La Storia è da sempre maestra di tattica, lo è anche oggi dinanzi alla situazione in Libia. Preso atto che a Roma si è capita quale sia l’unica possibile strategia per la Libia, ora è necessario mettere in atto la tattica utile ad ottenere il risultato fissato dalla strategia.
La storia delle Forche Caudine
Per iniziare a comprendere quanto stiamo per scrivere vogliamo riportate alla vostra memoria un episodio storico del 321 a.C. e cioè la battaglia delle Forche Caudine. In questo episodio bellico l’esercito romano venne messo in trappola dal popolo italico dei Sanniti. Una volta bloccato all’interno di due ostacoli naturali l’esercito romano, il principe dei Sanniti chiese al padre come si sarebbe dovuto comportare con i nemici. Il padre rispose al figlio “Non torcere un capello ai romani e lasciali liberi”.
Il principe, sentendo questa risposta e non essendo convinto della sua bontà, chiese ancora una volta al padre cosa fare dei romani. Il Re disse a quel punto “Uccidili tutti, fino all’ultimo uomo”. Il principe ancora non convinto, quasi disorientato, optò per costringere i romani ad una resa disonorevole, lasciandoli poi tornare a Roma. Il risultato fu pochi mesi dopo l’annientamento totale della tribù dei Sanniti da parte di Roma. Questo per ricordare che in certe situazioni solo le soluzioni radicali hanno in loro una minima possibilità di successo.
Soluzioni radicali che oggi sono necessarie per tentare di ottenere l’obiettivo della nostra strategia in Libia: impedire a nazioni ostili di prendere il controllo della costa settentrionale del Nord Africa.
Le Potenze Ostili, Neutre e potenzialmente Amiche nella crisi libica
Per prima cosa dobbiamo individuare quali sono potenzialmente le “nazioni ostili” in questo contesto geopolitico. Una nazione a nostro avviso appartenente a questo gruppo è la Turchia, la quale persegue un progetto neo-ottomano, che vede nel controllo integrale dei flussi di gas naturale verso l’Europa, sommato all’uso spregiudicato delle masse di immigrati, l’arma per la rivincita contro un’Unione Europea che anni fa le rifiutò l’ingresso in un mercato che Erdogan vedeva come il naturale sbocco di una nazione ponte tra Oriente ed Occidente.
Altro gruppo di potere potenzialmente ostile all’interesse nazionale italiano è rappresentato dalla Fratellanza Mussulmana una organizzazione, transnazionale, che cerca di imporre nel Medio Oriente una teocrazia sunnita molto simile nella forma e nell’ideologia alla teocrazia sciita iraniana, e della quale nei fatti è alleata sul campo.
Nazione ostile al nostro interesse nazionale in Libia si è dimostrata essere anche la Francia che non ha esitato nella storia contemporanea ad ostacolare vari progetti di indipendenza energetica italiana, come ad esempio l’attacco aereo contro la Libia di Gheddafi mentre era in carica il governo Berlusconi, oppure impedendo il controllo italiano di una azienda strategica come Suez/Gaz De France.
Nazione tecnicamente non ostile in terra libica, ma anch’essa orientata a rendere i suoi approvvigionamenti di gas naturale “indispensabili” per l’Europa, è la Federazione Russa, che diverrebbe tecnicamente ostile agli interessi italiani in ambito NATO se Mosca dovesse ottenere accesso militare illimitato alle coste mediterranee della Libia.
Nazione non ostile, e ripetiamo NON OSTILE, è sicuramente l’Egitto, paese con il quale va dato mandato pieno alla magistratura di indagare e risolvere la questione relativa alla necessità di verità e giustizia per Giulio Regeni, senza però che questo drammatico accadimento sia fonte di interruzione dei rapporti militari e diplomatici con il paese che ha il potenziale per diventare il principale alleato italiano nella regione.
Nazione sostanzialmente neutra è il Qatar con il quale l’Italia può avere un ottimo rapporto economico e politico ma che vede nel suo ruolo come sponsor principale della Fratellanza il suo limite ideologico che non ci può far identificare Doha come una nazione non ostile.
Nazione non ostile all’Italia nel contesto libico è l’Arabia Saudita che potrebbe essere portata al tavolo delle trattative con una puntuale pianificazione diplomatica relativa alle forniture di energia necessarie all’Italia, sommata ad una politica più “attenta” alle ingerenze iraniane nella penisola araba.
Fazione certamente non ostile all’Italia e il cui rapporto con Roma va preservato ad ogni costo è rappresentato dalla tribù della città di Misurata, oggi molto vicina al Qatar e alla Turchia.
Agire nella crisi libica
Fatta questa breve introduzione come agire fattivamente in Libia nei prossimi giorni e nelle prossime settimane? Prima di tutto rimuovere dai nostri schemi di pensiero l’idea di una soluzione “politica” o di un “cessate il fuoco incondizionato” troppe volte invocato come un mantra dai nostri decisori politici, o da chi per loro scrive discorsi ed interventi. La soluzione politica o il cessate il fuoco incondizionato sono nei fatti paragonabili alla resa delle Forche Caudine della guerra sannitica, e cioè il viatico ad un disastro irreparabile.
L’opzione neo-coloniale
In Libia disponiamo, proprio come il sannita Gaio Ponzio, di due opzioni opposte ed ambedue probabilmente (se ben giocate) foriere di un successo strategico.
La prima è la più semplice e la più lineare, tuttavia con alta confidenza una soluzione che andava messa in atto alcuni mesi fa o al limite alcune settimane fa: fornire al governo di Tripoli non 6 motovedette atte ad impedire la partenza di immigrati, ma sistemi d’arma in grado di avere costantemente l’esercito del GNA con un margine tecnologico di superiorità costante contro le forze della Cirenaica, ed agire in accordo con le risoluzioni delle Nazioni Unite a sostegno del legittimo governo di Tripoli con azioni aeree mirate contro le colonne della LNA in avanzata verso la Tripolitania.
L’opzione egiziana
La seconda possibile tattica è opposta e speculare alla prima e prevede il nostro appoggio alle milizie di Haftar, dopo aver ottenuto adeguate garanzie e stipulato adeguato accordo con Egitto, Russia ed Arabia Saudita, paventando in caso di mancato accordo il nostro impegno diretto in difesa del governo di Tripoli. Arabia Saudita ed Egitto non hanno in questo momento le risorse necessarie ad affrontare un confronto nella Tripolitania, dove al contrario il nostro supporto militare sarebbe determinante e molto più semplice per posizione e necessità logistiche confrontato con l’eventuale impegno turco. Nella nostra visione un accordo ben negoziato, e sostenuto da uno spiccata connotazione militare con Egitto, Russia e Arabia Saudita, con la benedizione dell’amministrazione Trump, sarebbe l’opzione migliore per una “soluzione politica, supportata dalla forza militare” in terra di Libia. Tale scenario consentirebbe di eradicare gli islamisti dalla Libia, preservare i nostri investimenti, avere voce in capitolo sulla gestione e sul trasporto del gs verso l’Italia e l’Europa, poter cooperare con Egitto e Israele per lo sviluppo dei campi gasiferi che Eni ha scoperto e gestisce in Libia, ed Egitto e che potrà amministrare nella ZEE di Cipro, trovare una soluzione ben gestibile per il caso Regeni e garantire al nostro paese forniture energetiche finalmente non soggette al ricatto delle potenze ostili prima elencate.
La questione di Misurata
Ultima ma non certo per importanza la questione legata alla città di Misurata e alla tribù che da sempre rappresenta in Libia il nostro principale alleato. Misurata deve essere garantita nella sua integrità e nella sua possibilità di gestione di un territorio che posto sotto il controllo delle milizie di Bengasi non avrebbe mai pace e che vedrebbe una azione di pulizia etnica, la quale sarebbe alla fine da attribuire come responsabilità etica al nostro paese. Misurata deve essere una zona franca protetta da un contingente militare multinazionale, a guida italiana, sotto l’egida delle Nazioni Unite o se ciò non fosse possibile dell’Unione Europea. Le risorse per gestire questo fronte andrebbero ricercate attingendo alle unità dispiegate in Libano e che chiaramente non hanno assolto al loro compito di impedire il riarmo dell’Hezbollah al sud del fiume Litani ed il cui ruolo oggi è di fatto dimensionato a meri osservatori dei preparativi della prossima guerra tra sciiti libanesi e Israele.
Il tempismo e la paura
Il tempismo è cruciale per la riuscita di ogni opzione tattica si voglia mettere in atto, il tempismo in questa situazione è un elemento ancora più determinante rispetto ad altri teatri in quanto in Libia il conflitto è sostenuto da poche migliaia di combattenti attivi, un numero minimo di mezzi aerei e da forze navali inesistenti.
In questa situazione la vittoria o la totale sconfitta possono presentarsi sul campo in maniera subitanea ad a volte inattesa, anche questo aspetto va tenuto presente quando si valuta come agire 250 km a sud della nostra parte più estrema di territorio nazionale.