El Sisi chiama la piazza, la Fratellanza non si arrende

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Il ministro della Difesa egiziano, generale El Sisi, vero uomo forte del colpo di stato militare che ha deposto Mohamed Morsi nella giornata di ieri ha esortato gli egiziani che sostengono il governo provvisorio a scendere in piazza venerdì.
Nella stessa giornata al Cairo la Fratellanza Mussulmana ed il suo braccio politico, il partito giustizia e libertà, hanno indetto una serie di manifestazioni che sembrano avere come obiettivo l’occupazione fisica di alcuni luoghi simbolo della rivoluzione egiziana, in primis Piazza Tahrir.
Il messaggio il El Sisi è chiaro: l’esercito ha in queste settimane la capacità di reprimere le manifestazioni della Fratellanza, può farlo perché i dissidi interni alle forze armate, seppur presenti, non trovano il modo di organizzarsi. Per intervenire in maniera decisiva l’esercito deve però avere al suo fianco una vasta percentuale del popolo egiziano al fine di non essere emarginato sul piano internazionale. Sarebbe complicato per i militari bloccare l’avanzata delle manifestazioni dei fratelli mussulmani verso il palazzo della presidenza, verso il ministero della difesa e verso la stessa piazza Tahrir se questi luoghi non fossero presidiati dai manifestanti che in maniera determinate sono intervenuti nella cacciata di Mohamed Morsi.
Invocare la presenza in piazza di decine di migliaia di persone al Cairo non è però una decisione priva di rischi. La masse sono di difficile controllo e secondariamente possono essere oggetto di attentati terroristici. Attentati che in Egitto hanno visto come obiettivo nella gionata di mercoledì due caserme della polizia fatte oggetto di due potenti esplosioni causate da ordigni improvvisati, forse derivati dalla testata di razzi Grad.
Questo tipo di razzo è molto diffuso in medio oriente, particolarmente dopo la caduta del regime di Gheddafi e il saccheggio dei depositi militari delle Libia. Questi razzi, negli ultimi 18 mesi, hanno attraversato l’Egitto avendo come destinazione la Siria, il Libano e la Stricia di Gaza. Dopo il rovesciamento di Morsi il flusso di armi verso i tre paesi che abbiamo citato si è molto ridotto, ma le armi che non arrivano in Siria o a Gaza sono potenzialmente disponibili per quei gruppi che vogliono attuare una lotta armata all’interno dell’Egitto.
Seppure non esistono le condizioni per uno scenario siriano, la possibilità di un confronto armato tra concittadini egiziani non va trascurata e va attentamente valutata osservando l’evoluzione della situazione nella capitale.