentale, che invece ognuno di noi avrebbe il dovere di porsi: che società consegnerò ai miei figli?
Merkel, Macron, May, Rutthe, Gentiloni, Sturgeon, Junker questa domanda non hanno la necessità di porsela. La gran parte della classe dirigente europea non ha questa necessità perché non ha nessun figlio al quale dover consegnare alcunché, men che meno la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità, le nostra radici sociali filosofiche e religiose.
Questo è l’ambiente che rifiuta l’idea di assimilazione, per preferire un modello di integrazione che in realtà porta unicamente ad un sentimento di vergogna per la diversità, al nascondere le proprie opinioni, la religione, le filosofie, lasciando il campo aperto solamente al politicamente corretto e ad un “centrismo” politico che favorisce solo le Élite tecnocratiche.
Élite che sono desiderose di governare direttamente tutti gli aspetti della vita di ogni uomo, qualunque sia la sua origine, la sua religione o il colore della sua pelle (colori che a noi di GPC piacciono tutti), avendo come obiettivo quello di limitare le possibilità di scelta di ognuno di noi, in nome di un bene superiore, definito da un gruppo di persone che si ritiene esso stesso superiore a noi tutti.
Noi e voi tutti, che invece rimaniamo, contro questa ondata di uniformazione, utopisti della libertà di pensiero, di espressione e delle differenze, vera ricchezza del nostro mondo.
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