Il cambio di strategia di Mosca, secondo il nostro gruppo, ha avuto il suo massimo impulso durante le cosiddette “primavere arabe”. In quella fase il Cremlino ha potuto verificare la risposta di Stati Uniti e NATO alla postura russa sulla scena internazionale.
In Libia la Russia è scesa a patti con gli Stati Uniti. Gli accordi della diplomazia sono stati poi ignorati sul campo e la Russia ha subito un grave danno strategico dalla caduta di Gheddafi, avendo il nuovo governo provvisorio libico, nei primissimi giorni dal suo insediamento, revocato i permessi per l’utilizzo della base navale di Bengasi da parte della marina russa.
Circa due anni dopo, lo scorso agosto, in Siria, o meglio dinanzi alle coste siriane, il presidente russo Putin ha potuto osservare che la minaccia di un intervento diretto della Federazione Russa in difesa della Siria, nel caso di raid americani, ha di fatto impedito l’azione americana e consentito di giungere ad una soluzione negoziale per la rimozione delle armi chimiche in possesso di Al Assad.
Ma in quel preciso istante nel quale il presidente Obama ha annullato i raid già disposti, Putin si è reso conto che le forze convenzionali sono in grado, da sole e senza l’utilizzo dell’arma atomica, di essere impiegate per bloccare le ambizioni geopolitiche americane nel “cortile di casa” di Mosca, e forse anche oltre. In quei giorni è iniziato, secondo noi, quel processo mentale, quella pianificazione logica, quella scommessa rischiosa che oggi porta le forze convenzionali russe a minacciare l’Ucraina, e la Moldavia e domani forse alcuni paesi della NATO, come le repubbliche baltiche, la Polonia e la Romania. In questa visione del presidente Putin gli Stati Uniti, e le potenze nucleari occidentali, non sono disposte a rischiare un confronto a tutto campo con la Federazione Russa al fine di difendere stati periferici e non indispensabili alla stabilità di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Le forze convenzionali tornano così al centro della pianificazione militare, pianificazione che in Russia prevede un netto incremento della capacità operativa di tutte e tre le armi: esercito, aviazione e marina.
Per quanto riguarda l’esercito la priorità è data alle forze aviotrasportate, che in molti casi vedono ampliate numericamente e quantitativamente le proprie dotazioni di uomini e di mezzi.
L’aviazione che vede la sua priorità nei sistemi missilistici, nei caccia da superiorità aerea e nei cacciabombardieri a medio raggio.
La marina che ha nei sottomarini il focus principale di espansione in questi anni di rilancio. In questa ottica il deterrente nucleare viene annullato, e sul campo di battaglia, e ai tavoli della diplomazie, tornano ad essere centrali le forze convenzionali di cui una nazione può disporre.
In questa ottica la Federazione Russa potrebbe creare non pochi problemi all’Alleanza Atlantica, che dai tempi della guerra fredda basa la sua capacità di deterrenza sul possesso ed eventuale utilizzo degli armamenti atomici, nel caso in cui le forze NATO fossero prossime alla sconfitta in una guerra convenzionale. Forse oggi le potenze nucleari occidentali, Stati Uniti in testa, non userebbero le armi atomiche per primi in una guerra convenzionale lontana dai loro confini, ed è su questo assunto che potrebbe basarsi la nuova politica interventista del Cremlino. Ma all’inizio della nostra ultima frase abbiamo messo un forse. Un forse che pesa moltissimo in questa valutazione del rinnovato valore delle forze convenzionali in Russia.
Un forse che trasforma questa teoria in una scommessa, una scommessa comunque nelle corde di quel “Calcolatore Imprudente” che è il presidente russo Putin.
Questo post è propedeutico ad una analisi dal titolo :”Da Mosca a Belgrado il corridoio balcanico pensato da Putin” che uscirà su GeopoliticalCenter la prossima settimana.