Questo post rappresenta una nostra ipotesi riguardo la strategia globale di rilancio della deterrenza militare americana approvata dalla Casa Bianca di Trump, una strategia che sicuramente avrà un nome definito dal Pentagono ma che noi ad oggi non conosciamo, noi l’abbiamo definita Domino Strike.
In questa nostra idea della strategia diplomatico/militare degli Stati Uniti, la finalità degli interventi militari non si esaurisce nello scacchiere di una certa azione militare (come ad esempio lo Strike missilistico in Siria), ma risulta funzionale nei confronti di una strategia su scala globale nella quale ogni azione serve a preparare la successiva e ristabilire, aumentando sempre la posta in gioco, la deterrenza militare americana.
Iniziamo dallo Strike in Siria. L’attacco alla base aerea di Al Assad ha sicuramente sortito effetti militari degni di nota, ma per nulla paragonabili ai danni che uno strike americano più deciso avrebbe potuto determinare. Lo Strike in Siria è stato quindi, giustamente, classificato dal nostro gruppo come un “avvertimento” lanciato dagli Stati Uniti ad Al Assad, e alla Russia. Ma questo punto di vista non è soddisfacente alla luce degli avvenimenti successivi quel giorno, ed in particolare a ciò che accade oggi in Corea.
Secondo la nostra analisi lo strike in Siria però ha soddisfatto un secondo fabbisogno dell’America di Trump: dimostrare alla prossima Tessera del Domino la determinazione della Casa Bianca ad utilizzare la forza miliare, e la seconda tessera del Domino è la Corea del Nord.
La Corea del Nord rappresenta un teatro più complesso, e dove l’azione militare, anche limitata, degli Stati Uniti difficilmente rimarrà senza risposta da parte dei nord coreani. Lo Strike in Siria è utile quindi come elemento di concreta pressione, sia nei confronti della Cina, che nei confronti della Corea del Nord.
Ad oggi non sappiamo se Pyongyang si lascerà piegare dalle minacce degli Stati Uniti e dalle pressioni della Cina. Se così fosse, gli Stati Uniti avrebbero ripristinato, almeno in Estremo Oriente, e per un periodo di tempo probabilmente limitato, la loro capacità di deterrenza, sebbene sono ormai lontani i tempi in cui la sola presenza di un gruppo attacco portaerei sopiva istantaneamente le velleità espansionistiche di qualunque paese a livello mondiale.
Se al contrario la Corea del Nord non dovesse piegarsi alle richieste degli Stati Uniti, è nostra ferma convinzione che la strategia americana proseguirà con uno Strike mirato contro i centri chiave dell’industria nucleare e missilistica della Corea del Nord. Le argomentazioni riguardanti la possibile rappresaglia nord coreana contro la capitale della Corea del Sud sono giustificate, ma va considerato (brutalmente) che per gli Stati Uniti dell’America First i danni collaterali ad una capitale straniera sono a nostro avviso un elemento non determinante per fermare questo processa strategico, atto a ristabilire il primato militare/politico/diplomatico americano nel mondo.
Secondariamente le artiglierie della Corea del Nord dovranno scegliere cosa colpire, e cioè se bersagliare le strutture militari Sud coreane, che avranno il compito di martellare le loro posizioni, oppure ignorare gli obiettivi militari Sud coreani e colpire la capitale del sud…
Ma l’uso della forza militare certificherebbe il fatto che la deterrenza americana non è ancora stata ristabilita.
Se dunque neanche in questo caso le minacce americane dovessero sortire l’effetto desiderato, e l’America fosse quindi costretta all’uso della forza, il prossimo pezzo del Domino Strike potrebbe essere l’Iran, alla vigilia delle elezioni presidenziali.
Anche l’Iran è infatti una di quelle nazioni che sfida il primato americano in una regione cruciale quale quella del Golfo Persico, e che ha instaurato un sistema “Hub and Spoke” su base religioso sciita che origina da Teheran ed arriva in Irak, in Bahrein, in Yemen, in Sudan, in Siria e in Libano; un sistema creato e migliorato in tempi di sanzioni e che con l’Iran reintegrato nella rete mondiale dei commerci e della finanza vedrà un aumento del supporto agli alleati di Teheran. L’Iran che ha fatto affidamento negli ultimi otto anni sulla non volontà di Obama di utilizzare lo strumento militare (ed anzi di lasciarlo deperire), nella convinzione che la politica e la diplomazia fossero sufficienti per confrontarsi con nazioni emergenti e temprate da anni di conflitti, non considera oggi, prima dell’inizio della dottrina di Trump, realistica una guerra degli USA alla teocrazia sciita.
L’Iran rappresenta un livello superiore nella dottrina del Domino Strike in quanto, a differenza della Corea del Nord, una nuova guerra nel Golfo potrà avere un grosso impatto a livello mondiale, in particolare per l’instabilità nel settore delle materie energetiche. Instabilità però che non avrà un grande impatto sugli States, in quanto ora Washington è indipendente dal punto di vista energetico e si appresta a diventare esportatore di energia.
Ma lo Strike contro l’Iran, se mai avverà, non sarà solo un limitato e chirurgico intervento contro i siti di sviluppo della tecnologia missilistica e nucleare, sarà un conflitto che si estenderà con grande probabilità a tutta la regione interessando l’Arabia Saudita, Israele, l’Irak e forse la Siria stessa; un conflitto che sarà l’ultima possiblità per ristabilire la deterrenza americana nel mondo prima che la Casa Bianca possa avere l’intenzione di sfidare sul piano militare la Cina vero ed ultimo competitor globale, insieme alla Russia, degli Stati Uniti targati Trump.
Tutta questa dottrina, nel caso sia realmente in atto, non va inquadrata in un orizzonte temporale di breve o brevissimo tempo ma incardinata in un periodo di 24/30 mesi dall’elezione del presidente Trump.
Questa dottrina ha, a nostro avviso, l’intenzione di evitare un confronto militare con Russia e Cina, ma di fare ciò senza rinunciare alla supremazia militare globale degli Stati Uniti, che dovranno ritrovare, nei prossimi dieci/quindici anni la giusta combinazione di economia, industria, commercio e finanza per rimanere la prima potenza economica globale, primato minacciato da una Cina che punta palesemente a sostituirsi agli USA come paese di riferimento nel Pacifico Occidentale, in Africa Orientale e che si affaccia da protagonista anche nel Golfo Persico.
La Cina, più ancora della Russia è l’obiettivo del Domino Strike e se Pechino lo ha compreso non abbandonerà la Corea del Nord e si posizionerà al fianco dell’Iran.
Aggiorneremo questa dottrina nei prossimi mesi