L’Egitto è un paese di novanta milioni di abitanti e un’età media inferiore ai 38 anni, un paese che fino a pochi mesi fa non possedeva la prospettiva di indipendenza sotto il punto di vista delle risorse energetiche, per le quali oggi dipende per circa la metà del suo fabbisogno dalle importazioni dall’Arabia Saudita; l’Egitto è un paese con una economia in profonda crisi a causa della sempre maggiore instabilità regionale che limita gli ingressi e la permanenza di turisti nel paese, e che oggi può contare in maniera certa unicamente sull’agricoltura, sulla valuta pregiata che gli espatriati mandano alla madrepatria e sulle tasse di passaggio derivanti dai commerci che utilizzano il Canale di Suez.
L’Egitto è anche un paese fondamentale per la geopolitica nord africana e mondiale. E’ un paese che sta cercando una propria indipendenza in materia di politica estera, cercando di non essere legato a doppio filo alla potenza americana e allo stesso tempo cerca però di mantenere buoni rapporti con Washington. L’Egitto di oggi ha un assoluto bisogno degli Stati Uniti, sia per garantirsi stabilità interna, sia per ottenere forniture militari per il suo esercito che ora possiede quasi esclusivamente materiale bellico made in Usa. Ma l’America di oggi, l’America di Obama, non vede l’indipendenza egiziana in campo geopolitico come un fattore positivo; gli Stati Uniti anzi vedono nell’Egitto di oggi un’ostacolo ai suoi progetti per il Medio Oriente, progetti che prevedono l’eliminazione dei regimi militari laici della regione e la loro sostituzione con governi che fortemente si richiamano alla religione, governi che in comune hanno il desiderio di eliminare le costituzioni laiche che hanno regolato la vita degli Stati nord africani del medio oriente dalla loro indipendenza post coloniale.
Tunisia, Egitto, Libia, Siria e le loro rivoluzioni colorate hanno avuto in comune questa volontà di abbattere i regimi totalitari presenti in questi paesi. Purtroppo l’aver abbattuto, o nel caso siriano tentato di abbattere, il dittatore di turno ha determinato il deflagrare di guerre civili, rivoluzioni, contro rivoluzioni e la nascita di uno stato fallito di nome Libia, senza dimenticare il mezzo milione di morti che il nord Africa e il medio oriente hanno contato dal 2011 ad oggi.
L’unico paese che ha superato le “rivoluzioni colorate” e ha ripristinato lo status quo ante, è stato proprio l’Egitto, dove il capo delle forze armate ha deposto il presidente, espressione del partito islamico egiziano, e ripristinato la costituzione laica che il presidente Morsi aveva cercato di abbattere.
La presa del potere da parte del comandate delle forze armate, Generale El Sisi, è stato accolto dagli Stati Uniti con estrema durezza e con la sospensione delle attività militari congiunte, degli aiuti economici, e delle forniture militari. Su pressione del Congresso dopo circa un anno di blocco totale parte degli aiuti all’Egitto sono stati ripristinati, dopo che l’Egitto ha manifestato un netto interesse ad un’avvicinamento alla Federazione Russa (interessata a ottenere una base navale in mediterraneo come ad esempio il porto di Alessandria), sia parte degli aiuti economici, sia le consegne di materiale bellico.
Oggi l’Egitto rischia una nuova rivoluzione, e mentre lo stato islamico continua ad operare nel Sinai, dal Sudan e dalla Libia continua il traffico di armi e uomini potenzialmente in grado di portare attacchi devastanti alla nazione Egiziana; allo stesso tempo la crisi economica non molla la presa e Il Cairo dipende oggi più che mai dai finanziamenti Sauditi per la sopravvivenza dello stato. La situazione potrebbe cambiare quando il più grande giacimento di gas naturale di tutto il mediterraneo “Zhor” non entrerà in produzione e non sarà in grado di rendere l’Egitto energicamente autonomo, giacimento scoperto dall’Italiana ENI ed in grado di portare alle casse sia del Cairo, sia della multinazioale di San Donato milanese decine di miliardi di dollari di ricavi. Ma fino ad allora il governo egiziano non sarà in grado di dare adeguati sussidi ai giovani disoccupati, o creare posti di lavoro, o dire a volte no alle richieste dei Sauditi che recentemente hanno ottenuto il possesso di un paio di piccoli isolotti nello Stretto di Tiran, strategici per i rapporti con Israele essendo tali isolotti prossimi allo sbocco israeliano sul Mar Rosso della città di Eilat.
In questi giorni l’Egitto affronta inoltre la minaccia di sanzioni da parte dell’Italia e dell’Unione Europea, sanzioni legate al tema dei diritti umani all’interno dell’Egitto, diritti umani che sono indiscutibilmente non paragonabili agli standard europei, ma che non sono certo un unicum nello scenario mediorientale e del Nord Africa, mentre è un unicum la richiesta di sanzioni solo contro l’Egitto e non contro altri paesi della regione che non rispettano le minoranze.
Va inoltre osservato che anche dagli Stati Uniti si moltiplicano le richieste di sanzioni all’Egitto e di portare il Cairo all’isolamento politico ed economico, un isolamento che potrebbe essere la scintilla per una nuova rivoluzione egiziana.
Tuttavia oggi una rivoluzione in Egitto potrebbe aprire l’ulteriore vaso di Pandora del Medio Oriente, un vaso di Pandora che se aperto farà sembrare la Guerra in Siria e l’esodo dei profughi Siriani l’amaro aperitivo di una cena avvelenata.
In caso di una nuova rivoluzione in Egitto l’esercito potrebbe spaccarsi e potremmo assistere ad una guerra civile in stile siriano, con l’intervento indiretto dei turchi, dei sauditi (e dello stesso Israele nel Sinai), una guerra civile che potrebbe portare 50 milioni di egiziani a fuggire in pochi mesi verso l’Europa con ogni mezzo possibile, un esodo in stile albanese in grado di cambiare per sempre non solo l’Africa del Nord ed il Medio Oriente ma l’intero continente Europeo.
Tocca ora a noi scegliere se gestire i rapporti con un governo autoritario ma prevedibile, come l’attuale governo dell’Egitto, o aprire un’altra volta il Vaso di Pandora delle rivoluzioni arabe.