In questi giorni, anche per incoraggiare lo stop all’acquisto del gas russo da parte delle nazioni europee più dipendenti da Mosca (Germania 35/37% del totale di gas consumato – Italia 27/29% del totale di gas consumato), il presidente Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti sono pronti a vendere il gas naturale prodotto negli Usa agli alleati europei.
Le parole di Obama devono però trovare riscontro nella realtà, e nella realtà di oggi gli Stati Uniti non hanno la possibilità di sopperire a scelte degli alleati europei che bloccassero completamente le importazioni di gas verso l’occidente dell’Europa. Questo sia per un problema politico, la legislazione americana odierna non prevede la possibilità di esportare gas naturale, sia per la mancanza delle necessarie infrastrutture sulle due sponde dell’Atlantico.
Se la problematica politica potrebbe essere superata in maniera relativamente semplice, la stessa cosa non si può dire per la carenza di infrastrutture necessarie all’esportazione.
Risultando non praticabile tecnicamente la costruzione di un gasdotto tra Stati Uniti ed Europa l’unica via praticabile per l’esportazione di metano sono le navi gasiere, mezzi navali che trasportano gas naturale liquefatto a bassissima temperatura (acronimo inglese LNG). Tuttavia per poter rifornire l’Europa è necessario che in America vengano costruiti impianti di liquefazione che possano comprimere e raffreddare il gas estratto dalle argille americane prima di pomparlo sulle navi, navi che oggi sono in numero insufficiente per gestire una operazione di rifornimento transatlantico. Le sfide che la flotta di navi gasiere dovrà affrontare sono la distanza da percorrere, la quantità di gas da trasportare quotidianamente e le caratteristiche intrinseche dell’oceano Atlantico, notoriamente non un mare provo di insidie.
Il terzo problema è invece in terra europea e si tratta della assoluta carenza di impianti di rigassificazione e l’insufficienza dei depositi di riserva del gas naturale.
Costruire le infrastrutture e le navi necessarie, organizzare le spedizioni di gas, vincere le diffidenze delle comunità locali europee dei siti dove verranno costruiti rigassificatori e depositi sotterranei, richiederà un lasso di tempo che il nostro gruppo ritiene non inferiore ai 24 mesi. Inoltre questa soluzione non risolverà la dipendenza energetica dell’Europa ma cambierà solamente il nome del fornitore, fornitore che avrà comunque un mezzo di pressione da esercitare in tutti i contenziosi economici e commerciali che dovessero sorgere in futuro.
La vera via per l’indipendenza energetica non risiede nel cambiare fornitore di gas (e questo potrà avvenire non prima di 24 mesi) bensì nell’organizzare una politica energetica basata sulla vera differenziazione delle fonti, non solo dei fornitori.
Solo un mix equilibrato di energia nucleare, energia da gas naturale, energia rinnovabile e da altre fonti fossili potrà mettere al riparo l’Europa e la stessa Italia dai ricatti dal fornitore di turno di energia.