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Gli Usa vogliono costituire una filiera tecnologica (e non solo) “China-free”

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Sapevamo già da alcune settimane che l’amministrazione Biden si stava preparando ad una dettagliata analisi e revisione delle filiere e catene logistiche riguardanti prodotti strategici per l’industria e la sicurezza americana.
Il momento di presentare il piano è arrivato: il Presidente Biden ha appena firmato un ordine esecutivo volto ad accelerare gli sforzi necessari a costruire delle catene logistiche meno dipendenti dalla Repubblica Popolare Cinese, in accordo e collaborazione con alleati e partner quali Taiwan, Giappone, Corea del Sud ed Australia.
Con questo atto viene ordinato lo sviluppo di una strategia nazionale di logistica ed approvvigionamento, e sono richieste raccomandazioni per imbastire delle reti logistiche meno vulnerabili ad eventi quali disastri naturali (ricordiamo le problematiche che le industrie occidentali stanno vivendo a causa delle limitazioni dovute alla pandemia) e sanzioni di paesi avversari (a questo riguardo vi invitiamo a leggere l’articolo che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, “la Cina ed il possibile embargo sull’esportazione di terre rare”).
L’ordine esecutivo si concentra soprattutto su semi-conduttori, batterie per veicoli elettrici, terre rare e prodotti medicali (sia Usa che Europa dipendono quasi esclusivamente dalla Cina per la fornitura dei principi attivi necessari alla produzione di medicinali).
Il piano, per avere successo, deve essere basato sulla collaborazione con gli alleati: condivisione delle informazioni, procedure per la condivisione rapida dei materiali necessari nell’eventualità di emergenze ed eventi eccezionali, creazione di riserve ed aumento della capacità manifatturiera. Agli alleati e partner di questo progetto potrebbe essere chiesto di ridurre gli scambi commerciali con la Cina continentale.
Quanto dicemmo relativamente alle terre rare è valido anche per i semi-conduttori: la capacità manifatturiera americana è crollata negli ultimi decenni, portandola da una percentuale globale del 37% nel 1990 al 12% attuale.
Si stima che le industrie cinesi guideranno la produzione globale di semi-conduttori con una percentuale del 24% nel 2030, anche grazie a sussidi statali che si pensa raggiungano i 100 miliardi di dollari.
In quest’ottica Taiwan, la Repubblica di Cina, ha un ruolo fondamentale nella strategia statunitense considerando che è al momento il massimo produttore mondiale con una quota del 22%.
L’amministrazione Biden, sebbene agli antipodi rispetto a quella Trump in molti ambiti, sta invece proseguendo sulla linea della precedente amministrazione su questo tema, riconoscendone l’attualità e l’urgenza.
Nella primavera dell’anno scorso la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co., il più grande produttore di chip al mondo, ha accettato di costruire una nuova fabbrica in Arizona che produrrà chip per le forze armate Usa: sarà l’oggetto di investimenti per 12 miliardi e dovrebbe cominciare la produzione nel 2024.
Anche il governo giapponese ha cercato di attrarre investimenti della società taiwanese tramite la concessione di sussidi e la facilitazione di nuove collaborazioni con società nipponiche; tali sforzi sembrano aver avuto successo, la TSMC prevede di costruire un centro di ricerca e sviluppo in Giappone.
A novembre ufficiali americani e taiwanesi avevano firmato un memorandum dedito alla promozione della cooperazione tecnologica in diverse aree, compresi i semi-conduttori e lo sviluppo di filiere sicure ed affidabili.
É evidente il tentativo di stabilire una forte relazione trilaterale (Usa-Taiwan-Giappone) per ridurre la dipendenza dalla Cina relativamente ai semi-conduttori.

Per quanto riguarda le terre rare, la società di estrazione australiana Lynas sta già costruendo delle nuove raffinerie in Texas, anche grazie al supporto economico del Dipartimento della Difesa americano.
La costituzione di nuove catene logistiche non dipendenti dalla produzione cinese richiede volontà, tempo e molte risorse economiche.
Gli Usa ed altre democrazie asiatiche hanno capito perfettamente che non ci sono alternative, è necessario ridurre l’influenza che il regime cinese ha, attraverso le sue industrie in questo caso, sul mondo occidentale.
Qualche giorno fa anche il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha suonato il campanello d’allarme relativamente all’eccessiva dipendenza delle industrie francesi nei confronti della Cina ed ha dichiarato che la Francia deve ricostruire una sua indipendenza economica e strategica.
Anche noi quindi, come italiani ed europei, ci troviamo nella stessa posizione degli Usa di cui abbiamo appena discusso.
Auspichiamo che l’Italia, e l’Unione Europea nel suo insieme, agiscano rapidamente in maniera simile a quanto gli Usa stanno facendo, analizzando e rivedendo le filiere da cui la nostra produzione industriale e militare dipende.
Il Presidente Biden ha detto chiaramente al meeting del G7 che l’unico modo per competere con la crescente potenza cinese è lavorando insieme.
Ci appelliamo quindi alle autorità italiane ed europee affinché si uniscano agli Usa e agli altri paesi di buona volontà in questo sforzo colossale ma esistenziale che ci troviamo a fronteggiare.